Il secondo :
il “gran contenitore riformista” deve diventare tale altrimenti
perde la sua funzione, il suo obiettivo, e resterà sempre un
progetto incompiuto, in crisi crescente di condivisione, scosso
dalle liti interne a causa delle quali non attirerà nessuno e verrà
visto sempre come un qualcosa di incompiuto, un luogo chiuso,
riservato a pochi eletti, dove amici degli amici entrano per
ricavarsi un piccolo spazio di potere e se non lo trovano lo
abbandonano.
Il terzo :
fare proposte alternative alla destra e
su quelle iniziare la costruzione della
“cultura politica nuova
dandoci appunto una mossa”….
Il quarto
: radicare il progetto, che non significa fare tesseramento a
casaccio per far vedere che l’adesione esiste e stilare qualche
classifica d’importanza comunale, ma evitare che ogni spazio
pubblico sia precluso dalla demagogia dell’informazione deviata e
dal populismo dell’antipolitica, radicare vuol dire portare le idee
tra la gente, ascoltarla preventivamente e non dopo aver deciso una
qualche fase programmatica, significa eliminare quella cappa di
elitarismo e donare un’essenza popolare, radicare non significa solo
invitare alle riunioni di circolo ma portare la politica fuori dalle
stanze.
L’onestà con la quale si perseguirà quest’ultimo
obiettivo darà la misura delle capacità di resurrezione della
sinistra e in prospettiva del centro sinistra, un popolo che si è
emancipato culturalmente e che non aspetta più decisioni piovute da
quel “centralismo democratico” che oramai non ha più ragion
d’essere.
Ovviamente ce ne sarebbero altri di punti molto
importanti da segnalare, anzi ce ne sono senz’altro, però riesce
difficile fare proposte senza un punto di appoggio certo che abbia
la volontà di ascoltare, senza riuscire a far convogliare in un
progetto comune e unitario le giuste rivendicazioni che sono parte
della storia della sinistra italiana e della migliore tradizione
riformista.
Io vorrei che si comprendesse questo : andare
avanti di pari passo tra futuro del Paese e futuro del PD diventa
oggi essenziale.
Su questi ultimi due punti
lascerei stare il primo perché troppo complesso per dare un’opinione
decente
in una sintesi da blog e proverei invece
a concentrare l’attenzione sul secondo.
Il polverone alzato delle
elezioni di aprile sta lentamente scemando e lascia intravedere un
panorama desolante per la sinistra e per il centrosinistra in
generale, si vedono solo “fumo e tende
capovolte” per dirla alla De Andrè.
Lo
“schieramento avverso”
ha fatto terra bruciata non soltanto di consenso, di voti ottenuti,
ma soprattutto ha seminato sul campo di battaglia il germe di
un’idea che sta crescendo, che lo indica come il solo salvatore
della patria, sta radicando un percorso culturale arretrato
approfittando delle debolezze delle persone, dei loro bisogni, delle
loro difficoltà, si appropria dei loro sogni, tenta di controllarne
le menti imponendo l’educazione settaria della difesa
dell’esistente, vuole imporre la sua idea antisolidale tentando di
spaccare il mondo del lavoro, spegnendo la luce sul futuro delle
nuove generazioni.
Come si fa a non vedere che tutto ciò è
profondamente sbagliato? Come si fa di fronte a tutto questo a non
capire la piccolezza delle dispute locali su un potere che sarà in
ogni caso sempre più effimero se non si riparte dal coinvolgimento
sociale?
Ma non sarà cosa semplice fare comprendere il
contrario soprattutto se chi dovrebbe farlo è alle prese con liti
intestine che distolgono dalla realtà degli eventi e che non
porteranno a nulla di buono se non si mette un freno a tutto ciò.
Francamente la domanda era se il giorno dopo
l’aprile 2008, preso atto di ciò che tutti temevano, si sarebbe
iniziato un percorso che guardasse avanti.
La domanda non ha ancora
risposta o per lo meno qualcuna è arrivata ma non è quella che ci si
aspettava, si è rimasti inchiodati ai blocchi di partenza per i
riformisti e dalla parte
più “a
sinistra” la situazione è ancora
peggiore visto che in pratica ha deciso di difendere a spada tratta
una bancarotta storica, dimenticandosi della sua funzione e penso
che ciò che sta mettendo in campo sia molto lontano dalla tradizione
del PCI alla quale si richiama negli slogan e nelle bandiere.
Il vero cuore della migliore tradizione del PCI
a mio parere è trasmigrato nel PD, non nelle altre forze
frammentate della sinistra, questo da un po fastidio anche se tutti
lo sanno e se ne sono accorti,
perché di quel Partito Comunista l’unico filone che ha
resistito è soltanto quello riformista dei Napolitano e di molti
altri.
