La prima di tali
colonne era costituita da truppe tedesche, la
seconda da militari d e l l a
Repubblica Sociale Italiana, la terza
da appartenenti alle Brigate Nere,
mentre dell'ultima facevano parte il
personale della Federazione
Fascista coi rispettivi familiari ed
altri cittadini che avevano simpatizzato
con il fascismo repubblicano.
Le colonne,
ripetutamente attaccate
da terra e dall'aria andarono dissolvendosi
lungo il cammino e parte di
esse si arresero ai partigiani a
Valenza. Dopo essere stati trattenuti
alcuni giorni in tale località, i prigionieri vennero trasferiti ad
Alessandria. Avuta notizia della cattura,
la Questura di Savona, retta a
quel tempo dal comunista Armando
Botta, operaio verniciatore, dispose
la traduzione da Alessandria a
Savona di un primo gruppo di prigionieri.
La prima traduzione
venne
effettuata il 5 maggio 1945 con caposcorta
Stefano Viglietti.
Tra i deportati,
uomini e donne, vi era il generale Amilcare Farina che, appena arrivati
a Savona, fu prelevato
dal Comando Alleato suscitando
vivo malcontento negli ambienti
partigiani. La seconda traduzione,
che doveva comprendere 52 persone,
fra le quali 13 donne, venne
disposta a distanza di pochi giorni
dalla prima. Di essa furono incaricati
Giorgio Massa (Tommy),
Dalmazio Bisio (Bill), Ottavio
Oggero (Penna Rossa) e Luigi
Anselmo (Pue), oltre al Viglietti,
Emilio Metri, Umberto Gagliardo
ed Egidio Scacciotti.
Tutti costoro, a
capo dei quali era il Massa, che rivestiva
il grado più elevato (Maresciallo
ausiliario di P.S.), il 10 maggio
si recarono ad Alessandria con
una autocorriera condotta dagli autisti
Giuseppe Pinerolo e Nicolo
Amandini.
Quel giorno stesso,
ottenuto dalla
Questura di Alessandria l'ordine di
scarcerazione dei 52 detenuti, il
Massa li prelevò da quelle carceri e
li fece salire sull'autocorriera, che
iniziò il viaggio di ritorno a Savona.
Lungo il tragitto, ai
detenuti prelevati
ad Alessandria ne furono
aggiunti altri un certo Antonio
Branda fuggito da Savona in bicicletta
e Giovanni Poggio, interprete
al Comando tedesco, prelevato ad
Acqui. Dopo il pernottamento ad
Acqui la corriera proseguì il viaggio
la mattina del 11 maggio. Per il percorso
Acqui/Altare sulla corriera viaggiò anche un portaordine diciasettenne
della Sa Marco, Sergio
Angelici, ma fu trattenuto nella
caserma di Altare e, successivamente
fucilato. A Piana Crixia sosta e le
donne detenute vennero condotte in
un esercizio pubblico per mangiare.
Durante la sosta il
Poggio fu fatto
scendere e venne ucciso nella
Frazione Borgo. Giunta ad Altare la
corriera venne fatta fermare davanti
alla Caserma dei Carabinieri, a quel
tempo sede del presidio partigiano
locale, comandato da Giovanni
Panza (Boro). Qui tutti i detenuti,
fatta eccezione delle donne del
Branda e del giovane Armando
Morello e del Colonnello Giacinto
Bertolotto furono fatti scendere ed
introdotti nella caserma vennero percossi.
Qualche ora dopo
quegli sventurati
vennero fatti salire su un autocarro,
apprestato e guidato personalmente
dal Panza, e condotti in
località Cadibona, nei pressi della
Galleria. Prima che il camion partisse,
il Viglietti ne fece scendere tre
adolescenti appartenuti alle milizie
fasciste, Arnaldo Messina, Adriano
Menichelli e Romano Viale.
Costoro, accompagnati
dal Viglietti,
seguirono il camion, mentre
l'autocorriera con le donne, il
Bertolotto, il Branda ed il Merello
veniva fatta proseguire anch'essa
alla volta di Cadibona.
In tale località, i
detenuti, 39 persone,
che erano sul camion vennero
fatti scendere e condotti su una piccola
radura adiacente la strada provinciale;
dopo essere stati spogliati
di ogni avere, delle calzature e dei
capi di vestiario vennero, ad uno o
due per volta, fatti scendere in un piccolo
avvallamento del terreno ed
uccisi a colpi di arma da fuoco. Il
tenente della G.N.R. Mario
Molinari. riuscì a fuggire, senza scarpe
e con indosso solo la camicia ma
venne ripreso nell’abitato di
Cadibona, riportato sul luogo del
massacro e fucilato negandogli
l’assistenza religiosa, da lui espressamente
richiesta. I cadaveri rimasero
sul posto sino alla sera del giorno
successivo quando alcuni partigiani
e civili provvidero a trasportarli
al cimitero di Cadibona, dove
durante la notte, vennero seppelliti,
in quattro strati sovrapposti, in
un'unica grande fossa.
Il Cappuccino Padre
Giacomo (Eugenio
Traversa) li riesumò nel 1949
e ne provvide sepoltura nel Cimitero
delle Croci Bianche di Altare. Il 24
maggio 1945 il Viglietti, sospettato
dagli altri partigiani di essere stato
amico/informatore della R.S.I. tra
l'altro lui non aveva partecipato al
pestaggio dei detenuti, ma anzi li
aveva, di soppiatto invitati a cercare
di scappare per evitare la morte,
scomparve senza lasciare alcuna
traccia, dopo aver detto alla moglie
che si doveva incontare con il Bisio
ed il Massa. Negli interrogatori dei
partigiani sospettati delle'eccidio
Massa, Bisio, Oggero, Anselmo, e
Panza, più il Commissario di P.S.
Cannassi Rino (quest'ultimo quale
mandante) questi si dichiararono
innocenti, sostenendo che il capo
era il Viglietti, di cui sapevano solo che era scomparso, che era questi
che aveva ricevuto l'ordine da Savona di “farli fuori” (dal Carmassi?) e
che l'esecuzione sia del Poggio che degli altri 39, a
Cadibona, era avvenuta per mano di altri partigiani sconosciuti e che
essi vi avevano assistito come semplici spettatori senza prendere parte
attiva.
Bisogna capirli
questi poveri partigiani, a quei tempi non vi era la televisione e si
assisteva agli spettacoli
che capitavano.
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