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LA CORRIERA DELLA MORTE

da VILLA CAMBIASO

RIVISTA ARTE E CULTURA DI SAVONA E FUORI PORTA

La strage chiamata Corriera della Morte è una delle più efferate avvenute nel Savonese, ma malgrado nel 1956 la Corte di Appello di Genova - Sezione Istruttoria avesse fatto una seria ricostruzione dei fatti, è piuttosto sconosciuta.

Nel pomeriggio del 25 aprile 1945, delineatasi la disfatta delle forze armate nazifasciste, e ritenutosi imminente l’occupazione della città da parte degli Alleati, quattro colonne di militari, di fascisti e di persone compromesse col cadente regime partirono in tutta fretta da Savona per cercare scampo nel Nord della penisola.

La prima di tali colonne era costituita da truppe tedesche, la seconda da  militari d e l l a Repubblica Sociale Italiana, la terza da appartenenti alle Brigate Nere, mentre dell'ultima facevano parte il personale della Federazione Fascista coi rispettivi familiari ed altri cittadini che avevano simpatizzato con il fascismo repubblicano.

Le colonne, ripetutamente attaccate da terra e dall'aria andarono dissolvendosi lungo il cammino e parte di esse si arresero ai partigiani a Valenza. Dopo essere stati trattenuti alcuni giorni in tale località, i prigionieri vennero trasferiti ad Alessandria. Avuta notizia della cattura, la Questura di Savona, retta a quel tempo dal comunista Armando Botta, operaio verniciatore, dispose la traduzione da Alessandria a Savona di un primo gruppo di prigionieri.

La prima traduzione venne effettuata il 5 maggio 1945 con caposcorta Stefano Viglietti.

Tra i deportati, uomini e donne, vi era il generale Amilcare Farina che, appena arrivati a Savona, fu prelevato dal Comando Alleato suscitando vivo malcontento negli ambienti partigiani. La seconda traduzione, che doveva comprendere 52 persone, fra le quali 13 donne, venne disposta a distanza di pochi giorni dalla prima. Di essa furono incaricati Giorgio Massa (Tommy), Dalmazio Bisio (Bill), Ottavio Oggero (Penna Rossa) e Luigi Anselmo (Pue), oltre al Viglietti, Emilio Metri, Umberto Gagliardo ed Egidio Scacciotti.

Tutti costoro, a capo dei quali era il Massa, che rivestiva il grado più elevato (Maresciallo ausiliario di P.S.), il 10 maggio si recarono ad Alessandria con una autocorriera condotta dagli autisti Giuseppe Pinerolo e Nicolo Amandini.

Quel giorno stesso, ottenuto dalla Questura di Alessandria l'ordine di scarcerazione dei 52 detenuti, il Massa li prelevò da quelle carceri e li fece salire sull'autocorriera, che iniziò il viaggio di ritorno a Savona.

Lungo il tragitto, ai detenuti prelevati ad Alessandria ne furono aggiunti altri un certo Antonio Branda fuggito da Savona in bicicletta e Giovanni Poggio, interprete al Comando tedesco, prelevato ad Acqui. Dopo il pernottamento ad Acqui la corriera proseguì il viaggio la mattina del 11 maggio. Per il percorso Acqui/Altare sulla corriera viaggiò anche un portaordine diciasettenne della Sa Marco, Sergio Angelici, ma fu trattenuto nella caserma di Altare e, successivamente fucilato. A Piana Crixia sosta e le donne detenute vennero condotte in un esercizio pubblico per mangiare.

Durante la sosta il Poggio fu fatto scendere e venne ucciso nella Frazione Borgo. Giunta ad Altare la corriera venne fatta fermare davanti alla Caserma dei Carabinieri, a quel tempo sede del presidio partigiano locale, comandato da Giovanni Panza (Boro). Qui tutti i detenuti, fatta eccezione delle donne del Branda e del giovane Armando Morello e del Colonnello Giacinto Bertolotto furono fatti scendere ed introdotti nella caserma vennero percossi.

Qualche ora dopo quegli sventurati vennero fatti salire su un autocarro, apprestato e guidato personalmente dal Panza, e condotti in località Cadibona, nei pressi della Galleria. Prima che il camion partisse, il Viglietti ne fece scendere tre adolescenti appartenuti alle milizie fasciste, Arnaldo Messina, Adriano Menichelli e Romano Viale.

Costoro, accompagnati dal Viglietti, seguirono il camion, mentre l'autocorriera con le donne, il Bertolotto, il Branda ed il Merello veniva fatta proseguire anch'essa alla volta di Cadibona.

In tale località, i detenuti, 39 persone, che erano sul camion vennero fatti scendere e condotti su una piccola radura adiacente la strada provinciale; dopo essere stati spogliati di ogni avere, delle calzature e dei capi di vestiario vennero, ad uno o due per volta, fatti scendere in un piccolo avvallamento del terreno ed uccisi a colpi di arma da fuoco. Il tenente della G.N.R. Mario Molinari. riuscì a fuggire, senza scarpe e con indosso solo la camicia ma venne ripreso nell’abitato di Cadibona, riportato sul luogo del massacro e fucilato negandogli l’assistenza religiosa, da lui espressamente richiesta. I cadaveri rimasero sul posto sino alla sera del giorno successivo quando alcuni partigiani e civili provvidero a trasportarli al cimitero di Cadibona, dove durante la notte, vennero seppelliti, in quattro strati sovrapposti, in un'unica grande fossa.

Il Cappuccino Padre Giacomo (Eugenio Traversa) li riesumò nel 1949 e ne provvide sepoltura nel Cimitero delle Croci Bianche di Altare. Il 24 maggio 1945 il Viglietti, sospettato dagli altri partigiani di essere stato amico/informatore della R.S.I. tra l'altro lui non aveva partecipato al pestaggio dei detenuti, ma anzi li aveva, di soppiatto invitati a cercare di scappare per evitare la morte, scomparve senza lasciare alcuna traccia, dopo aver detto alla moglie che si doveva incontare con il Bisio ed il Massa. Negli interrogatori dei partigiani sospettati delle'eccidio Massa, Bisio, Oggero, Anselmo, e Panza, più il Commissario di P.S. Cannassi Rino (quest'ultimo quale mandante) questi si dichiararono innocenti, sostenendo che il capo era il Viglietti, di cui sapevano solo che era scomparso, che era questi che aveva ricevuto l'ordine da Savona di “farli fuori” (dal Carmassi?) e che l'esecuzione sia del Poggio che degli altri 39, a Cadibona, era avvenuta per mano di altri partigiani sconosciuti e che essi vi avevano assistito come semplici spettatori senza prendere parte attiva.

Bisogna capirli questi poveri partigiani, a quei tempi non vi era la televisione e si assisteva agli spettacoli che capitavano.

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