Chi lo ha vissuto sa bene
che al di là di questa tradizione è sempre esistita una corrente più
massimalista dove hanno confluito diverse aree di pensiero politico
e il destino di queste aree non è irrilevante ai fini di un
equilibrio politico in Italia e della forza del sistema democratico,
per questo ci si aspettava dalla “sinistra
più a sinistra” dopo la debaclé di
aprile una svolta in avanti, o almeno un modo di declinare il
massimalismo in forme moderne, ma la risposta che è arrivata è stata
di tutt’altro segno da quella auspicata.
Dal partito “di
lotta e di governo” , che per inciso mi
era alquanto incomprensibile, si è passati solo alla lotta e se ci
saranno conseguenze sui governi locali che si rinnoveranno in gran
numero molto presto ognuno saprà quindi dove andare a chiedere
spiegazioni, ognuno si assumerà le proprie responsabilità politiche.
Sono oramai convinto
anch’io - come d’altronde tutti pensano - che non sia il caso di
analizzare altre forze politiche
sedicenti di sinistra ancora presenti
sul panorama politico italiano, perché a parte qualche ricattuccio
di bassa lega messo in pratica in qualche amministrazione locale,
sono destinaste alla progressiva scomparsa.
E per chiudere il discorso
direi che nel Partito Democratico non solo è trasmigrato il
riformismo comunista ma anche la parte cattolico democratica che
rappresentava la migliore tradizione della DC,
quella per capirci di un Aldo Moro che
poneva degli stop alle ingerenze della Chiesa, quindi direi che è
ora di piantarla con tutti i distinguo se veramente si vuole andare
avanti, concentrandoci sulla “cultura
politica nuova” e appunto
“……dandoci una mossa….”
Su quest’ultimo punto - sul quale non credo
proprio di essere l’unico che lo condivide - da molti pronunciato
con enfasi costruttiva anche di recente si gioca il futuro del
centrosinistra e dell’Italia.
Francamente penso che allo stato attuale ognuno
debba compiere un atto di responsabilità, il che non vuol dire
intavolare una trattativa per conquistarsi qualche posto qua e là in
qualche ente locale, di queste dispute spesso oscure non c’è alcun
bisogno e non penso che tali risoluzioni anche se attivate saranno
comprese dall’opinione pubblica in modo positivo, ma saranno
classificate come un ricatto che porta alla ricerca di prebenda
personale.
La responsabilità verso il nostro paese richiede
ben altro che strappare qualche Sindaco in qualche sperduto comune o
trasmigrarne qualcuno in carica o in odore di riconferma ad altri
incarichi, ma si deve ricercare la ricostruzione di un tessuto
sociale oggi disgregato e sofferente in balia delle ondate
irresponsabili che una classe politica, autoritaria e clientelare,
avida di potere gli sta gettando addosso.
La forza per far nascere questo senso di
responsabilità non cade dal cielo ma può soltanto essere frutto
dell’impegno politico e delle capacità aggreganti di un grande
progetto riformista italiano dove non può esserci posto per né per i
distinguo, né per le trattative spartitorie, né per risentimenti
dovuti a incarichi negati.
L’esortazione ai valori della Resistenza che si
sta cercando di affossare e sulle cui lotte si è fondata la nostra
democrazia è sempre più spesso richiamato, con ragione, e sono
valori difesi con forza anche dal Presidente Giorgio Napolitano e
non solo per dovere Istituzionale, ma se da quel grande movimento di
libertà che sono state le lotte di Liberazione si vuole veramente
carpire qualcosa, se lo vogliamo veramente noi che siamo venuti
dopo, se vogliamo veramente prendere in mano la bandiera della
giustizia sociale io credo che oggi quel momento sia tornato, anche
se per fortuna declinato diversamente, ma in quei valori
resistenziali unitari ognuno di noi potrà trovare le motivazioni che
cerca per continuarli oggi.
Di fronte alla grande storia del nostro paese un
progetto riformista, come quello che potrebbe nascere dallo sviluppo
e dalla crescita politica inclusiva del Partito Democratico, non può
essere quindi ridotto a un bancomat della politica, dove si entra
per avere e si esce quando questo avere viene meno o viene messo in
forse, non può essere il mezzo per salire la scala sociale e
ricavarsi un posto al sole, non può essere il veicolo per mettere
del pane nel cassetto, non può essere il mezzo per una resurrezione
politica personale, perché è noto che così oggi viene letto il PD ed
è altrettanto noto che questo progetto non è stato avviato per
questo.
In conclusione, penso che oggi chiunque
sia in grado di vedere un po più in là del proprio naso, chiunque
senta scricchiolare i pilastri della nostra democrazia, non possa
far altro che fare la propria parte e “mettersi
a disposizione”.
Compreso chi scrive.
DOMENICO MAGLIO
|