Ecco come Savona
cancella la sua Storia
Il presidente della Consulta Culturale:
"Definitivamente
sbancati i resti del Castello di San Giorgio e quanto rimaneva del Borgo
del Molo. Costretti a seguire i lavori del Crescent con il binocolo
dall'alto della Fortezza. Salviamo almeno quello che rimane
dell'Arsenale Sforzesco"
di Luciano Angelini
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E' difficile ritrovare e riappropriarsi della propria Storia,
rimarginare ferite profonde, specchiarsi nel proprio passato a quasi
cinque secoli di distanza. Tanto è trascorso dal giorno in cui
Antoniotto Adorno, doge di Genova, e Andrea Doria decisero di usare il
pugno di ferro nei confronti della città, da sempre rivale della Superba
(Savona con Cartagine, Genova con Roma; Savona ghibellina, Genova
guelfa; Savona con i francesi di Francesco I, Genova con gli spagnoli di
Carlo V). |
E fu la distruzione
dell'acropoli, lo smantellamento della Cattedrale, la distruzione del
Palazzo Vescovile, dell'ospedale della Misericordia e di quello degli
Incurabili, della chiesa e del convento di San Domenico, delle dieci
chiesette delle Confraternite religiose, il taglio delle torri, la
demolizione e la scomparsa di tutte le case dei quartieri medievali
dell'Unzeria, corrispondente a tutta la vasta area compresa tra i
palazzi di corso Mazzini e la Fortezza, dell'Ivario e le mura cittadine
del Muretto, che collegavano San Giorgio col Castello Santa Maria, ben
al di dentro del muro di recinzione dell'ex Italsider, l'interramento
del porto. Una città spezzata, come le sue torri. Umiliata. Ma non
piegata.
Ma il passato non
era del tutto cancellato. Perduto. Una
porzione di esso “dormiva” fino a due-tre anni fa sotto detriti,
materiali di riporto, macerie, edifici, sconvolgimenti avvenuti nel
corso dei secoli. E poteva e in parte può ancora riaffiorare. Ma quando
si apre uno squarcio, una possibilità di ritrovare, disseppellire una
piccola parte di quella che fu la splendida Savona tra il 1100 e il XVII
secolo, ecco nuove incursioni, distruzioni, sconfitte. Le potremmo
definire le “invasioni” del Terzo Millennio. Ruspe, scavi, riempimenti.
Cemento per progetti firmati da architetti prestigiosi al servizio di
progetti urbanistici avveniristici e ambiziosi. Con la palese
incompatibilità di conciliare passato e futuro, storia e business. Così
è stato per l'antico promontorio di San Giorgio, sul quale già nel 1100
sorgeva la omonima chiesa e, più tardi, fino al 1648 il Castello di San
Giorgio, in parte spianato e poi completamente interrato verso la fine
del XVII secolo per creare gli spalti a nord della Fortezza del Priamar.
Con il promontorio vennero interrati i resti di molte parti della Savona
più antica: a sud-est la spiaggia con l'Arsenale, a est e a nord-est il
Borgo del Molo, a ovest e nord-ovest le case del quartiere dell'Ivario,
a nord le fondamenta della città e forse alcune torri del Castello e
l'adiacente, antichissimo primo molo della città.
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L'antico promontorio San Giorgio |
Lavori per Orsa 2000 |
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Un allarme che arriva da lontano. La Consulta culturale savonese
(Italia Nostra, Campanassa, Società di Storia Patria, sezione
Sabazia dell'Istituto di Studi Liguri) lo aveva lanciato già
all'indomani del via libera del Comune alla variante urbanistica che
ha svincolato l'ex Italsider e spianato la strada al progetto Bofill.
E non da ieri. Porta la data 8 ottobre 1996 il documento della
Società di Storia Patria per segnalare agli amministratori e alla
Soprintendenza archeologica i rischi per “le aree immediatamente
circostanti il complesso monumentale del Priamar e adiacenti al
porto di Savona, dove sono sicuramente presenti importanti
testimonianze archeologiche”.
Ma quell'allarme,
ripetuto più volte nel corso degli anni, è rimasto inascoltato.
Ultimo atto, la progressiva demolizione del promontorio roccioso di
San Giorgio, nell'area ex Italsider compresa tra la ferrovia del
porto e corso Mazzini, “parte antichissima della città, interessata
con gli approdi circostanti dagli insediamenti preromani della Savo
oppidum alpinum”.
