TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni
MA SE FORGIONE CI AIUTASSE…
Vi sono tre piani sui quali porre la discussione sulla
cementificazione del territorio savonese: quello dell’opportunità,
quello della giustizia e quello della legalità. Il primo valuterà il
rapporto fra costi e benefici, tenendo conto degli aspetti
economico, sociale, ambientale; il secondo metterà a confronto
concezioni etiche, soprattutto fra quelle che accettano che
l’utilità dell’azione amministrativa vada a beneficio di pochi anche
con discapito di molti e quelle che considerano primaria l’equa
distribuzione dei vantaggi; il terzo darà, soprattutto, la
possibilità di valutare l’istituzione e la sua legittimità a
governare la comunità.
Fatti recenti hanno evidenziato un quarto piano, quello democratico,
che non valuta gli effetti dell’azione, né l’adesione alle norme, ma
la qualità del metodo adottato.
L’ultimo rapporto semestrale della Commissione parlamentare
antimafia, che tratta esclusivamente del fenomeno n’drangheta, pone
la Liguria al secondo posto, dopo la Lombardia, fra le regioni non
meridionali interessate da questa criminalità. Legambiente, nel
rapporto Ecomafie del 2008, ha indicato la nostra regione al primo
posto fra le regioni del nord per i reati ambientali e le illegalità
costiere. Anche Carlo Lucarelli, nella trasmissione televisiva “Blu
notte – Misteri italiani:la mafia al Nord” del 31 agosto, ha
confermato il secondo posto da attribuire alla Liguria.
Fra le attività svolte dalla n’drangheta in Liguria emergono il
traffico internazionale degli stupefacenti, il riciclaggio e
l’investimento di denaro, gli appalti pubblici ed il ciclo del
cemento, l’illecito smaltimento dei rifiuti tossici ed ora anche
l’estorsione.
I segnali della sua presenza non si possono più negare; essi vanno,
per citarne alcuni più recenti, dalla denuncia di un imprenditore,
taglieggiato per 35.000 € iniziali e 1.500 € mensili, alla richiesta
di protezione avanzata da un gruppo di imprenditori della val
Bormida, ai danneggiamenti di esercizi pubblici, di stabilimenti
balneari e punti commerciali, al rogo, ad inizio d’anno, di macchine
operatrici, presso una cava di Albissola e
di sette camion, presso la stessa cava, a giugno, che ha
coinvolto altre imprese edili e di trasporto.
O, forse, dietro a tutto vi è la scelta strategica di far produrre a
generosi ma inconsapevoli
cittadini la maggior quantità di fumo possibile per
nascondere il vero problema? Non mi stupisce affatto l’ipotesi che
“qualcuno” sia disposto ad accettare, e quindi alimenti, la
discussione sulla opportunità, che non impedirà mai la
realizzazione, pur di evitare il dilagare della discussione sulla
legalità.
L’azione dei cittadini di Vado ha posto all’attenzione una
inevitabile domanda:
perché questi amministratori rinunciano a quella fama che si
erano costruita e alla quale sicuramente erano affezionati,
sottoponendosi ora alla disapprovazione pubblica, di una
cittadinanza conosciuta, del vicino di casa, dell’amico, dell’ex
compagno di scuola, del collega di lavoro?
Perché non
accettano serenamente il volere della comunità, applicandolo o, nel
caso dovessero considerarlo sbagliato, dimettendosi?
In quel “perché” sta il nostro futuro; tutto il resto è dialettica
leggera.
Lo scandalo “Fiorani” esplose nel luglio del 2005; il 2 marzo dello
stesso anno, quasi cinque mesi prima, a Celle si aveva già buona
conoscenza del sistema di raccolta fondi del banchiere lodigiano.
L’edificazione del Rilevato ferroviario era ben poca cosa rispetto
all’intera operazione, ma contribuì in modo determinante a far
emergere il tutto. La stessa rivolta savonese, poi diventata ligure,
nei confronti della cementificazione era, all’epoca, ancora ben
lontana dall’iniziare. Le poche, meritevoli voci, fra le quali è
doveroso citare Patrizia Turchi, Roberto
Cuneo e Domenico Buscaglia, non trovavano adeguata risonanza. Fu il
famoso pezzo di Marco Preve e Ferruccio Sansa su MicroMega del
maggio 2006, nel quale le azioni di Fiorani e del mondo che ruotava
attorno a lui, a partire da Celle, ebbero parte rilevante, a
scoperchiare il disegno in atto; disegno che consiste nel
completamento della scellerata opera di saccheggio dell’intera
Liguria e che poggia sull’indegno patto di alleanza fra destra e
sinistra.
