TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni
ARROSTO IN
CAMBIO
DI
FUMO
Dunque, negli USA le due entità cui è delegato il compito di
intervenire per regolare le intemperanze mercatistiche e monetarie
sono: il Ministero del Tesoro, con a capo Henry Paulson, e la
Federal Reserve (Fed:
Banca Centrale), con a capo Ben Bernanke. Il primo ha, o dovrebbe
avere, funzioni squisitamente pubbliche; il secondo, funzioni
ibride, come vale per qualunque altra banca centrale, a causa del
fatto che le banche private sulle quali dovrebbero vigilare sono
loro azioniste: sono quindi banche private con funzioni pubbliche.
Insomma, un’anima privata con una facciata pubblica.
Il 9 agosto 2007 ha segnato uno spartiacque in campo creditizio,
poiché l’esposizione debitoria sia dello Stato che dei privati
cittadini ha superato la soglia limite di sopportabilità, con la
diffusione interbancaria del panico da insolvenza, conseguente allo
scoppio di una bolla bifronte: del credito al consumo e immobiliare,
su un lato, e, sull’altro, della finanza strutturata, ossia di
quella montagna di titoli, in ragione di circa 10 volte il PIL
mondiale, di matrice alchemica e sparsi allegramente per il mondo
dalle maggiori banche d’investimento e commerciali.
Come risvegliatisi da un prolungato nirvana, banche e consumatori
americani si sono ritrovati di colpo come il cammello con la groppa
spezzata dalla proverbiale ultima piuma. A tutti era venuta a
mancare la liquidità: titoli di credito credibili, e cioè coperti da
ricchezza solida e presente, anziché futura o fantasmagorica. Mentre
le banche davano inizio a selvagge procedure di messa in mora e
pignoramenti immobiliari, col conseguente crollo del mercato; mentre
le società di carte di credito
revolving (a rimborsi
rateali) tiravano i remi in barca e chiedevano rientri immediati, i
cittadini si scoprivano assai più poveri di quanto il credito facile
li aveva sino allora illusi di essere. *
A questo punto le istituzioni furono poste di fronte al dilemma
amletico: salvare le banche o i contribuenti? Se la
Fed aveva ovviamente più
a cuore la prima alternativa, il Ministro del Tesoro avrebbe dovuto
propendere per la seconda; e, visto che la crisi era stata scatenata
dall’alluvione di credito allo scoperto di banche private guidate da
folli incompetenti, si sarebbero dovuti punire questi ultimi (che
invece sono stati licenziati con premi da capogiro: ai capi di
Freddie e Fannie per un totale di $ 23 milioni) e le loro banche,
lasciandole impietosamente fallire. Prevalse l’opzione della
Fed, e una massa di
mutuatari fu gettata sul lastrico, mentre si allungava la lista dei
disoccupati e di coloro che rientravano sia in questa categoria che
in quella dei senzatetto.
La docile “conversione” del Ministro del Tesoro si spiega col fatto
che a tale carica era stato chiamato da un paio d’anni il
sunnominato Paulson, ossia l’ex-numero 1 della Goldman Sachs. Questo
lascia intuire i suoi sentimenti nei confronti del mondo bancario e
il perfetto allineamento con quelli di Bernanke, che non si sa se
definire collega di fatto o controparte di facciata.
In ogni caso, l’accordo fu
presto trovato: succhiare liquidità a più non posso dal serbatoio
pubblico e trasferirla nel mondo posticcio della finanza
strutturata, scambiando vagonate di titoli spazzatura contro Buoni
del tesoro alla pari e
a interessi negativi!
Ecco il significato di arrosto in cambio di fumo.
Tutto ciò per salvare le grandi banche, commerciali o d’affari,
too big to fail,
lasciando colare a picco quelle minori (ad oggi ne sono fallite 11:
poca cosa, su un totale di 7200). Nonostante l’ostinata e congiunta
buona volontà del duo Bernanke-Paulson, Bear Sterns, la più fragile
delle grandi banche
d’investimento, lo scorso marzo gettava la spugna; e a rilevarla ci
pensava, grazie a un prestito di $ 30 miliardi garantiti con
fondi pubblici, la JP Morgan Chase. Ora, forse già questo
weekend, è il turno di Lehman Brothers; in seguito, forse, di
Merrill Lynch, entrambe facenti parte delle un tempo
Big Five: le cinque
banche d’affari più blasonate del mondo, ridotte oggi a quattro;
segue una nutrita lista d’attesa. Quindi, a dispetto
dell’astronomico trasferimento di fondi pubblici nel settore
bancario privato, a dispetto del ridicolo tasso di sconto del 2%
riservato a quest’ultimo (ossia ampiamente negativo, se confrontato
ad un’inflazione ufficiale del 6%), anche grosse banche piangono e
cadono.
E cadono, con ancora maggior fragore, anche le colossali entità
semipubbliche preposte all’erogazione di mutui immobiliari, come
Freddie e Fannie, gravate da obbligazioni scoperte per oltre,
tenetevi, $ 5,4 trilioni = $ 5.400 miliardi!!! Cosa fa allora
l’ineffabile duetto Paulson-Bernanke? Le nazionalizza: carica
insomma sul groppone del debito pubblico americano questo ulteriore
macigno, portandolo da $ 9,5 a quasi $ 15 trilioni!
