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Opinione/Una “voce” savonese nel dibattito. Cosa ne pensano insegnanti e studenti?

<Lo sfascio dell’Università

e quel famoso 3+2, “in primis”>

Colpe equamente distribuite tra centro destra e centro sinistra con scelte scellerate

L’”onda” di contestazione e rivolta  alla “riforma”. E il revival mediatico di Gelli

       di Franco Astengo

 

Guardare ma non toccare, è una cosa da imparare: così recitava una vecchia filastrocca delle nonne.

Una filastrocca che si potrebbe benissimo adattare come motto rivolto al mondo politico, nei confronti dell’ondata (proprio definita “onda”) di contestazione rivolta alla presunta “riforma” della scuola e dell’Università.

In questi giorni si stanno sprecando i paragoni “storici”, in particolare con il ’68 di cui ricorre proprio il quarantesimo anniversario, e con la fase della teoria degli “opposti estremismi” che tanto piacque (e tanto piacerebbe) ai cultori dell’ordine costituito (un certo tipo d’ordine, beninteso: ed il revival di Licio Gelli sulla scena mediatica, suggerisce molto considerazioni, anche maliziose).

Nulla di tutto questo, beninteso e non vale nemmeno la pena di elencare le diversità.

Purtuttavia qualche elemento di analisi è forse il caso di fornirlo: prima di tutto siamo davanti ad una forma di contestazione che non ha ancora assunto la forma di un “movimento”, ha fatto fin qui capo per le sue scadenze complessive ai sindacati della scuola e si muove, per il resto, con assoluta spontaneità; si tratta , davvero, di un movimento “trasversale” nel senso moderno del termine (non quello, abusato, della “trasversalità” partitica, oggi reso obsoleto dalla struttura ormai assunta dal sistema politico italiano). “Trasversale” perché non fa questione di “status” all’interno del comparto toccato dai provvedimenti del governo: non si tratta di scioperare assieme ai professori, che tengono lezione in piazza, per via di una sorta di “immaturità” degli studenti ( noi nel ’68, sapevamo arrangiarci da soli, dicono i sapientoni), ma della consapevolezza di essere sul serio sulla “stessa barca”. Una risposta meritano anche quelli, come Umberto Eco, che pensano si stia difendendo i “baroni”. In questo senso basta vivere da dentro la realtà universitaria, per rendersi conto che si parte da un punto talmente basso da pensare sia possibile “difendere” qualcosa o qualcuno, si tratta semplicemente di affermare un’esistenza, direi quasi un “indice di sopravvivenza” e da lì cercare di ripartire, grazie ad un nuovo protagonismo dei soggetti interessati. Lo sfascio dell’Università, del resto, ha tanti padri di centrodestra e di centrosinistra, con responsabilità equamente suddivise al riguardo di scelte scellerate (il famoso 3+2 “in primis”).


Licio Gelli
Accennavamo ai paragoni con il ’68: a parte il piccolo particolare dell’internazionalizzazione di quel momento storico e delle condizioni complessive della società (non a caso, oggi, si sostiene che quel movimento abbia inciso, alla fine, più sul costume civile che sulla politica: e pare un giudizio condivisibile), esisteva una richiesta “politica” molto diversa, in una fase in cui il peso dell’ideologia era molto rilevante e la traduzione pratica dell’ideologia richiedeva uno sbocco di organizzazione politica:

nacquero così i “gruppi”, in gran parte come “deviazione” del grande filone del movimento comunista internazionale (all’epoca alle prese con il conflitto cino/sovietico) e di cui trassero alimento, alla fine, i partiti storici che, in Italia, usufruirono anche di un’altra particolarità che appare dimenticata dagli odierni commentatori: la stagione del ’68 confluì, in Italia, con l’autunno caldo del 1969, in una fase di grande fermento sindacale, non solo per via della stagione contrattuale dei metalmeccanici: si puntava all’unità sindacale, le commissioni interne stavano trasformandosi in consigli, entrava in vigore lo Statuto dei Lavoratori, si completava il processo di migrazione ed urbanizzazione dal Sud verso il Nord, creando le condizioni per la costruzione di una nuova soggettività del lavoro.

Lo squarcio di Piazza della Fontana rappresentò un freno, ma non fermò quel complesso movimento che ebbe un ruolo decisivo per l’attuazione di un cambiamento profondo.

Oggi le cose stanno molto diversamente, com’è facile comprendere soltanto guardando i fatti: è improbabile una saldatura con una nuova stagione di lotte sindacali, anzi anche lì giochiamo in assoluta difesa per cercare di evitare il definitivo isolamento della CGIL, la richiesta di soggettività politica non esiste, la società ha assunto un aspetto individualistico e consumistico che può essere combattuto soltanto attraverso una ripresa di lotta, questa sì “ideologica”, che nessun soggetto politico pare aver intenzione di intraprendere.

Soggetti politici ormai del tutto ripiegati nella logica della governabilità e dell’elettoralismo: per questo “guardare ma non toccare”.

La sinistra italiana non ha né cultura, né capacità di rappresentanza per offrire a questa situazione una sponda accettabile.

Deve costruirsi un altro compito: quello di lavorare per creare un “ambiente” politico diverso, di vera e propria ricostruzione della democrazia, vorremmo dire degli spazi d’agibilità democratica.  Le incertezze e la vacuità del PD, il residualismo “funzionariale” di Rifondazione Comunista, ci hanno fatto più volte affermare che serve una nuova e diversa soggettività: per intanto, senza alcuna tema di passare per quegli spontaneisti che assolutamente non siamo, rivolgiamo un invito: lasciate che la contestazione nella scuola e nell’università, seguano i loro percorsi.

Si tratterà di un periodo, più o meno breve, poi i fuochi si spegneranno com’è naturale, ma la speranza è quella che, al di là dell’esito, rimanga un sedimento di nuova consapevolezza e di nuova voglia di protagonismo e partecipazione.

Sarebbe già un buon risultato.

 

Savona, li 1 Novembre 2008, Franco Astengo