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INVOLUZIONE TERMINALE
 E DESTINI COLONIALI
di Marco Della Luna


Marco Della Luna

L’Italia rinata da mani pulite è più illegale di quella di prima. 
Il sentimento popolare di fiducia verso la giustizia italiana è sceso molto in basso
 rispetto ai picchi del ‘92, anche grazie agli ultimi chiari di luna calabro-campani.
Ora forse recupera un poco a spese del partito delle mani pulite, o della sua
continuazione metamorfica e metonomastica.
Dopo aver per anni mutato forme e nomi per sfuggire alla incalzante crisi interna seguita
 al crollo del suo fondamento teoretico (il modello comunista), nella sua attuale e forse 
terminale agonia, questo partito si manifesta a se stesso e all’esterno come svuotato di presa
 e propulsione etica e politica, ridotto a una galassia di potentati affaristici locali (i comitati d’ affari) 
che hanno un solido dominio sul governo e sulla spesa pubblica (appalti, servizi, assunzioni, 
sovvenzioni) di ampie aree del Paese (soprattutto Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Liguria,
 Napoli) nelle quali imprenditori e cittadini, se vogliono lavorare, devono sottomettersi non certo 
al partito, ma a questi potentati, e dare loro ciò che essi richiedono. 
Questi potentati sono localmente autosufficienti rispetto agli organi centrali del partito
(che non hanno più la vecchia presa ideologica sul paese), quindi non accettano 
da essi richieste di dimissioni od ordini contrari ai loro interessi e alla loro stessa sopravvivenza
 (rinunciare al loro metodo comporterebbe la loro morte per inedia).
 
 Tanto più che la direzione centrale del partito ha malamente perso le ultime elezioni politiche 
e non dà speranza di recupero ma continua a perdere colpo su colpo.
 
La logica aziendale, in una tale situazione, induce obiettivamente i capi locali a concentrarsi 
sulla difesa dei loro dominii (anche ricorrendo ad alleanze inusuali, non escluse le più rischiose)
 e sul loro sfruttamento economico, fintantoché dura. E i partiti, soprattutto oggi, sono a tutti
 gli effetti aziende: sono proprietà delle loro segreterie e del parentado dei segretari, 
che nominano, spesso a pagamento, i candidati a fare i “rappresentanti del popolo” 
(liste elettorali bloccate), sono condizionati dalle banche e dai gruppi finanziari che li mantengono
 operativi attraverso il finanziamento continuo (compresa la pubblicità sui giornali di 
partito e collegati), hanno un oggetto sociale che è la captazione e la ‘gestione’ di una parte 
quanto più possibile ampia sia della spesa pubblica e del potere, sia  dei 50 miliardi di Euro
 costituenti il giro annuo stimato delle tangenti in Italia. Un partito che non applichi la logica
 aziendale non può che languire e rimanere ‘fuori’ – come avviene al Partito Radicale.
 
