TRUCIOLI SAVONESI spazio di riflessione per Savona e dintorni
Questo il
titolo del libro di Tremonti uscito poco più di un anno fa, quando non era
ancora diventato, per la terza volta, Ministro dell’Economia.
Il libro
aveva suscitato in me la convinzione che, qualora fosse diventato nuovamente
responsabile di quel dicastero chiave, le idee maturate durante la sua
assenza dal governo avrebbero fatto di lui il nocchiero di cui l’Italia
aveva bisogno per uscire dalla crisi inaugurata di fatto il 9 agosto 2007,
quando i prestiti interbancari si congelarono nottetempo, dando l’avvio alla
tempesta perfetta. Mi ero spinto persino a formulare l’augurio che, viste le
sue idee innovative, altre forze interne al suo partito non si mettessero di
traverso e “lo lasciassero lavorare”. L’uomo infatti aveva lasciato
intendere tra le righe, anche in suoi precedenti scritti, di avere ben
presente il grado di responsabilità delle banche nello stato in cui s’erano
ridotte le economie nazionali, non esclusa, ovviamente, l’Italia. Un
convincimento sintetizzato nella sua ormai celebre definizione di “topi
messi a guardia del formaggio” riferendosi ai banchieri centrali e al nostro
denaro.
La realtà si
sta rivelando alquanto diversa. Può darsi che Tremonti continui ad albergare
in cuor suo i medesimi sentimenti riguardo a banche e banchieri; ma da come
si comporta quando poi assume delle decisioni concrete riesce difficile
continuare a crederci.
La virata
rispetto alla strategia abbozzata nel suo libro è iniziata con la
velleitaria avventura della cordata di imprenditori italiani per sdoppiare
Alitalia in un’azienda senza debiti, da lasciare alla cordata, e in una
bad company, gravata di € 3
miliardi di passivi, da cedere gentilmente ai contribuenti italiani. Ossia,
l’esemplare messa in pratica del liberismo più deleterio, che punta a
socializzare le perdite e privatizzare i profitti. Con l’aggiunta di
privilegi concessi a lavoratori già largamente privilegiati, come i piloti,
o gli esuberi, beneficiati di ben 7 anni di cassa integrazione. Tutto sempre
a nostre spese.
La seconda
prodezza è stata quella dell’azzeramento dell’Ici sulla prima casa, già
ridotta del 40% dal governo precedente. Altri € 3 miliardi regalati a
pioggia, ossia anche ai ceti più abbienti, che di questa elargizione non
avevano particolare necessità.
Oggi
Tremonti, quasi istantaneamente angosciato da tanta passata prodigalità,
cerca di rifarsi succhiando indiscriminatamente da altre fonti, spesso con
una miopia che certo non fa onore all’autore del libro scritto appena un
anno prima.
Nel pieno di
una recessione senza precedenti a memoria d’uomo, con chiusure e fallimenti
a catena, licenziamenti di centinaia di migliaia di dipendenti e precari,
scivolamento di consistenti fette di cittadini verso o oltre la soglia di
indigenza, la montagna partorisce il proverbiale topolino: qualche elemosina
alla fascia più infima, peraltro da conquistare attraverso iter burocratici
defatiganti, esenzione fiscale degli straordinari, quando ormai più nessuno
ne fa, blocco delle tariffe, salvo poi smentirlo, sia perché scenderanno da
sole o perché quelle autostradali vanno lasciate ai privati, tetto del 4%
sui mutui, vanificato dal taglio BCE dello 0,75%, e via di questo passo.
Insomma misure irrilevanti, di pura facciata.
Tutto ciò
mentre nulla si fa per mitigare la vita del sempre più ex ceto medio,
lavoratori dipendenti, pensionati e piccole e medie imprese, cioè artigiani
e commercianti. A proposito di questi ultimi, c’è voluto il Natale, coi
negozi vuoti, per far capire finalmente
urbi et orbi quanto poco rientrino
nella categoria degli evasori per antonomasia, quali li si era additati sino
a poco tempo fa. Il governo precedente era stato martellante su questo
fronte, liberalizzando il commercio, ossia trasformandolo in una giungla
dove si consuma una guerra tra poveri, all’insegna della tanto declamata
“libera concorrenza”. Ora, con un continuo turnover di aperture e chiusure,
si comincia a capire quanto redditizio sia aprire un esercizio commerciale
con centinaia di concorrenti alle costole e margini di utile sempre più
assottigliati e spesso debordanti nei passivi. Ciononostante, si prosegue
imperterriti con i famigerati studi di settore, che appioppano, negli
appartati uffici del fisco, redditi sempre superiori al reale, anche quando
magari c’è solo da metter la mano in tasca e pagare in proprio il rosso di
fine mese. L’involontaria austerity
natalizia ha portato anche i grandi media a riconoscere che questa è la
realtà e che le evasioni non vanno cercate negli scontrini di pochi
spiccioli ma nelle oasi contributive delle attività illegali, specie al Sud,
e nei grandi creatori di ricchezza fasulla, ossia nelle banche. Quelle
banche che, dopo averci salassato secondo rozzi o raffinati sistemi, che
vanno dai bond tossici alle commissioni di massimo scoperto, ora si mettono
in fila per ricevere sostegni da parte di quello Stato che hanno sinora
indebitato vantando prestiti dal nulla, ceduti addirittura a interesse:
l’interesse dei vari BOT, BTP, ecc. quando si tratta della banca centrale, e
quello che le banche commerciali ci chiedono quando erogano un prestito a
privati o imprese.