Il Pennello Buffou potrebbe invece rappresentare la piccola
emersione del terribile fenomeno che, come affermato da fonti
ufficiali, sta investendo la nostra regione. Le problematiche
denunciate quasi quattro anni orsono dal solito gruppo di cittadini
hanno trovato sostegno nel successivo sequestro dell’impresa e
nell’arresto dei suoi vertici, compreso il capo cantiere di Celle,
avvenuti in occasione di una importante operazione antimafia. Le
assicurazioni date dall’amministrazione comunale sulla assoluta
regolarità di tutta l’operazione lasciano piuttosto perplessi;
l’impresa avrebbe partecipato regolarmente all’appalto, lo avrebbe
vinto regolarmente, avrebbe regolarmente eseguito i lavori, a regola
d’arte e con economia per il Comune: che impresa di mafia sarebbe
mai questa? Varrebbe la pena prenotarla già fin da ora, in attesa
che la Giustizia liberi tutti, per affidarle l’esecuzione delle
opere pubbliche già programmate!
Non sarebbe opportuno, ma
è necessario che il
dibattito si sposti su questo piano.
Purtroppo ciò non accade ed i nostri sforzi, sollecitati anche da
autorevoli persone, soprattutto a Genova, che ritengono
inaccettabile che tutto finisca in una bolla di sapone, cadono in un
pozzo senza fondo.
Siamo stati lasciati soli.
L’eventuale illecito penale, in queste occasioni, è accompagnato e
preceduto dall’illecito amministrativo. L’affermazione del primo è
conseguenza dell’accertamento della volontà di delinquere, non
sempre di facile dimostrazione. Di questo avremo occasione di
discutere. L’illecito amministrativo, sempre in questi casi, non
necessita invece di indagine alcuna sui comportamenti; è sufficiente
una verifica ed un confronto degli atti, fra loro e con le norme
vigenti, che corrisponde ad un impegno temporale di qualche ora.
Hanno competenza per farlo la Prefettura e la Provincia.
E’ da loro, innanzitutto, che ci sentiamo abbandonati.
Abbiamo ripetuto, con l’insistenza di chi ancora si indigna per i
maltrattamenti subiti dal soggetto più debole di tutti, la
giustizia, che un edificio di abitazioni per lavoratori era stato
venduto ad una impresa privata per farne speculazione,
contravvenendo a quanto disposto dalla legge 560/93.
Non è successo niente!
Certo, se anche i sindacati se ne fossero fatti carico i risultati
sarebbero ben diversi, ma dobbiamo fare i conti con quello che è,
non con quello che dovrebbe essere.
Abbiamo ripetuto che dai documenti risulta che il consiglio comunale
ha approvato una variante al PUC che consentiva l’edificazione di
1190 mq. di sup. residenziale e immediatamente dopo si è approvato
un progetto da 1270 mq.
Abbiamo ripetuto che i 1190 mq. superavano già abbondantemente la
somma dell’edificio già concesso e del fabbricato ferrovieri, come
invece sembra dai documenti dovesse avvenire.
Non è successo niente!
Abbiamo ripetuto che, ancora dall’esame dei documenti, il volume
della rampa del pennello, all’atto della sua parziale demolizione,
risulta quattro volte maggiore di quello calcolato alla sua
costruzione; che si è dichiarato sprofondato un fondale
prevalentemente roccioso; che si sono riconosciuti danni esclusi dal
capitolato d’appalto; che gli strati di massi si sono ridotti da tre
ad uno; che il ripascimento di 10.000 mc. di sabbia compreso nel
capitolato non è stato fatto; che le varianti sono state decise
prima della consegna dei lavori; che gli esami chimico-fisici
dell’ARPAL non sembrano congruenti con le dichiarazioni dell’ente
appaltante.
Abbiamo notificato che l’Autorità nazionale di vigilanza sui lavori
pubblici (è bene avere a mente il livello di importanza di tale
istituto), che si è occupata di Celle, ha dichiarato le varianti “in
palese violazione delle regole di concorrenza”, prive di
“valutazioni tecniche a sostegno”, con “inquadramento…non confacente
alla disposizione normativa”. Tradotto: illegittime.
Non è successo niente!
Ci viene detto che un’impresa coinvolta nell’operazione ARCA di
contrasto alla mafia è salita da Reggio Calabria ed in un batter
d’occhio ha vinto quattro appalti per lavori in mare, in alveo
torrentizio ed in argine torrentizio; ci viene detto che ha versato
in mare grandi, inspiegabili ed illecite quantità di terra, in
concomitanza di mareggiata che ha immediatamente disperso il
materiale; e questa volta siamo noi che alziamo le spalle e diciamo
che non ce ne importa niente?! Possibile che, oltre a non
preoccuparsene, nessuno pensi che, partendo da qui, si potrebbe
portare alla luce ciò che ben difficilmente emergerà, perché gli
errori non verranno ripetuti?
Se non fosse per altro, comunque, agli eventuali
difetti, elencati e non,
corrisponderebbe un non indifferente danno per l’erario, cioè per il
cittadino. Nessuno sente il dovere di difenderlo?
Luigi Bertoldi (nuova democrazia) |