 La Confpartiti (associazione trasversale dei partiti-azienda) ha annullato subito la 
volontà popolare espressa dal referendum per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.
 In Italia, soprattutto al Sud, lo schema di produzione di consenso-potere attraverso 
l’illegalità è endemico, come dimostra il fatto che, quando c’erano le preferenze 
elettorali, i politici più clientelisti erano quelli che ne prendevano di più. I politici, in Italia, 
raccolgono consenso non con l’onestà, ma promettendo a quelli che li sostengono e votano 
di farli partecipi del bottino, della spartizione di privilegi.
 Si prende il consenso, ossia la legittimazione democratica, promettendo la violazione delle leggi.
Il problema della politica e dello stato non è, quindi, di carattere
 morale, bensì economico.
 I partiti, i politici, fanno semplicemente ciò che è più redditizio per loro. 
Chi non lo fa, soccombe, e rimangono quelli che lo fanno. 
Sopravvivenza del più forte.
Poiché la gente comune se ne è accorta, sempre meno crede e segue
 le declamazioni ideali dei partiti e sempre più si adegua alla realtà,
 arrangiandosi, facendosi furba, sfuggendo alle regole(anche fiscali) 
che già non sono rispettate da chi le fa. 
Ovvio.
Ovvio anche che un organismo sociale in cui la gran parte della popolazione si comporta così,
 perde la capacità di regolarsi e diventa inefficiente, non competitivo, perdente. 
Un organismo è vitale se le sue cellule seguono regole di coordinamento.
 Quando gruppi di cellule di un organismo si mettono a fare a modo proprio, esse crescono
 a dismisura (tumore), ma l’organismo deperisce e muore. 
Questo è il percorso evolutivo che oggi sta completando l’Italia – ma, non essendo essa 
un organismo biologico, anziché morire viene comperata e rilevata a pezzi dal capitale straniero, 
ossia colonizzata, per poi essere governata e normalizzata dall’estero e per interessi esteri tramite
politici italiani assoldati. Così ha già perso alcuni primari mercati: l’automobile, la grande 
distribuzione, la chimica, l’elettronica, buona parte del settore creditizio e della Banca d’Italia, etc. 
E sta perdendo le fonti d’acqua potabile, comperate dal capitale privato francese.
 
 Dicevamo che il male della politica in Italia è economico, non è morale.
 Data la sua natura strutturale, sistemica, non circoscritta, il rimedio non può essere giudiziario.
 Non possono essere i magistrati a risanare la politica. E non tanto perché se l’apparato dello stato
 è corrotto in modo sistemico, allora esso è altrettanto corrotto anche nel suo sotto-apparato
 giudiziario; ma soprattutto perché la giustizia (giurisdizione) si può solo occupare di casi singoli,
 e solo dopo che sono avvenuti – non può prevenirli, non può rimuovere le cause strutturali e 
generali dell’affarismo criminale della politica. Se una regione è paludosa e malarica, ovviamente 
i singoli malati di malaria vanno curati – e questo lo fa il medico.
 Ma ancora più importante è bonificare le paludi in cui prolificano le zanzare della malaria
 – e questo non lo fa la medicina, ma l’ingegneria.
 
Qual è la palude malarica della politica italiana? E’ quella massa di circa 400.000 individui 
che vivono di parassitismo politico, quella massa che non sa fare altro che questo, 
che controlla la spesa pubblica, gli uffici pubblici, i concorsi e gli appalti, le pensioni 
di invalidità vera e falsa. Che blocca il Paese e si perpetua immutata, anzi peggiorando e 
onfiandosi, generazione dopo generazione, legislatura dopo legislatura, impedendo la democrazia
e guastando la legalità. Che non si riforma e non si riformerà mai perché sarebbe contro il suo
 interesse diretto ed economico. 
Che mantiene il Sud nel sottosviluppo per esigere e intercettare l’enorme flusso di denaro
che preleva da Lombardia e Veneto col pretesto di aiutare quel medesimo Sud e
 per le spese del governo centrale, ampiamente inutili, inefficienti, clientelari.
Il potere giudiziario, per sua natura, quand’anche esente dal male generale dello stato,
 non potrebbe bonificare questa palude malarica. 
Potrebbe invece farlo l’interruzione di quel flusso di denaro. 
Cioè un federalismo vero, non solo fiscale ma pure politico. Un federalismo autentico,cioè su base
 volontaria. Tale da impedire alla criminalità organizzata che domina almeno un quarto del Paese, 
della sua economia e dei suoi collegi elettorali, di continuare a inviare, da tali collegi, uomini 
‘affidabili’ nel parlamento nazionale a imporre la mafia come componente implicita e 
numericamente indispensabile per qualsiasi maggioranza legislativa e di governo,
nonché a gestire i soldi dei contribuenti.
Un federalismo tale da consentire alle altre regioni, se non riescono a porre fine a tale sistema 
e se non vogliono condividere un futuro di colonia, di sganciarsi da quel sistema e da quel futuro,
 optando per l’indipendenza.
  
Marco Della Luna                           21 dicembre 2008