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Quale futuro per l’Italia?

Domenico Maglio

 


Domenico Maglio

Più che preoccuparsi del futuro del Partito Democratico sarebbe bene preoccuparsi del futuro del nostro paese, perché in effetti i risultati dei primi atti del Parlamento di questa legislatura lasciano dubbi e perplessità come evidenziato dai pochi mezzi d’informazione non controllati.

Ma credo che le due cose, futuro dello schieramento progressista e futuro del Paese, vadano di pari passo.

 Di fronte allo strapotere del conservatorismo italiano incarnato in modo autoritario dal governo che abbiamo - e non dobbiamo dimenticare mai che è stato legittimamente eletto e che ci siamo meritati – non vedo altra alternativa che quella di costruire un grande movimento progressista e se qualcuno vede altre strade percorribili le indichi oppure la smetta di blaterare a casaccio.

Per farlo è chiaro che non basta certo la formazione di una forza politica nuova anche se nata con il proposito di provare a rappresentare e catalizzare la migliore essenza del riformismo italiano.

Questo inizio di costruzione, questo progetto è solo un passaggio, uno strumento, ma serve ben altro che un pugno di voti strappati in qualche amministrazione qua e la, da una parte e dall’altra, e di questo auspico che tutti ne siano coscienti.

Tempo fa su qualche blog e mi pare di ricordare anche su altre testate simili avevo lanciato una specie di provocazione sferzando la sinistra radicale e indicando nella costruzione di una “cultura politica nuova” uno dei possibili sbocchi se non l’unico alla situazione attuale, non solo ma sempre provocatoriamente avevo esortato i miei amici del PD a svegliarsi dal torpore portato da una sconfitta elettorale andata ben oltre le previsioni.

Oggi, a distanza di qualche mese, non posso che provare soddisfazione ascoltando le stesse parole pronunciate sia dal segretario Nazionale del PD che invoca un “percorso politico e culturale nuovo” sotto la sollecitazione dal suo avversario di sempre, l’ex Ministro degli Esteri, con il suo “diamoci una mossa”.

Comunque sia, inutile ora ritorcere tutto il dialogo sui se e sui ma, sulle colpe di quanto è stato, su quello che si poteva fare e non è stato fatto, se si è raggiunto il massimo risultato possibile oppure no, con il senno del poi tutto appare più chiaro e di facile soluzione, tutti possono atteggiarsi a postumi strateghi della geopolitica, un esercizio che personalmente non mi attira più di tanto.

Ma nel caso delle ultime elezioni di aprile 2008 vorrei essere sincero : nulla avrebbe potuto arginare la vittoria della destra, e quindi bisogna guardare avanti perché di cose da fare ce ne sono, e molte.

Ricostruire un tessuto sociale autentico e solidale, che sia in grado di rappresentare e dare risposte a chi non è ascoltato necessita di tempo e energie, di impegno collettivo e volontà ferrea, di passi indietro e rinunce personali, di sacrificio e lotta politica unitaria.

E’ tempo di dimostrare questo coraggio e di mettere in campo quelle idee forti su cui è sempre stata incardinata la storia della sinistra italiana e sui quali ha ruotato la condivisione e il consenso della parte più debole del paese, oggi senza rappresentatività e senza difesa alcuna.

Queste saranno le principali matasse da dipanare, e non è poco dato che per molto tempo in moltissime realtà locali, la nostra inclusa, le forze di sinistra qualsiasi siano state, non hanno maturato la cultura dell’opposizione ma sono state sempre abituate a governare i territori ed è per questo che si sta segnando il passo.

Il blocco progressista stordito dalla primavera scorsa da l’impressione di non sapere come comportarsi, da una parte perché questo blocco ancora non c’è, non è strutturato, e dall’altra perché all’embrione di quello che dovrebbe essere il fronte progressista manca quel contesto organico e organizzativo di contrapposizione, si ritrova disarmato di fronte alla popolarità che sta acquisendo la destra italiana, nonostante il lungo periodo rivelerà la pochezza strutturale di ciò che sta facendo.

Questa sensazione di debolezza è più marcata nei contesti territoriali, nelle periferie dove vive una sinistra volenterosa ma ancora inesperta a condurre un’opposizione efficace e si potrebbero fare esempi eclatanti su questa situazione, ma se del passato non tutto va cancellato credo che questa capacità  di fare lotta politica in opposizione vada recuperata, per l’oggi e speriamo non serva per il domani.

Il punto è che di tempo non ne rimane granchè visto come sta procedendo a spron battuto la compagine governativa attualmente al volante del Paese, forte dei numeri e della cortina fumogena con la quale occulta le criticità sociali dietro a qualche velina scosciata e a qualche talk show, e questo poco tempo a disposizione non può essere dedicato a sciocche dispute interne su quello che dovrebbe essere il “gran contenitore del Riformismo”, e penso che si debba mettere qualche punto fermo una volta per tutte.