E così, caro
Tremonti, dopo soli 6 mesi di governo, hai ammazzato la speranza,
lasciandoci solo la paura dell’anno in cui stiamo per entrare, e forse anche
di quello successivo.
La speranza,
che tuttora non vuol morire, è:
- che si
abolisca, come già cercò di fare il decreto Bersani,
- che si
riduca sostanzialmente il gravame fiscale sulle imprese, specie medie
e piccole, e sui loro dipendenti;
- che si
proroghi la legge sul risparmio energetico, considerando la sua doppia
natura virtuosa di generare un indotto calcolato in ca. € 3 miliardi e di
contribuire ai programmi di riduzione delle emissioni e quindi al
riequilibrio del clima: la sua mancata proroga è forse la più iniqua delle
misure prese, o non prese, di fronte a una crisi senza precedenti.
La risposta
sin qui data da Tremonti non è di quelle improntate alla speranza, ma alla
paura: di sforare il tetto del 3% del deficit, sul quale persino Bruxelles
s’è dichiarato disposto a transigere in questa avversa congiuntura.
Stranamente, l’uomo contrario ai “topi a guardia del formaggio”, ora si
scopre ansioso di non scalfire i loro interessi, di non aumentare la nostra
esposizione verso personaggi che non hanno fatto che scipparci il frutto del
nostro lavoro, loro stessi non essendo capaci che di stampare soldi dal
nulla, anzi sottraendoli dal nostro potere d’acquisto. Quando troverà
Tremonti, unico Ministro del Tesoro a non provenire dall’intreccio di
interessi privati bancari, a differenza di tutti i suoi predecessori, quando
troverà il coraggio di opporsi a questo sistematico raggiro del finto
prestito di denaro che la zecca di Stato potrebbe agevolmente subentrare a
stampare, anziché delegare la sua fabbricazione, a interesse,
alla lobby dei banchieri privati?
Tremonti è
la nostra residua, e sia pur fievole, speranza di uscire dalla ripetuta
paura del futuro che l’attuale sistema monetario ci infligge. Non deluda le
nostre aspettative e tagli il cordone ombelicale che ci lega ai banchieri.
Le tasse le paghiamo in gran parte per riempire le loro tasche (esentasse,
per colmo d’ironia).
Forse la mia
è una vox clamans in deserto, ma
si aggiunge ad un numero crescente di voci che denunciano il fenomeno del
signoraggio e di persone che, resene edotte, ne rimangono sbigottite. Quanto
all’impossibilità di cambiare il sistema dall’interno, si aggiunga quanto
scrive Stefano Lepri, nel suo ultimo libro: *
“La storia degli ultimi trent’anni dimostra che è più facile vincere le
elezioni facendo promesse irrealizzabili piuttosto che mettere a posto i
conti dello Stato. […] Ancora una volta, chi governa preferisce distribuire
favori e sussidi frammentati a questa o quell’altra categoria, per
catturarne il consenso, mentre i benefici per la generalità dei cittadini
sono scarsi.” Privilegi, a pochi, in cambio di voti, dai molti. Ergo,
democrazia malata, perché sempre meno rappresentativa e sempre più
ingannevole. Ormai regredita ad oligarchia, dietro la farsa delle elezioni.
Con i pupari che tirano i fili, chiunque sia al governo, come diceva
Mayer Amschel
Rothschild
già
nel XVIII secolo.
*
Stefano Lepri, “La finanziaria siamo noi”, Ediz. Chiarelettere. Ma che ci
fanno alla sua presentazione a Roma il 18 dicembre, nientemeno che a piazza
Montecitorio, Vincenzo Visco e Mario Baldassarre, che ben conoscono il
segreto del signoraggio, eppure contribuiscono al suo secolare occultamento?
Marco Giacinto Pellifroni
7 dicembre 2008 |