Italia Nostra e poi la Consulta avevano chiesto con forza lo stop
dei lavori di demolizione. Invano. Nessuno può dire di non aver
saputo. E il presidente, Rinaldo Massucco, non concede sconti.
“Dell'esistenza e dell'importanza di quella parte dell'antica Savona
nei decenni scorsi abbiamo avvertito amministratori, tecnici e
funzionari. |
Con la morte dell'ex Ilva, quelle vastissime aree, in
origine tutte di proprietà pubblica, potevano tornare al servizio
della città, per recuperare e valorizzare i resti più antichi e per
riutilizzare diversamente le altre parti. Ma nessuno ci ha dato
ascolto, finché ai resti ignorati della nostra città sepolta, il
cosiddetto Master Plan dell'architetto Bofill ha sovrapposto senza
alcuna esitazione l'enorme palazzo del Crescent (sette piani, un
piano terra per uffici, due piani di posteggi sotterranei per una
superficie complessiva di 1.647 metri quadrati; più un secondo
edificio di quattro piani destinato a uffici, più un piano terra, di
445 metri quadrati a piano; a fianco un ulteriore corpo-scala da
destinare sempre ad uffici di 480 metri quadrati per piano, con box
interrati, oltre a parcheggi privati per oltre 8 mila metri
quadrati, ndc)”.
Irregolarità? Convenienti dimenticanze? Taciti consensi? Orsa 2000 e
Autorità Portuale sostengono che tutto è avvenuto con il controllo
di esperti, rispettando le regole. Massucco non è d'accordo. “Per
tutto il 2006 nell'area ex Italsider sono stati condotti saggi
archeologici regolari, ma sono anche avvenute operazioni molto
strane. Mi riferisco alle grandi scavatrici che ogni tanto aprivano
profonde buche nel terreno in assenza di archeologi che
controllassero, dopo di che le buche venivano di nuovo riempite,
magari con materiale diverso come quello proveniente dalla
demolizione dei capannoni ex industriali. Abbiamo avuto più volte
l'impressione che con tali azioni le pre-esistenze archeologiche
venissero volutamente distrutte, senza la sorveglianza prescritta
della Sovrintendenza. In parecchi altri casi sono stati inoltre
condotti notevoli sbancamenti, senza la dovuta assistenza
archeologica, come rilevato non solo da noi, ma perfino denunciato
ad aprile 2008 dalla stessa Soprintendenza archeologica”.
Quali rischi e quali
speranze di riportare alla luce le vestigia di una importante fetta
della storia della città? “Le nostre richieste di stop ai lavori di
demolizione del promontorio di San Giorgio sono rimaste lettera
morta. Risultato: sono stati definitivamente sbancati i resti del
Castello di San Giorgio e quanto rimaneva del Borgo del Molo. Mi
preme ricordare che alla nostra Consulta Culturale è stato persino
negato l'accesso all'area di scavo per qualche visita. E a noi non è
rimasto altro che guardare con il binocolo dall'alto della Fortezza
il lavoro delle ruspe”.
Qualcuno,
nell'audizione a Palazzo Sisto IV sul Progetto Fuksas, vi ha
accusati di essere “vetero comunisti” e “nemici del progresso”.
Massucco non raccoglie la provocazione. “Noi non pretendevamo e non
pretendiamo di conservare tutto quanto è sepolto nei terrapieni ex
Italsider, ma ritenevamo e riteniamo che anche Orsa 2000, come ha
fatto finora l'Autorità Portuale, dovesse finanziare tutte le
ricerche archeologiche necessarie per documentare gli antichi resti
archeologici. Tutto quanto era ed è ancora sepolto era ed è un
patrimonio pubblico della città, un patrimonio che è quasi del tutto
scomparso per sempre, con il complesso del Crescent, con i suoi
appartamenti di lusso, uffici e box come pietra tombale. Aggiungo
che nell'area di Orsa 2000 compresa tra la strada urbana e la nuova
strada portuale gli scavi devono ora necessariamente proseguire,
evitando nuovi sbancamenti incontrollati, per portare completamente
alla luce le strutture dell'importante Arsenale Sforzesco eretto nel
1472 dai Duchi di Milano, di cui non esistono vedute attendibili o
cartografie”.
Ma la “legge del
cemento” non consente nostalgie. Né ritardi per qualche spicchio di
Storia sepolto da secoli. A Roma c'è un vecchio detto: “Quello che
non fecero i barbari, lo fecero i Barberini”.
LUCIANO ANGELINI
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