Il primo : non credo opportuno inseguire a tutti i costi un dialogo con chi non vuole dialogare il che non significa certo smettere di ricercare convergenze istituzionali, ma porre dei limiti decenti alla ricerca, i numeri indicano chiaramente che le scelte saranno sempre unilaterali, altro che decisioni condivise, senza contare che in Parlamento esponenti del governo hanno chiaramente detto che faranno ciò che riterranno opportuno …alla faccia vostra….” – parole testuali della Lega Nord che ognuno può andarsi a risentire nelle registrazioni sul sito della Camera dei Deputati.

Il secondo : il “gran contenitore riformista” deve diventare tale altrimenti perde la sua funzione, il suo obiettivo, e resterà sempre un progetto incompiuto, in crisi crescente di condivisione, scosso dalle liti interne a causa delle quali non attirerà nessuno e verrà visto sempre come un qualcosa di incompiuto, un luogo chiuso, riservato a pochi eletti, dove amici degli amici entrano per ricavarsi un piccolo spazio di potere e se non lo trovano lo abbandonano.

Il terzo :  fare proposte alternative alla destra e su quelle iniziare la costruzione della “cultura politica nuova  dandoci appunto una mossa”….

Il quarto : radicare il progetto, che non significa fare tesseramento a casaccio per far vedere che l’adesione esiste e stilare qualche classifica d’importanza comunale, ma evitare che ogni spazio pubblico sia precluso dalla demagogia dell’informazione deviata e dal populismo dell’antipolitica, radicare vuol dire portare le idee tra la gente, ascoltarla preventivamente e non dopo aver deciso una qualche fase programmatica, significa eliminare quella cappa di elitarismo e donare un’essenza popolare, radicare non significa solo invitare alle riunioni di circolo ma portare la politica fuori dalle stanze.

L’onestà con la quale si perseguirà quest’ultimo obiettivo darà la misura delle capacità di resurrezione della sinistra e in prospettiva del centro sinistra, un popolo che si è emancipato culturalmente e che non aspetta più decisioni piovute da quel “centralismo democratico” che oramai non ha più ragion d’essere.

Ovviamente ce ne sarebbero altri di punti molto importanti da segnalare, anzi ce ne sono senz’altro, però riesce difficile fare proposte senza un punto di appoggio certo che abbia la volontà di ascoltare, senza riuscire a far convogliare in un progetto comune e unitario le giuste rivendicazioni che sono parte della storia della sinistra italiana e della migliore tradizione riformista.

Io vorrei che si comprendesse questo : andare avanti di pari passo tra futuro del Paese e futuro del PD diventa oggi essenziale.

Su questi ultimi due punti lascerei stare il primo perché troppo complesso per dare un’opinione decente  in una sintesi da blog e proverei invece a concentrare l’attenzione sul secondo.

Il polverone alzato delle elezioni di aprile sta lentamente scemando e lascia intravedere un panorama desolante per la sinistra e per il centrosinistra in generale, si vedono solo “fumo e tende capovolte” per dirla alla De Andrè.

Lo “schieramento avverso” ha fatto terra bruciata non soltanto di consenso, di voti ottenuti, ma soprattutto ha seminato sul campo di battaglia il germe di un’idea che sta crescendo, che lo indica come il solo salvatore della patria, sta radicando un percorso culturale arretrato approfittando delle debolezze delle persone, dei loro bisogni, delle loro difficoltà, si appropria dei loro sogni, tenta di controllarne le menti imponendo l’educazione settaria della difesa dell’esistente, vuole imporre la sua idea antisolidale tentando di spaccare il mondo del lavoro, spegnendo la luce sul futuro delle nuove generazioni.

Come si fa a non vedere che tutto ciò è profondamente sbagliato? Come si fa di fronte a tutto questo a non capire la piccolezza delle dispute locali su un potere che sarà in ogni caso sempre più effimero se non si riparte dal coinvolgimento sociale?

Ma non sarà cosa semplice fare comprendere il contrario soprattutto se chi dovrebbe farlo è alle prese con liti intestine che distolgono dalla realtà degli eventi e che non porteranno a nulla di buono se non si mette un freno a tutto ciò.

Francamente la domanda era se il giorno dopo l’aprile 2008, preso atto di ciò che tutti temevano, si sarebbe iniziato un percorso che guardasse avanti.

La domanda non ha ancora risposta o per lo meno qualcuna è arrivata ma non è quella che ci si aspettava, si è rimasti inchiodati ai blocchi di partenza per i riformisti e dalla parte  più “a sinistra” la situazione è ancora peggiore visto che in pratica ha deciso di difendere a spada tratta una bancarotta storica, dimenticandosi della sua funzione e penso che ciò che sta mettendo in campo sia molto lontano dalla tradizione del PCI alla quale si richiama negli slogan e nelle bandiere.

