versione stampabile Non esiste il diritto al cemento |
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Continuo con le considerazioni tratte dalla lettura de “Il partito del cemento”. Di tanto in tanto mi è venuta spontanea alla mente una riflessione, un piccolo senso di ribellione personale. |
Voglio semplicemente ritenerlo un diverso punto di vista, magari più rozzo e di pancia. Comprendo i motivi che hanno spinto gli autori a posizioni spesso soft, caute, trattenute nel giudizio: è un criterio di precauzione logico, da cronista, per chi non vuole prestare il fianco ad attacchi strumentali e lasciare che siano i fatti, documentati, obiettivi a parlare da soli. |
Eh, no. Io non sono giornalista, ma cittadina, ligure, pateticamente attaccata a vecchie idee e concetti, a moralismo ahimè d’altri tempi, e nel mio animo il rifiuto e la condanna sono ben più vibranti e decisi, e non credo che esista qualcosa come il diritto a speculare. Altro che opportunità: certi comportamenti non saranno sanzionati o sfuggiranno forse dalle pieghe delle leggi, o saranno oggetto di strane dimenticanze e disattenzioni, ma allora sarebbero le leggi, a dover cambiare o a dover essere applicate meglio, non i comportamenti a essere ritenuti meno riprovevoli e illeciti! |
Voglio dire, se qualcuno fa qualcosa di tremendo che danneggia anche me e magari il mio ambiente e i miei figli in prospettiva, non gli dico: ma le pare opportuno, scusi?, ma piuttosto mi informo sul perché e come lo sta facendo, e anche se è tutto perfettamente legale mi predispongo a lottare con ogni energia e con ogni mezzo, altrettanto legale, per impedirlo. Non mi riferisco ai giornalisti, che se fanno bene il loro mestiere hanno fatto anche troppo, ma alla comunità. Dovrebbe essere ovvio, o quasi: l’attenzione, la vigilanza, la passione, l’impegno, l’indignazione dovrebbero essere fermento della società democratica e civile, presenti almeno in una minoranza attiva, e magari diffondersi a macchia d’olio, se non altro quando sono interessi precisi, concreti, diretti e vicini a venire toccati. |
E invece no. Siamo anestetizzati, imbolsiti da falsi perbenismi, da ipocrite par condicio, ormai abituati ai revisionismi, storici o meno, e alle giravolte più imprevedibili senza fare una piega. O al più, semplicemente distratti e indifferenti. E isolati. Insomma, ormai digeriamo di tutto, dalle rivisitazioni storiche ai trasformismi alle spianate di cemento, imitando il linguaggio stesso di chi ci inculca queste pseudo verità, come fossimo tutti partecipi di questa “managerialità” paludata di vuoto spinto. L’illusione credo che sia destinata a cadere a breve sotto i contraccolpi della crisi, ma questo è un altro discorso. Sarebbe meglio anticipare e cercare di combattere questi contraccolpi, anziché aspettare un fantomatico “tanto peggio tanto meglio”. Come quando sento spiegare con la globalizzazione, come fosse una parolina magica, qualsiasi nefandezza, ugualmente continuo a ribellarmi per principio: che il mondo si globalizzi va bene, ma le conseguenze possono essere diverse e migliori. Niente è ineluttabile, niente è inevitabile, tranne nascita vita e morte, ma tutto si può contrastare e combattere, o almeno limitare i danni. E che certi tigri che tanto ci spaventano sono di carta. Non di cemento. Nonna Abelarda alias Milena De benedetti
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