TRUCIOLI SAVONESI spazio di riflessione per Savona e dintorni
DEI
DELITTI,
DELLE
PENE E
DEL PERDONO
*
Nel
cuore d’Italia si erge il Vaticano, faro della cristianità. Grazie a ciò la
nostra nazione dovrebbe essere la più immediatamente soggetta ad una visione
del mondo che contempli non solo il rigore delle pene, ma anche la
generosità del perdono.
Tutto
al contrario, negli ultimi anni non si fa che ascoltare recriminazioni
incrociate sui provvedimenti del condono e dell’indulto: il centro-sinistra
critico del primo e il centro-destra del secondo. Il criterio dei giudizi
negativi non sembra colpire tanto i provvedimenti in sé, ma da quale parte
politica sono stati promulgati.
L’unico
giudizio negativo che personalmente esprimo su entrambi è l’esser stati
decretati, il primo per far cassa e il secondo per alleggerire il carico
carcerario. Soltanto papa Giovanni Paolo II, in un famoso intervento alla
Camera, esortò le forze politiche a varare l’indulto per puri motivi
umanitari. Un gesto purtroppo isolato, in un deserto di appelli a
comportarsi verso chi sbaglia con cristiana comprensione. Ma davvero chi è
incorso nei rigori della legge è sempre (l’unico) colpevole? O la sua
trasgressione, specie in campo finanziario, non è forse da dividere o
addirittura da scaricare su altri soggetti, magari nascosti nelle pieghe di
una legge fatta a solo danno del vero o presunto debitore?
L’argomento non è da riservare a dotte e sottili discettazioni di giuristi;
è terribilmente attuale in questi giorni in cui gran parte della popolazione
sta arretrando sotto un livello di vita dignitoso o, peggio, di mera
sopravvivenza. La domanda è: quando il governo nega alla gran massa dei
nuovi indigenti il soccorso vitale, giustificando la sua ministeriale
distanza con la mancanza di fondi, davvero non avrebbe altra scelta?
La
risposta non può essere immediata, ma parte dall’antica consuetudine
dell’anno giubilare; che non è il Giubileo a cui siamo stati abituati, fatto
di fastose cerimonie, pellegrinaggi, indulgenze e souvenir. La remissione
che accompagnava il Giubileo non concerneva soltanto i peccati, ma anche e
soprattutto, almeno per i poveri, i debiti. **
La
parte centrale e poco compresa del Pater Noster recita “rimetti a noi i
nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Una reciproca
dichiarazione di oblazione dei debiti, riguardanti in minima parte le classi
agiate e in misura preponderante quelle povere.
Ora, i
debiti dei cittadini appartengono perlopiù a due classi: verso le banche e
verso la pubblica amministrazione. La maggioranza degli italiani (e non
solo) oggi si trova all’interno di questa spietata tenaglia. Con
un’aggravante comune: che se non si rispettano le scadenze subentra la
mannaia degli interessi di mora e di una pletora di altre penali che rendono
un debito, già ai limiti dell’insolvenza, iugulatorio. Se si tratta di una
banca, grazie alla fideiussione richiesta per la concessione del prestito,
la banca passa al pignoramento del bene e alla sua messa all’asta: una
sciagura talmente diffusa e discussa oggigiorno che non mi ci dilungo oltre.
Nel caso dello Stato, includendo nel termine tutti gli enti pubblici o
autorizzati a comportarsi come tali quando si tratta di escutere bollette
per beni di prima necessità, se il cittadino non riesce a saldare il suo
debito, le penalità crescono ad un ritmo ben superiore ai tassi di usura,
portando chiunque alla rovina.
Vorrei
allora ricordare, anche a Sua Santità, che già Lo
Spirito del Signore è sopra di me; per
questo mi ha unto e
m’ha inviato a predicare ai poveri la buona novella, ad
annunziare ai prigionieri la liberazione e
ai ciechi il recupero della vista, a
mettere in libertà gli oppressi e a
promulgare un anno di grazia del Signore.
