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Non esiste il diritto al cemento

Eh, no. Io non sono giornalista, ma cittadina, ligure, pateticamente attaccata a vecchie idee e concetti, a moralismo ahimè d’altri tempi, e nel mio animo il rifiuto e la condanna sono ben più vibranti e decisi, e non credo che esista qualcosa come il diritto a speculare

Nonna Abelarda  

Milena De Benedetti
Milena De benedetti

Continuo con le considerazioni tratte dalla lettura de “Il partito del cemento”.

Di tanto in tanto mi è venuta spontanea alla mente una riflessione, un piccolo senso di ribellione personale.

 Non voglio chiamarlo obiezione, osservazione, perché un libro così chiaro, pulito, preciso, costruito con limpidezza adamantina e basato su una gran mole di lavoro puntuale e appassionato non merita certo critiche speciose da chi, quel lavoro, non lo saprebbe fare.

Voglio semplicemente ritenerlo un diverso punto di vista, magari più rozzo e di pancia. Comprendo i motivi che hanno spinto gli autori a posizioni spesso soft, caute, trattenute nel giudizio: è un criterio di precauzione logico, da cronista,  per chi non vuole prestare il fianco ad attacchi  strumentali e lasciare che siano i fatti, documentati, obiettivi a parlare da soli.

E in effetti parlano anche troppo. Il quadro complessivo che ne emerge è fin troppo chiaro, mostruoso e spaventevole. Certo è che, immagino, nel comune lettore come me le sensazioni siano molto più viscerali e i commenti mentali assai meno “british style”, ma più prossimi a espressioni ed epiteti da angiporto.

 Nel libro si rimarca spesso la perfetta legalità di molti degli iter descritti. Si ribadisce il pieno diritto degli speculatori, appunto, a cercare di speculare il più possibile, dal loro punto di vista, suggerendo che, semmai, dovrebbero essere istituzioni e rappresentanti dei cittadini a impedirglielo. Semmai, si considera, quando si sfiora la questione morale si può parlare di “opportunità”: opportunità che si cumulino cariche e prebende anche in settori opposti e in conflitto di interessi perenne, opportunità che si vogliano distruggere ambienti naturali in nome del dio denaro, e così via. Per il resto, se la cosa è legale c’è poco da fare.

Eh, no. Io non sono giornalista, ma cittadina, ligure, pateticamente attaccata a vecchie idee e concetti, a moralismo ahimè d’altri tempi, e nel mio animo il rifiuto e la condanna sono ben più vibranti e decisi, e non credo che esista qualcosa come il diritto a speculare. Altro che opportunità: certi comportamenti non saranno sanzionati o sfuggiranno forse dalle pieghe delle leggi, o saranno oggetto di strane dimenticanze e disattenzioni, ma allora sarebbero le leggi, a dover cambiare o a dover essere applicate meglio, non i comportamenti a essere ritenuti meno riprovevoli e illeciti!

 

Voglio dire, se qualcuno fa qualcosa di tremendo che danneggia anche me e magari il mio ambiente e i miei figli in prospettiva, non gli dico: ma le pare opportuno, scusi?, ma piuttosto mi informo sul perché e come lo sta facendo,  e anche se  è tutto perfettamente legale mi predispongo a lottare con ogni energia e con ogni mezzo, altrettanto legale, per impedirlo. Non mi  riferisco ai giornalisti, che se fanno bene il loro mestiere hanno fatto anche troppo, ma alla comunità.

Dovrebbe essere ovvio, o quasi: l’attenzione, la vigilanza, la passione, l’impegno, l’indignazione dovrebbero essere fermento della società democratica e civile, presenti almeno in una minoranza attiva, e magari diffondersi a macchia d’olio, se non altro quando sono interessi precisi, concreti, diretti e vicini a venire toccati.  

E invece no. Siamo anestetizzati, imbolsiti da falsi perbenismi, da ipocrite par condicio,  ormai abituati ai revisionismi, storici o meno, e alle giravolte più imprevedibili senza fare una piega. O al più, semplicemente distratti e indifferenti.  E isolati. Insomma, ormai digeriamo di tutto, dalle rivisitazioni storiche ai trasformismi alle spianate di cemento, imitando il linguaggio stesso di chi ci inculca queste pseudo verità, come fossimo tutti partecipi di questa “managerialità” paludata di vuoto spinto.

 Da concetti come lotta di classe, o almeno, affermazione dei propri diritti individuali o di categoria o di comunità, siamo passati alla patetica imitazione di ciò che vediamo in TV, come se bastasse qualche status symbol posticcio a farci partecipi di questa agognata ricchezza e uguali ai suoi discutibili rappresentanti.

L’illusione credo che sia destinata a cadere a breve sotto i contraccolpi della crisi, ma questo è un altro discorso. Sarebbe meglio anticipare e cercare di combattere questi contraccolpi, anziché aspettare un fantomatico “tanto peggio tanto meglio”.

Come quando sento spiegare con la globalizzazione, come fosse una parolina magica, qualsiasi nefandezza, ugualmente continuo a ribellarmi per principio: che il mondo si globalizzi va bene, ma le conseguenze possono essere diverse e migliori. Niente è ineluttabile, niente è inevitabile, tranne nascita vita e morte, ma tutto si può contrastare e combattere, o almeno limitare i danni.

 Ecco, se accetteremo questo concetto un po’ meno rassegnato, se ci riscuoteremo da questo torpore, se in tanti daremo uno mano, o quanto meno appoggio consapevole, unito, a quei pochi che si ostinano a combattere democraticamente e pacificamente le loro battaglie ideali in un deserto di derisione, potremmo persino scoprire, con sorpresa, che il numero, la semplice consapevolezza diffusa, informata, può fare la differenza. Che uno, due, dieci possono essere fermati senza sforzo, ma numeri più ingenti possono invece dire la loro, e avere effetto esponenziale, addirittura.

E che certi tigri che tanto ci spaventano sono di carta. Non di cemento.

Nonna Abelarda alias Milena De benedetti