Risucchiati tutti questi capitali pubblici nella palude finanziaria
privata, di soldi per gli americani ne restano pochini, e a ben più
caro prezzo del misero 2% di tasso concesso alle entità
too big to fail. I
contribuenti si arrangino, l’importante è salvare, magari
illusoriamente, il mondo di Wall Street. Notizia curiosa: il
dollaro, che, a fronte di simili disastri, dovrebbe galoppare verso
zero, ha goduto di un rally
inaspettato, salendo ai massimi da un anno.
Ora riattraversiamo l’Atlantico e planiamo nella UE. Qui il quadro è
ancor più a favore delle banche, in quanto, a fianco della figura di
Trichet, Governatore della BCE e corrispondente a Bernanke, manca
quella corrispondente a Paulson, in quanto esiste solo un
Commissario (Almunia), ma non un Ministro del Tesoro europeo: una
carica rimasta nelle varie nazioni dell’eurozona; sempre, tuttavia,
temperata dalla compresenza dei Governatori delle rispettive Banche
Centrali nazionali, dotati di poteri minori di un tempo ma comunque
sempre notevoli; per giunta il nostro, Mario Draghi, è l’ex-numero
uno di Goldman Sachs in Europa. A peggiorare la bilancia dei poteri,
mentre la Fed americana
è, almeno formalmente, soggetta alle pronunce del Congresso, la BCE
è, grazie al Trattato di Maastricht, totalmente schermata da
qualsiasi interferenza dei governi e dei rispettivi ministri
economici, Commissario incluso, risultando di fatto un centro di
potere assoluto e insindacabile, anche giudizialmente. Un immenso
potere senza contraddittorio, senza quei
checks and balances su
cui s’è recentemente intrattenuto il nostro premier. E a conferma
sta l’immenso volume di liquidità pompata arbitrariamente da Tricket
nel circuito bancario, con le stesse modalità e gli stessi fini del
suo collega americano. In sostanza, sia di qua che di là
dell’Atlantico, si è creata deflazione fra le gente, sottraendole
liquidità per rappezzare i malconci bilanci bancari e dissanguandola
con tasse usurarie; mentre i prezzi sono saliti su entrambe le
sponde, grazie alla svalutazione di fatto nei confronti delle
materie prime d’importazione. Ora i prezzi all’ingrosso di queste
ultime sono scesi, grazie alla recessione in atto; ma al dettaglio
(vedi benzina, pane, pasta) gli effetti non si fanno sentire. I
preannunciati interventi per colpire chi ci specula non ci sono o
fanno cilecca, mentre dal suo improprio pulpito la BCE esorta a
bloccare i redditi fissi, per non far crescere l’inflazione, cui non
questi, ma essa stessa ha contribuito.
E mentre in America c’è chi dipinge questo strano “più Stato meno
mercato”, con la benedizione di Wall Street,
come una sterzata verso un inedito “socialismo dei ricchi”, e
ci si chiede chi farà in ultima istanza il salvataggio dello Stato
americano, in Italia siamo ancora alle prese con le
“privatizzazioni”, nell’anacronistica speranza di riportare così a
galla barche zavorrate
da decenni di clientelismo politico e sindacale. Sotto questo
profilo, mutatis mutandis,
l’Atlantico non è poi così
largo.
Ma in entrambi gli ambiti, in definitiva, ciò che conta è salvare
gli squali, lasciando che i pesciolini, in vigorosa crescita
numerica, se la sbroglino da soli, spennati da stagflazione, tasse e
sanzioni: l’equivalente di 7 mesi di lavoro l’anno per mantenere gli squali.
Mentre scrivo, non so come finirà la vicenda Alitalia; ma i ripetuti
niet delle mille sigle
sindacali sono stati e sono un insulto ai pesciolini che nessuno si
erge a difendere e anzi si additano come la causa prima del buco
fiscale. Mentre i dipendenti degli squali organizzano proteste e
bloccano strade e ferrovie pur di mantenere paghe ed assetti
aziendali fallimentari, lavoro nero ed elusione sono per i
pesciolini l’unico modo di salvarsi da uno Stato vessatore ed
evitare il collasso e le rivoluzioni del pane di storico ricorso.
Con Alitalia sono emersi due mondi del lavoro in netto antagonismo:
uno che si aggrappa a un secolo di conquiste sindacali e sociali; e
l’altro allineato alla modernità nel pagare tasse e tributi, ma
ancorato ad un remoto passato per quanto riguarda la sua
sopravvivenza in un mondo sempre più competitivo e spietato.
Marco Giacinto Pellifroni
14 settembre 2008
* Gustoso inciso: il rev. Jenkins, seguitissimo alla TV americana,
invita da tempo i fedeli a portare in Chiesa e bruciare in un falò
liberatorio le proprie carte di credito, viste ormai come oggetti di
Satana tentatore!
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