TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni
ALITALIA E PIAGGIO
Le due aziende non
hanno in comune soltanto l’attività in campo aeronautico, bensì
anche l’approccio pubblico/privato secondo la ben collaudata formula
del Grande Vecchio del “salotto buono” della finanza italiana:
Enrico Cuccia, propugnatore della privatizzazione degli utili e
della socializzazione delle perdite. Per questo era tanto venerato
dalla razza padrona dell’epoca.
Un sistema che s’è
dichiarato sino a ieri liberista e fiero di esserlo si dispone con
la massima naturalezza a dividere in due Alitalia, lasciando la
parte sana alla cordata di imprenditori italiani e la
bad company (notare il
termine inglese per attutire l’impatto) allo Stato: costo per
quest’ultimo, sui € 2 miliardi, che aggiunti ai 3 sin qui macinati
da Alitalia, significano circa € 125 per ciascuno dei 40 milioni di
contribuenti italiani. Esuberi: 3250 o ben di più, a seconda delle
fonti, di cui 2750 in
outsourcing (altro termine eufemistico inglese). Con Air France
non c’era nessun costo per lo Stato e gli esuberi erano 2500. Ma
quanto ci costano questi imprenditori italiani! Italiani? Alla fine
subentreranno le solite società estere, magari con la consulenza di
Goldman Sachs…
Credo che
piacerebbe a tante piccole e medie imprese poter assumere e spendere
a gogò e poi chiamare lo Stato a pareggiare i conti. Ma loro non
fanno parte della cerchia dei privilegiati, dei parassiti di
professione; loro sono chiamate a confrontarsi davvero con il
mercato, pur distorto dalla presenza dei
too big to fail, tipo Fiat
e Alitalia; non godono neppure della cassa integrazione né delle
rottamazioni e, se sgarrano, pagano di tasca propria o chiudono.
Beh, qualcosa di
molto simile è successo pure qui da noi, a Finale. La Piaggio voleva
traslocare; ma voleva che le spese non fossero a suo carico, ma a
quello della collettività. Le grandi aziende, del resto, sono
abituate ai ricatti occupazionali. Anni di lotte ambientali ce
l’hanno insegnato: inquinamento o disoccupazione. Oggi il problema è
meno evidente, in quanto qui da noi son rimasti la disoccupazione e
il precariato, mentre l’inquinamento l’hanno spostato a Est: c’è
sempre qualcuno nel mondo felice di prendersi i problemi altrui,
seppure a caro prezzo (vedi anche Germania coi rifiuti di Napoli:
Berlusconi risolve sempre tutto a caro prezzo per gli italiani).
Nel caso Piaggio,
non si profilava una delocalizzazione verso Est, ma verso Sud, con
la Campania pronta, si dice, ad accogliere con le fanfare il nuovo
stabilimento. E così, agitandone lo spettro, il bluff, finto o
reale, è riuscito, e il Comune ha chinato la testa: l’area Piaggio
(e Ghigliazza a seguire) vedrà sorgere tanti nuovi condomini per la
gioia delle agenzie immobiliari e degli speculatori; ma gioiranno
anche le casse comunali grazie all’Ici, che comunque ci sarà, visto
che saranno in prevalenza seconde case. I perdenti saranno i soliti:
i cittadini, con lo snaturamento della città, la congestione, la
probabile carenza di acqua, e via via tutto l’indotto di disagi che
la ressa produce nei periodi di punta.
C’è anche da
chiedersi da dove proverrà tutto questo fiume di denaro per pagare
la realizzazione del maxi-agglomerato, in pratica un nuovo paese
calato su Finale. Ce lo si chiedeva già all’epoca –anni ’70- della
lottizzazione San Bernardino, che il sindaco Bottino qualificava, a
cose fatte, come “la collina del disonore”. Ma anche allora si
usavano i soliti triti, frusti argomenti: costruendo si produce
lavoro, e pecunia non olet.
Anche se, aggiungevamo noi, era lavoro a tempo determinato (oggi si
chiama precario), dopo di che, a lavori ultimati, si dovevano
cercare nuove aree da distruggere, sempre “per dare lavoro”. È il
destino dei lavori irreversibili, come l’edilizia che non sia
ricupero e restauro del patrimonio esistente. Poi si scoprì che, al
contrario, pecunia olet,
insomma quei soldi puzzavano di tangenti, e parecchi amministratori,
pur avendo “dato lavoro”, finirono in carcere. Speriamo l’attuale
sindaco non debba, sempre a cose fatte, fare le medesime
recriminazioni di Bottino.
Le fonti di
finanziamento sono due: una illegale, frutto di riciclaggio
internazionale, e l’altra, para-legale, proveniente dalle banche
tramite mutui.
Sulla prima non mi
soffermo, perché non voglio certo sostituirmi agli organi
competenti, che presumo svolgeranno oculate indagini, come in tutti
i casi di grandi spostamenti di capitali.
Sulla seconda
fonte invece vorrei spendere qualche parola. È appurato che le
banche hanno soltanto un’infima, persino nulla, frazione dei soldi
che pretendono prestare; motivo per cui hanno una discrezionalità ai
limiti dell’assurdo nel concedere prestiti, grazie a leggi, fatte su
misura, che hanno via via concesso loro questo sconsiderato
arbitrio. Sconsiderato, perché dovrebbe essere competenza dello
Stato, e soltanto dello Stato, emettere nuova moneta. Di fatto,
invece, questa prerogativa se la sono usurpata, dapprima le banche
centrali, e poi, in ben maggior misura (con un rapporto di circa
10:1) le banche commerciali.
Arrivati a questo
punto, mentre per i bisogni essenziali scarseggiano o mancano i
fondi, questi abbondano per opere di dubbia utilità, se non
contrarie al pubblico interesse, come l’agglomerato sull’area
Piaggio-Ghigliazza. E la discrezionalità dell’investimento non è
lasciata all’ente pubblico che, in quanto tale, deve avere a cuore
l’interesse, appunto, pubblico. Nossignori, la decisione spetta, che
so, a Intesa San Paolo, a Unicredit o chissà quale altra banca o
pool di banche. La pianificazione territoriale passa così nelle loro
mani. Chi tiene in pugno i soldi, o così fa credere, dirige la
danza.
E mentre il nuovo
governo si balocca con i problemi personali di Berlusconi o gioca
col fuoco delle neo-porcate di Calderoli, una legge che tornasse a
limitare lo strapotere delle banche è l’ultimo pensiero dei nostri
politicanti, ammesso che se lo siano mai posto. Loro fingono di
governare, e intanto sono le banche a decidere a chi dare i soldi,
che non hanno, ma che tutti siamo costretti ad accettare, a
cominciare dallo Stato, loro vassallo. Aria fritta venduta per
buona, a prezzi scontati alla speculazione, e con una grassa cresta
sui prezzi finali degli alloggi: un mutuo a monte e tanti mutui a
valle. È così che le banche riescono a guadagnarci due volte.
Finché non si
estirperà questa cemento-dipendenza, l’aggressione del territorio e
l’impoverimento generale causato dai fondi sottratti agli
investimenti e ai consumi non futili proseguiranno. E le aree
industriali e dismesse non accoglieranno opere di interesse
pubblico, ma solo nuove case, case, case.
Ma, e se si
ripetesse anche da noi il
crunch edilizio stile USA?
Forse gli speculatori ardiranno chiedere a Comune, Regione e Stato,
un equo indennizzo, per la speculazione sbagliata. Embeh? Se la
cordata è italiana, questo ed altro.
Marco
Giacinto Pellifroni
7 settembre 2008
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