TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni
PENSIONI E
TFR: C’É DA FIDARSI?
Apprendo che il fondo pensioni, integrativo e obbligatorio per
legge, degli agenti e rappresentanti di commercio, Enasarco, risulta
avere investito la bella cifra di € 500 milioni in fondi di fondi
garantiti alla scadenza dalla fallita Lehman Brothers, che fa parte
di quell’accrocchio di banche d’investimento e assicurazioni
crollate sotto il peso delle loro scriteriate operazioni
finanziarie, per le quali ora chiedono il salvataggio dalle tasche
dei contribuenti americani; ma, a quanto pare, non solo americani,
visti gli enti coinvolti in giro per il mondo.
In attesa dell’esito, non scontato, del proposto “prestito” di $ 700
miliardi (per ora) per salvare l’economia da un crollo dalle
conseguenze orribili, oserei chiedere timidamente all’attivissimo
Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che
l’estate del 2007 è stato gratificato della consulenza per Goldman
Sachs (tra i maggiori responsabili del disastro in atto), di fare,
per una scheggia del suo pagatissimo tempo, una consulenza anche a
noi. Potrebbe cortesemente spiegarci come è potuto succedere che i
più grandi ladri del mondo, di cui egli s’è messo orgogliosamente al
servizio, e di cui dovrebbe oggi vergognarsi, si siano accaparrati
trilioni di dollari di tutti noi, attraverso gli uffici di banche
globali in combutta con pubblici amministratori forgiati alle regole
di quella stessa Goldman Sachs che la fa da padrona nei Ministeri
economici delle nazioni, Stati Uniti in testa, dove il Ministro del
Tesoro Hank Paulson è stato prestato a tale incarico dalla Goldman
stessa, continuando a comportarsi da suo numero uno, come ha
dimostrato in questi giorni? Inciso: per fortuna il nostro Tremonti
è lontano mille miglia dalla banda, e anzi ne indica i membri come
topi messi a guardia del formaggio (i nostri soldi).
Attenderei invano la risposta di Gianni Letta, indaffaratissimo a
prestare la sua consulenza all’altro, pur meno invasivo, pasticcio
di Alitalia; per cui proverò a trovare io stesso una spiegazione.
Vado dritto al punto: assicurazioni e garanzie. In tempi che oggi
sembrano preistoria, le compagnie di assicurazione si tutelavano
dall’eventuale insolvenza investendo i premi degli assicurati in
immobili di prestigio, su cui compaiono tuttora nei grandi centri
urbani le targhe di proprietà. Inoltre, si guardavano bene dal
fornire garanzie superiori ai loro asset, e rifuggivano come la
peste sinistri che potessero coinvolgere un elevato numero di
assicurati, quali le catastrofi naturali di ampio raggio, anche se i
premi in tali casi sarebbero stati estremamente appetibili, per
numero e per entità, in proporzione al rischio. Nei casi dubbi, le
compagnie nazionali si riassicuravano a loro volta presso grosse
compagnie internazionali, come i leggendari Lloyd’s di Londra. In
quei tempi le assicurazioni non erano ancora gli avidi giocatori
allo scoperto che oggi operano guidati soltanto da un unico movente:
l’avidità di guadagni facili e rapidi, cui si accompagnano
inevitabilmente rischi superiori alle loro risorse.
Oggi non sono soltanto le tradizionali assicurazioni a coprire i
clienti dai rischi: ci si sono affiancate, superandole, le banche
d’investimento (defunte e in parte risorte sotto diverse spoglie la
settimana scorsa) e le CIB, ossia le branche d’investimento
(anch’esse in via di smantellamento) delle grandi banche mondiali.
Quando le banche commerciali nostrane concedono un mutuo lo fanno
ancora coi vecchi criteri: mandano un perito a valutarti la casa e
su tale base ti concedono un tot percento del suo valore. Non così
le banche americane: nessuna perizia, nessun controllo della tua
solvibilità. Tanto poi il rischio lo spalmano su altri emettendo
titoli in base alle fasulle o inesistenti garanzie di solvibilità
dei mutuatari, peraltro cinicamente strangolati da metodi di
rimborso che partono da tassi ragionevoli per poi schizzare all’insù
dopo un breve periodo di grazia, diventando di fatto insostenibili.
A rendere appetibili quei titoli ci pensano le società di rating,
che tranciano un giudizio sulla solidità della banca emittente,
generalmente verso i massimi: tripla A. In più, per ostentare
un’aura di correttezza, i bilanci della banca vengono valutati da
auditor, revisori “esterni” dei conti. Alla fine, a disastro
avvenuto, si scopre che valutatori e revisori sono soci o a libro
paga delle banche che dovrebbero controllare, e si decidono a
emettere pareri negativi solo il giorno del fallimento! (Non
scherzo: con Lehman è successo).
In sintesi, un carosello di assicuratori e garanti di assicuratori
collusi con l’emittente.
In ogni caso, e questo vale per tutte le banche, sia nel momento in
cui presta sia in quello in cui è la banca a ricevere un prestito, è
la banca il contraente in difetto. Essa infatti, pur non potendo
assicurare il rimborso a coloro che nella banca hanno investito i
loro soldi, non esita, quando si inverte il ruolo, ad estorcere il
pegno fornito dal mutuatario (la sua casa), come se il contratto di
mutuo fosse stato stipulato in condizioni paritetiche di solvenza.
Tu cliente devi darmi un pegno, nel caso non mi ripagassi; io banca
invece no.
Quindi, a quanti in questi anni mi hanno tacciato di accanimento
ossessivo contro le banche rispondo: ecco, questo è il risultato di
quanto io ho denunciato e per cui sono stato quasi preso per
mono-maniaco. Che quanto scrivo sia almeno di monito a diffidare
dell’ultima moda dei TFR
versati a banche o assicurazioni private. Fidatevi solo dell’ultimo
baluardo rimasto: l‘INPS, garantita dallo Stato. Se non altro è
azionista al 5% di Bankitalia. E non è poco, con quello che si porta
a casa col signoraggio monetario.
Gli americani paragonano la situazione di oggi al 1929 e al 1941,
dopo l’attacco di Pearl Harbour: anni cui sono seguite la Grande
Depressione e la Seconda Guerra Mondiale. Che l’ultimo anno sia
stato foriero di mutamenti epocali, simili a quelli climatici, come
lo sono state le misure prese, a torto o ragione, per fronteggiare
il terrorismo dopo l’11 settembre 2001, è ormai sensazione diffusa
anche da noi tra la gente comune. La proverbiale diffidenza delle
banche nei riguardi dei mutuatari s’è in breve tempo ribaltata e
sono i loro clienti che oggi esitano a depositare i propri sudati
risparmi nei loro vacillanti conti; questo in quanto tutti ritengono
che questo sia solo un assaggio di quanto di ben peggio si profila
all’orizzonte.
In questi tempi di estrema incertezza sono in molti a chiedersi se
non sia meglio investire i propri risparmi (quando ci sono) in
qualcosa di solido: e se sinora è stato il mattone, l’attuale
inflazione di cemento porta a guardare all’oro, non più “relitto
barbarico”, come un banchiere l’ha recentemente definito, ma eterno
bene rifugio, nonostante gli sforzi che le banche hanno messo in
atto per sconfiggere il loro secolare, luccicante nemico.
Marco
Giacinto Pellifroni
settembre 2008
|