L’anno
di grazia è, appunto, il Giubileo.
Tutti
diamo per scontato che al prestatore siano dovuti degli interessi,
trasformando i soldi in produttori inerti di ricchezza, a spese dei
produttori dinamici di ricchezza: i debitori. In pratica si dà un valore
pecuniario al tempo. Time is money,
il tempo è denaro, dicono gli anglosassoni. Ma perché mai dovrebbe esserlo?
Attribuire al tempo un valore monetario significa giustificare l’interesse
sui crediti, con un unico e certo risultato: la progressiva svalutazione del
denaro, ossia la sua perdita di potere d’acquisto, con l’alternanza di
deflazione, che è sì maggior potere d’acquisto ma con ben minore quantità di
soldi nelle tasche della gente. Se invece dell’interesse le banche
chiedessero soltanto il compenso per i loro servizi di intermediatori del
credito, la finanza non finirebbe con l’avere periodicamente il sopravvento
sull’economia reale, alla quale è estraneo il concetto meramente finanziario
di interesse. In altri termini, ad ogni creazione di beni o servizi
corrisponderebbe una pari creazione di moneta, anziché doverla creare in
sovrappiù per monetizzare l’interesse, ossia una voce immateriale e
parassitaria.
I
secoli medievali, più genuinamente cristiani di quelli a noi più prossimi,
consideravano usura ogni forma di interesse. E continua tuttora a
considerarla tale il mondo islamico, sul quale comincia a svilupparsi
perlomeno una certa curiosità da parte di economisti occidentali, alle prese
con un mondo sempre più strangolato dai debiti.
Venendo
ai nostri problemi più immediati, ritengo che una misura di grande sollievo
per molte famiglie e single indebitati
verso lo Stato e i suoi satelliti, che ne esigono il
pagamento attraverso l’istituzione privata scelta per svolgere il
lavoro sporco dell’esazione coatta (Equitalia), sarebbe quella di azzerare
almeno gli interessi di mora e tutta la ridda di penali accessorie che
aggravano ogni bolletta morosa. Esattamente come fece il passato governo
Berlusconi, col tanto criticato condono. Lo stesso dicasi per tutte le cause
tuttora in corso per reati minori soggetti all’indulto: che senso ha
svolgerle, in Tribunali oberati da enormi arretrati, sapendo che si
concluderanno con un’assoluzione?
Problemi eccezionali, misure eccezionali, si sente ripetere. Ma sarebbero
eccezionali i € 40 mensili della
social card a chi ne ha i requisiti, lasciando a secco chi ne è appena
al di sopra (stiamo parlando di un tetto di € 500 mensili!), ossia gran
parte della (ex) classe media? Invece di aiutare a pagare, peraltro in
misura irrisoria, i debiti che assillano i più poveri, non sarebbe più
saggio, se non azzerare i debiti, depurarli almeno di tutti gli interessi?
Non si
può, sanno solo dire le banche e un Governo loro vassallo all’unisono. E non
a caso: il primo si riconosce il più grande debitore delle seconde; e queste
non vogliono rimetterci nulla delle truffe fatte dalle loro consorelle
americane, vogliono che a pagarle siamo noi cittadini, strangolati dai loro
mutui, un tempo facili e oggi insostenibili: debiti che vanno a sommarsi a
quelli di uno Stato forzato a praticare l’usura pur di onorare i suoi
presunti debiti verso le banche, ossia il famigerato servizio del debito,
senza che nessuno spieghi quale servizio è mai stato fornito all’origine
dalle banche allo Stato (né dalle banche ai cittadini, se non la creazione
legalizzata di denaro dall’aria). Il tragico è che tot (8, 12?) trilioni di
€ (e $) sono stati pompati dalla BCE (e dalla
Fed) “per salvare le grandi banche”, senza loro apparente traccia, a
giudicare dalla deflazione dilagante per il pianeta.
