Risposta ad una mamma
Nell’ultimo numero di
“Trucioli” una mamma racconta, addolorata, di feste di compleanno di bambini
al Grand Hotel e di sfarzosi regali. La signora, a quanto è dato capire, ha
un passo medio - riflessivo di vita: sia non può seguire questa senz’altro
cattiva e cinica “moda”, sia –soprattutto – non vuole perché vuol preparare
alla vita non un cucciolo viziato, ma una cittadina. |
Scrivo, le scrivo, perché
mi ha riportato allo psicodramma dei miei anni giovani (fino a metà
cinquanta) in un liceo di provincia, con ottimi prof (alcuni) e compagni
spocchiosi (molti); io unico figlio di ferroviere vedevo mia madre, appena
finita la scuola, cominciare a metter via in un cofanetto, ogni mese, i
soldi per comprare i libri di scuola. Io vedevo e sapevo e, naturalmente,
limitavo tutte le mie richieste: persino il cinema al sabato. Non mi
sarebbe, probabilmente, stato negato nulla, ma io sapevo di non dover
chiedere.
Ma non ho davvero
”sofferto”, se non per qualche libro che mi accontentavo di guardare a lungo
nelle vetrine. E, da me a me, ora penso che non mi sia mancato certamente
molto.
Erano altri tempi, si
dirà! Certo! Io avevo una formazione politica, acquisita in casa e
confermata con gli studi, difesa anche con scontri verbali duri coi compagni
e che era confortante riconoscere nei professori minoritari, ma, guarda
caso, i migliori.
Mi teneva, ci teneva
compagnia la fiducia nell’evoluzione sociale, l’avanzata politica delle
forze lavoratrici, il cadere continuo di muri che discriminavano: anche i
proletari a scuola; i diritti sindacali riconosciuti;
Era bello esser
fiduciosi, anche quando la mamma lasciava qualcosa del resto della spesa
nella scatola per i lavoratori licenziati dell’Ilva e papà si vedeva
accorciato lo stipendio dagli scioperi.
Ci si migliorava, ci si
evolveva, e con noi la parte migliore della società. Ci si ritrovava ai
festival, ai comizi, nelle Società di mutuo soccorso, ai “merendini”,
nelle accese discussioni. Non c’era
lo scimmiottare le altre classi, ma la convinzione di avere valori propri
(uno di questi era l’istruzione: mai nei festival mancava la
frequentatissima bancarella dei libri) irrinunciabili, come la giustizia
sociale e la solidarietà. Penso che i miei
mandassero mia sorella e me a scuola perché ci
migliorassimo,capissimo sempre meglio l’andamento sociale ed intellettuale e
lo facessimo capire: tanta era la sicurezza nel “domani” migliore! |
Entravamo nella cultura
in punta di piedi, rispettosissimi del suo gran valore. Ricordo l’incontro
coi “Brandeburghesi” di Bach, con la “Quinta” di Beethoven: quasi da pregare
come in chiesa e la gioia infinita di star arricchendo. Ricordo la conquista
della radio col Terzo Programma”, interessantissimo, suadente e che
comunicava emozioni e cognizioni serbate poi per sempre |
Parallelo, si fortificava
un qualcosa che chiamerei “odio di classe”: la stizza contro il qualunquismo un
poco sciocco di “Lascia e raddoppia” che riduceva cultura ad elementare
nozionismo, (mentre il teatro al venerdì e certi “sceneggiati” di capolavori e
l’opera lirica impreziosivano la tv), contro i festival sanremaschi (noi che
consumavamo i vinili della “Valchiria”!); insomma, contro la retorica
bidimensionale come guardar da un occhio solo che capivamo avrebbe tolto
mordente alle coscienze.
Così è stato: forse il
colmo fu al gran falò del Sessantotto, di cui bisognerebbe dire di più e meglio,
invece che ridurlo, nel ricordo interessato, ad un’accolta di delinquenti
traviati. Poi, la china, sempre più rapida: calcio e sanremo e via così…fino a
rivombrosa.
Non sono abituato a
consigliare, ad esigere comportamenti che non so se saprei reggere io. Le auguro
soltanto di trovare, nel suo mondo, non facce smorfiose che rifiutano le nostre
splendide spiagge per…Puhket o che leggono libri che non hanno nulla a che fare
con la letteratura che è necessariamente formativa (e loro non vogliono essere
“formate”: stanno bene così, con la lista dei valori della corte di Berlusconi.)
Auguro a quella mamma,
prima di tutto di essere in buona compagnia a dire “no!” ad abitudini sempre più
vacue ed oscene e che la sua disperata stizza possa incanalarsi in un lavoro
politico.
Lo so che la bambina non
capirà e che a lei spunterà qualche lacrima di dispetto. Ma superare certe
ondate, si dice, renda il marinaio forte. Una stretta di mano a quella mamma,
con tanta rabbia, da
Sergio
Giuliani