AUGURI DI PACE AL MEDIO ORIENTE
Mentre scrivo comodamente seduto davanti al mio
personal computer, infuriano i combattimenti nella Striscia di Gaza,
e muoiono a centinaia non solo i miliziani di Hamas, ma anche
- sotto le macerie delle
loro case, scuole e moschee colpite da bombe di ultima generazione -
donne e bambini colpevoli di essere mogli, madri e figli di
probabili terroristi, e quindi complici dei
criminali che continuano a lanciare razzi sulle città del Sud
di Israele, con l’obiettivo evidente di tenere lontana la pace da
quella terra sventurata. Ma quale obiettivo strategico persegue il
governo israeliano? Ufficialmente la difesa e la sicurezza dei
propri concittadini minacciata in permanenza
dai missili Qassam; ma è un
obiettivo realistico? Lo sarebbe qualora l’operazione militare
israeliana -
piombo fuso versato anche
sulle nostre chiacchiere pacifiste e umanitarie - risultasse davvero
“chirurgica”, e riuscisse ad annientare il radicamento sociale,
territoriale ed ideologico di Hamas o addirittura ad estirpare le
radici dell’odio e del terrorismo islamista e antisionista. Non
occorre essere degli
esperti politologi (o polemologi) per concludere che non sarà il
terrorismo di Stato a sconfiggere il terrorismo suicida degli
estremisti palestinesi: il terrore genera terrore e il sangue chiama
sangue. Questo vale per gli uni e per gli altri, è vero; ma è anche
vero che la reazione israeliana, basata sul principio strategico
della ritorsione come dissuasione (“ecco cosa vi succede se ci
provocate!”), appare comunque sproporzionata al punto da risultare
controproducente e da trasformarsi persino in una formidabile arma
mediatica e propagandistica a favore degli estremisti palestinesi e
dei fanatici islamismi iraniani (di cui Hamas ha tutta l’aria di
essere il braccio armato nella Striscia), nonché dei miliziani di Al
Qaida. Possibile che gli
strateghi israeliani non se ne rendano conto? Ma è anche possibile –
sia chiaro - che il sottoscritto sia vittima dei suoi pregiudizi;
anzi, è certo che la mia logica è quella del senso comune e del
cosiddetto uomo della strada, o di un semplice abitante del
villaggio globale a cui sfuggono per definizione le alte strategie
degli stati maggiori degli eserciti e delle autorità responsabili
degli equilibri (?) geopolitici; quindi può darsi benissimo che il
mio punto di vista sia quello ingenuo e sentimentale di chi si
commuove davanti alle immagini delle vittime innocenti che la guerra
non può non provocare;
può darsi che Olmert, Barak e la Livni, vedano lontano e che,
per la salvezza di Israele, siano costretti a seguire la via
dolorosa delle stragi e della supremazia militare - tesi d’altronde
sostenuta da autorevoli professori ed editorialisti nostrani come
Panebianco, Ostellino, P. G. Battista, V. E. Parsi, Giuliano
Ferrara, et alii; i quali
imputano la responsabilità dei crimini di guerra israeliani allo
stillicidio continuato dei terroristi di Hamas, e a quella loro
esecrabile tattica di usare i civili come scudi umani (e, a questo
proposito, va senz’altro citato il notevole editoriale sul Corriere
della Sera del 4/01/09 del
professor Panebianco, in cui, tra l’altro, si legge questo brano di
prosa non esattamente
cristallina : “ Per gli uomini di Hamas, come per Hezbollah in
Libano, la vita – anche quella degli appartenenti al proprio popolo
– vale talmente poco che essi non hanno alcun problema a usare i
civili, compresi i bambini e le donne, come scudi umani. Per gli
israeliani le cose stanno differentemente. Cercano di limitare il
più possibile le ingiurie (!) alla popolazione civile anche se,
naturalmente (!), la natura del conflitto
esclude che essa non sia
coinvolta (sic!). L’attacco dell’esercito appena iniziato, volto
a bloccare definitivamente (!) Hamas, è stato a lungo ritardato. Tra
le ragioni del ritardo c’era anche il timore per l’alto costo in
vite di civili che l’attacco potrebbe (!) comportare.”). Come dire:
anche a noi piacerebbe vivere in pace e andare d’amore e d’accordo
con i nostri vicini, ma siccome tra i nostri confinanti si annidano
miliziani e terroristi che hanno giurato guerra eterna al nostro
Stato, siamo costretti, nostro malgrado, a colpire qualche obiettivo
civile per snidare i miliziani che ivi si nascondono, rendendosi
essi colpevoli degli
inevitabili massacri perpetrati a fin di bene dalle nostre forze
armate. D’altra parte non si può fare la guerra in guanti bianchi. E
qui torniamo al punto di partenza: è la guerra una soluzione? Anche
trascurando il fatto che in quei territori non si contano più le
guerre “risolutive” e le tregue interrotte, poniamo per ipotesi che
l’operazione Piombo Fuso ottenga il risultato sperato, cioè
l’annientamento militare e politico di Hamas; come sarà possibile
impedire che altre formazioni di fanatici antisionisti ne raccolgano
l’eredità aureolata dal martirio? Ma bisognerà pur uscire in qualche
modo, prima o poi, da questo cerchio infernale! Certamente; ma il
modo, finora, non è stato trovato. Speriamo nell’Onu? Nell’Unione
Europea? In Putin? In Sarkozy? In Mubarak? In Obama? Speriamo che
israeliani e palestinesi si convertano alla pace giusta e perpetua
di cui parlava, inascoltato, Immanuel
Kant nel 1795, e che ascoltino le nobili e alte parole augurali
pronunciate dal maestro Daniel Baremboim in occasione del concerto
di Capodanno al Musikverein di Vienna. Il maestro ha tenuto a
dichiarare in un comunicato prima del concerto che, pur riconoscendo
il diritto israeliano all’autodifesa, si chiede se “il governo
israeliano abbia il diritto di punire tutti i palestinesi per le
azioni di Hamas”, e ha concluso affermando: “Proprio noi, il popolo
ebraico, dovremmo sapere meglio di altri che l’omocidio di esseri
innocenti è inumano e inaccettabile”. Ma Barenboim è un’anima bella,
e le anime belle, si sa, vengono compatite quando non derise dai
pragmatici detentori del potere e dai loro scherani. In ogni caso
non bisogna mai disperare: spes ultima dea. Auguri di pace per il
nuovo anno al Medio Oriente e al mondo.
Fulvio Sguerso