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 Risposta ad una mamma

Sergio Giuliani

Nell’ultimo numero di “Trucioli” una mamma racconta, addolorata, di feste di compleanno di bambini al Grand Hotel e di sfarzosi regali. La signora, a quanto è dato capire, ha un passo medio - riflessivo di vita: sia non può seguire questa senz’altro cattiva e cinica “moda”, sia –soprattutto – non vuole perché vuol preparare alla vita non un cucciolo viziato, ma una cittadina.

  Scrivo, le scrivo, perché mi ha riportato allo psicodramma dei miei anni giovani (fino a metà cinquanta) in un liceo di provincia, con ottimi prof (alcuni) e compagni spocchiosi (molti); io unico figlio di ferroviere vedevo mia madre, appena finita la scuola, cominciare a metter via in un cofanetto, ogni mese, i soldi per comprare i libri di scuola. Io vedevo e sapevo e, naturalmente, limitavo tutte le mie richieste: persino il cinema al sabato. Non mi sarebbe, probabilmente, stato negato nulla, ma io sapevo di non dover chiedere.

Ma non ho davvero ”sofferto”, se non per qualche libro che mi accontentavo di guardare a lungo nelle vetrine. E, da me a me, ora penso che non mi sia mancato certamente molto.

Erano altri tempi, si dirà! Certo! Io avevo una formazione politica, acquisita in casa e confermata con gli studi, difesa anche con scontri verbali duri coi compagni e che era confortante riconoscere nei professori minoritari, ma, guarda caso, i migliori.

Mi teneva, ci teneva compagnia la fiducia nell’evoluzione sociale, l’avanzata politica delle forze lavoratrici, il cadere continuo di muri che discriminavano: anche i proletari a scuola; i diritti sindacali riconosciuti; la Costituzione che, lentamente, si avviava (la Corte Costituzionale) e il dilatarsi del consenso ai partiti della sinistra.

Era bello esser fiduciosi, anche quando la mamma lasciava qualcosa del resto della spesa nella scatola per i lavoratori licenziati dell’Ilva e papà si vedeva accorciato lo stipendio dagli scioperi.

Ci si migliorava, ci si evolveva, e con noi la parte migliore della società. Ci si ritrovava ai festival, ai comizi, nelle Società di mutuo soccorso, ai “merendini”,  nelle accese discussioni. Non c’era lo scimmiottare le altre classi, ma la convinzione di avere valori propri (uno di questi era l’istruzione: mai nei festival mancava la frequentatissima bancarella dei libri) irrinunciabili, come la giustizia sociale e la solidarietà. Penso che i miei  mandassero mia sorella e me a scuola perché ci migliorassimo,capissimo sempre meglio l’andamento sociale ed intellettuale e lo facessimo capire: tanta era la sicurezza nel “domani” migliore!

Entravamo nella cultura in punta di piedi, rispettosissimi del suo gran valore. Ricordo l’incontro coi “Brandeburghesi” di Bach, con la “Quinta” di Beethoven: quasi da pregare come in chiesa e la gioia infinita di star arricchendo. Ricordo la conquista della radio col Terzo Programma”, interessantissimo, suadente e che comunicava emozioni e cognizioni serbate poi per sempre.

Parallelo, si fortificava un qualcosa che chiamerei “odio di classe”: la stizza contro il qualunquismo un poco sciocco di “Lascia e raddoppia” che riduceva cultura ad elementare nozionismo, (mentre il teatro al venerdì e certi “sceneggiati” di capolavori e l’opera lirica impreziosivano la tv), contro i festival sanremaschi (noi che consumavamo i vinili della “Valchiria”!); insomma, contro la retorica bidimensionale come guardar da un occhio solo che capivamo avrebbe tolto mordente alle coscienze.

Così è stato: forse il colmo fu al gran falò del Sessantotto, di cui bisognerebbe dire di più e meglio, invece che ridurlo, nel ricordo interessato, ad un’accolta di delinquenti traviati. Poi, la china, sempre più rapida: calcio e sanremo e via così…fino a rivombrosa.

 Che dire a quella mamma che vive in tempi tanto, tanto diversi dai miei? Troppo comodo sarebbe dirle di resistere, di pagar pegno, lei e la bambina, ponendosi fuori da un mondo scriteriato, che è di sicuro uscito dai cardini, da un mondo che aspetta il calendario dal…supermercato  che espone a luglio gli zainetti della prossima moda (chissà poi perché tutti scritti rigorosamente in inglese!)

Non sono abituato a consigliare, ad esigere comportamenti che non so se saprei reggere io. Le auguro soltanto di trovare, nel suo mondo, non facce smorfiose che rifiutano le nostre splendide spiagge per…Puhket o che leggono libri che non hanno nulla a che fare con la letteratura che è necessariamente formativa (e loro non vogliono essere “formate”: stanno bene così, con la lista dei valori della corte di Berlusconi.)

Auguro a quella mamma, prima di tutto di essere in buona compagnia a dire “no!” ad abitudini sempre più vacue ed oscene e che la sua disperata stizza possa incanalarsi in un lavoro politico.

Lo so che la bambina non capirà e che a lei spunterà qualche lacrima di dispetto. Ma superare certe ondate, si dice, renda il marinaio forte. Una stretta di mano a quella mamma, con tanta rabbia, da

     Sergio Giuliani