Il vero cuore della migliore tradizione del PCI  a mio parere è trasmigrato nel PD, non nelle altre forze frammentate della sinistra, questo da un po fastidio anche se tutti lo sanno e se ne sono accorti,  perché di quel Partito Comunista l’unico filone che ha resistito è soltanto quello riformista dei Napolitano e di molti altri.

Chi lo ha vissuto sa bene che al di là di questa tradizione è sempre esistita una corrente più massimalista dove hanno confluito diverse aree di pensiero politico e il destino di queste aree non è irrilevante ai fini di un equilibrio politico in Italia e della forza del sistema democratico, per questo ci si aspettava dalla “sinistra più a sinistra” dopo la debaclé di aprile una svolta in avanti, o almeno un modo di declinare il massimalismo in forme moderne, ma la risposta che è arrivata è stata di tutt’altro segno da quella auspicata.

Dal partito “di lotta e di governo” , che per inciso mi era alquanto incomprensibile, si è passati solo alla lotta e se ci saranno conseguenze sui governi locali che si rinnoveranno in gran numero molto presto ognuno saprà quindi dove andare a chiedere spiegazioni, ognuno si assumerà le proprie responsabilità politiche.

Sono oramai convinto anch’io - come d’altronde tutti pensano - che non sia il caso di analizzare altre forze politiche sedicenti di sinistra ancora presenti sul panorama politico italiano, perché a parte qualche ricattuccio di bassa lega messo in pratica in qualche amministrazione locale, sono destinaste alla progressiva scomparsa.

E per chiudere il discorso direi che nel Partito Democratico non solo è trasmigrato il riformismo comunista ma anche la parte cattolico democratica che rappresentava la migliore tradizione della DC,  quella per capirci di un Aldo Moro che poneva degli stop alle ingerenze della Chiesa, quindi direi che è ora di piantarla con tutti i distinguo se veramente si vuole andare avanti, concentrandoci sulla “cultura politica nuova” e appunto “……dandoci una mossa….”

Su quest’ultimo punto - sul quale non credo proprio di essere l’unico che lo condivide - da molti pronunciato con enfasi costruttiva anche di recente si gioca il futuro del centrosinistra e dell’Italia.

Francamente penso che allo stato attuale ognuno debba compiere un atto di responsabilità, il che non vuol dire intavolare una trattativa per conquistarsi qualche posto qua e là in qualche ente locale, di queste dispute spesso oscure non c’è alcun bisogno e non penso che tali risoluzioni anche se attivate saranno comprese dall’opinione pubblica in modo positivo, ma saranno classificate come un ricatto che porta alla ricerca di prebenda personale.

La responsabilità verso il nostro paese richiede ben altro che strappare qualche Sindaco in qualche sperduto comune o trasmigrarne qualcuno in carica o in odore di riconferma ad altri incarichi, ma si deve ricercare la ricostruzione di un tessuto sociale oggi disgregato e sofferente in balia delle ondate irresponsabili che una classe politica, autoritaria e clientelare, avida di potere gli sta gettando addosso.

La forza per far nascere questo senso di responsabilità non cade dal cielo ma può soltanto essere frutto dell’impegno politico e delle capacità aggreganti di un grande progetto riformista italiano dove non può esserci posto per né per i distinguo, né per le trattative spartitorie, né per risentimenti dovuti a incarichi negati.

L’esortazione ai valori della Resistenza che si sta cercando di affossare e sulle cui lotte si è fondata la nostra democrazia è sempre più spesso richiamato, con ragione, e sono valori difesi con forza anche dal Presidente Giorgio Napolitano e non solo per dovere Istituzionale, ma se da quel grande movimento di libertà che sono state le lotte di Liberazione si vuole veramente carpire qualcosa, se lo vogliamo veramente noi che siamo venuti dopo, se vogliamo veramente prendere in mano la bandiera della giustizia sociale io credo che oggi quel momento sia tornato, anche se per fortuna declinato diversamente, ma in quei valori resistenziali unitari ognuno di noi potrà trovare le motivazioni che cerca per continuarli oggi.

Di fronte alla grande storia del nostro paese un progetto riformista, come quello che potrebbe nascere dallo sviluppo e dalla crescita politica inclusiva del Partito Democratico, non può essere quindi ridotto a un bancomat della politica, dove si entra per avere e si esce quando questo avere viene meno o viene messo in forse, non può essere il mezzo per salire la scala sociale e ricavarsi un posto al sole, non può essere il veicolo per mettere del pane nel cassetto, non può essere il mezzo per una resurrezione politica personale, perché è noto che così oggi viene letto il PD ed è altrettanto noto che questo progetto non è stato avviato per questo.

            In conclusione, penso che oggi chiunque sia in grado di vedere un po più in là del proprio naso, chiunque senta scricchiolare i pilastri della nostra democrazia, non possa far altro che fare la propria parte e “mettersi a disposizione”.

            Compreso chi scrive.

DOMENICO MAGLIO