TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni
MINIMA IMMORALIA
Ogni essere vivente tende a un fine; se non altro a quello di
perpetuare la propria vita. E non solo gli esseri viventi: per il
filosofo Ernst Bloch anche la materia inanimata tende, sia pur
inconsciamente (ma chi può saperlo?), a un fine. Sarebbe infatti
assurdo che il cosmo, l’universo
in cui nuotano “i grandi mostri marini e tutti gli esseri
viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo le loro
specie” (Gn 1, 21), fosse dato una volta per sempre, identico a se
stesso, immobile e statico, senza mutamento né svolgimento, come una
massa opaca, cieca e del tutto passiva.
D’altronde la fisica
contemporanea ci ha dimostrato che la materia è tutt’altro che
inerte. E se la materia così detta inanimata è costituita da
particelle in continuo movimento, quanto più lo saranno gli animali
che nascono, si nutrono, si attraggono (o si respingono), si
riproducono, inseguono il loro piacere e fuggono, finché possono,
dal dolore e infine muoiono tornando alla polvere da cui erano
venuti. Tra questi animali una specie pare distinguersi per doti e
facoltà, per così dire, sovraordinate, come l’intelletto, la parola,
la ragione, il senso del bello, la creatività, il sentimento, il
libero arbitrio, la volontà e, secondo alcuni, la coscienza, e,
secondo altri, l’anima o lo spirito; tanto che, venendo meno anche
una sola di queste facoltà, difficilmente potremmo riconoscere
quella specie come umana. Prendiamo il libero arbitrio: chi ne fosse
privo agirebbe non per scelta ma per istinto, cioè per una specie di
necessità imposta da un meccanismo cieco e sordo, sarebbe una
macchina, un robot manovrato da altri per altri fini ignoti al
soggetto passivo dell’azione, un grave che cade per forza di
gravità; insomma, invece di agire, sarebbe agito, e quindi verrebbe
meno ogni sua responsabilità, e nessuno potrebbe imputargli una
qualsiasi colpa. Senza libero arbitrio, dunque, nessuno è
responsabile di alcunché, e se nessuno è responsabile viene a cadere
il principio stesso della moralità. Come potremmo infatti giudicare
immorale un’azione che non
poteva essere diversa da quella compiuta? Già, ma fino a che
punto possiamo stabilire ciò che si poteva o non si poteva fare in
determinate circostanze? E come risulterebbe imputabile una persona
priva di intelletto e di coscienza? Non per niente, in certi casi,
ci si avvale dell’incapacità di intendere e di volere: un povero
folle non è responsabile dei propri atti, né di quelli buoni né di
quelli malvagi, non essendo in grado di distinguere gli uni dagli
altri. Il giudizio morale vale dunque solo per chi sa quello che fa
e quello che vuole, e per chi, pur conoscendo il bene, sceglie per
il male. Questo caso non sarebbe possibile per un’etica
intellettualistica come quella socratica e platonica, secondo la
quale chi conosce il bene non
può non compierlo e, se non lo compie, è perché non lo conosce
veramente. Bene, fatta questa lunga ma, a nostro parere,
indispensabile premessa, che cosa si può dire che non sia già stato
detto circa la ricorrente “questione morale” che ritorna come una
maledizione a turbare le coscienze dei miei concittadini ancora in
possesso di una coscienza civile, politica e, appunto, morale? I
politici corrotti e corruttori sanno quello che fanno o solo quello
che vogliono? E, se lo sanno, perché lo fanno? Per il potere e per
il vil denaro? Bella soddisfazione! Ormai lo stesso termine “morale”
ha quasi perso il suo senso originario di “dovere iscritto nella
coscienza”, di “legge non scritta che sta al di sopra di tutti i
codici civili e penali” o, secondo la celebre massima kantiana,
dell’imperativo che ci impone di considerare i nostri simili sempre
e soltanto come fini e mai come mezzi; oggi sembra che sia un
comportamento morale agire in modo da evitare gli avvisi di
garanzia, o, una volta ricevutone uno, delegittimare il magistrato
che l’ha emesso. La classe politica, si dice da tempo, è in un
conflitto permanente con la magistratura; oh, non con tutta, sia
chiaro (esiste per fortuna anche una magistratura “seria”, cioè
rispettosa dei poteri costituiti) , ma solo con quella
“politicizzata” che non si perita di ipotizzare reati minori come la
corruzione in atti giudiziari, associazione per delinquere di stampo
mafioso, concussione, frode e truffa ai danni dello Stato da parte
di amministratori pubblici, Presidenti di Regione, deputati,
senatori, ministri e Presidenti del Consiglio emeriti o in carica.
Di qui la necessità di rivedere e di emendare la Costituzione, in senso
ancor più garantista, soprattutto per le più alte cariche dello
Stato: non è più tollerabile che un qualunque procuratore della
Repubblica possa intralciare gli affari e le alte strategie della
classe politica. La quale sembra adoprarsi in tutti i modi per
presentarsi il più possibile omogenea e compatta dinanzi al Paese,
onde fugare ogni sospetto di complicità e di intese occulte tra
maggioranza e opposizione. Ha fatto bene il sindaco di Firenze a
incatenarsi davanti alla sede di un giornale che aveva messo in
piazza gli affari sporchi della sua giunta: non bisogna fare di ogni
erba un fascio! Ribellarsi è giusto! Ma perché non ha fermato prima
la speculazione del costruttore Ligresti? Era proprio necessario un
nuovo stadio invece che un parco nell’area di Castello? Chi ci
avrebbe guadagnato, il Comune o Ligresti? Tutti e due? Davvero? E
chi ci avrebbe perso? Nessuno? Suvvia (anzi, hovvia)! Ma il caso di
Firenze non è che uno dei tanti. Per carità di patria non voglio
infierire sulla giunta della mia città, così duramente colpita dalle
stilettate dei “rivoluzionari in pantofole” (felice metafora di un
componente della giunta medesima) che
si ostinano a non capire le
magnifiche sorti e
progressive rappresentate dalla rivoluzione urbanistica i cui
primi benefici effetti sono
già sotto gli occhi di tutti: vedi i grattacieli Bofill, il
palazzaccio del Crescent a far da bastione sul porto, e l’allarme
crescente che il progettato porticciolo per vip della Margonara,
corredato dalla famigerata torre tortile marina di Massimiliano
Fuksas, sta diffondendo tra i vecchi e i giovani savonesi, così
provincialmente attaccati allo scoglio della Madonnetta. Agli
amministratori “riformisti” e “progressisti” della giunta comunale
vorrei solo chiedere, per favore, se non possono rispettare, per
esigenze di bilancio, l’ambiente costiero, di rispettare almeno il
vocabolario, evitando di chiamare “progresso” le colate di cemento,
e “riforme” la speculazione edilizia. Sempre che non sia troppo
chiedere.
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