Che
questo “servizio del debito” sia irreale e quindi non dovuto l’ho detto e
ridetto alla nausea in cento miei articoli. Qualora mai questo concetto si
facesse la dovuta e doverosa strada si converrebbe che solo un Giubileo,
religioso e laico, potrebbe portare alla cancellazione di debiti, interessi,
more e simili strumenti demoniaci, liberando davvero i prigionieri e
ridonando la vista ai ciechi, con l’annunzio della tanto attesa buona
novella. Ciechi siamo infatti noi tutti, in quanto tenuti all’oscuro del ben
custodito segreto bancario: non quello dei nostri conti correnti, ormai a
totale disposizione del fisco, ma quello delle banche che si sono
auto-insignite della competenza, costituzionalmente statale, di emettere
moneta che non hanno, gravata per giunta di interessi, sia ai cittadini che
allo stesso Stato. Uno Stato ostaggio dei banchieri, che non trova la forza
di strappare a costoro nemmeno l’indispensabile per vivere dei suoi
cittadini: impoveriti proprio a causa dei soldi che devono sudare e sputare,
per poi pagare la cupola bancaria transnazionale attraverso le tasse che lo
Stato impone e fa valere a colpi di ingiunzioni e aule giudiziarie, dove le
parcelle degli avvocati assestano il colpo finale alle finanze degli
insolventi.
Un’aspettativa messianica, utopica, eversiva? Non più eversiva della
situazione in cui la finanza criminale e truffaldina ci ha trascinati, senza
pagarne il fio. O forse il cristiano perdono vale solo per i CEO di Wall
Street ma non per le loro vittime?
Forse
che se lo Stato non ripagasse il mostruoso “servizio del debito” (come non
riuscirà mai a fare, peraltro) e nemmeno gli interessi (€ 80 miliardi l’anno
in corso), crollerebbe il sistema? Ma qualcuno ancora crede che sia un
sistema quello attuale, con titoli tossici equivalenti a 10 volte il PIL
mondiale ($ 470 trilioni contro un PIL mondiale di 47)?
Altro
che “consumate!”, come il Cavaliere già incitava a fare una decina di anni
or sono. Ci dia prima i mezzi per farlo e sarà accontentato. Ne parli col
Papa teologo, e insieme indicano un Giubileo, non limitato ai nostri
peccati, ma anche ai nostri debiti, come supplica la prima preghiera
cristiana. Ci aiutino a salvare il corpo, non solo l’anima.
Quando
il Giubileo si preoccupava anche di coloro che ai debiti non riuscivano a
far fronte, questo evento era atteso come una “manna laica”, perché i
debitori uscivano di prigione, e mogli e figli dati come schiavi venivano
liberati. Oggi non è più così, per fortuna, ma togliere il lavoro e la casa
equivale a distruggere intere famiglie (e
single,
oggi altrettanto diffusi). Un risultato non poi tanto dissimile.
Giubileo suona male alle orecchie secolarizzate dei politici? Berlusconi dia
incarico agli uffici pubblicitari di Mediaset di ingegnarsi a trovare un
altro nome, magari più trendy, e
ce lo metta sotto l’albero di Natale, coi complimenti del Presidente
operaio; anzi, precario, cassintegrato o disoccupato, per adeguarsi ai
tempi: scelga lui.
*
Il titolo echeggia il
trattatello “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria (1764),
con la cristiana aggiunta del perdono. L’articolo è una sintesi della
relazione tenuta dall’autore al convegno “Finanza e Vangelo: temi
inconciliabili?”, Finale Ligure, 30 novembre 2008.
**
Cfr. Michael Hudson “Thinking the unthinkable…”, Global Research 24/09/2008;
Luigi Zingales “Why Paulson is wrong”, Vox, 21/09/2008; Maurizio Blondet,
“La soluzione al crack secondo Luca”, Effedieffe, 25/09/2008.
Marco Giacinto Pellifroni
30 novembre 2008 |