TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni Teardo story (puntata 28°): un memoriale mai
pubblicato L’IMPUTATO
SICCARDI SCRIVEVA:
IN
PROVINCIA NON PASSAVA UN CHIODO Il giochino, tra imprese, dei ribassi e
spartizione di appalti
di Luciano
Corrado
In questa “tappa- story” ci occuperemo di
Roberto Siccardi,
pure deceduto, che fu il secondo imputato a fare poche, seppure
lacunose, ammissioni. Ma soprattutto a spiegare cosa accadeva negli
appalti e nei rapporti tra
l’Amministrazione Provinciale di Savona
e il “cartello” delle maggiori imprese, dei maggiori imprenditori
che si aggiudicavano le gare pubbliche. In che modo, con quali
aumenti e a beneficio di chi. Vogliamo ricordare che in questa altalenante ricostruzione dei “tempi di Teardo”, abbiamo evitato di dar voce al contenuto delle intercettazioni telefoniche che pure ci furono, oggi tanto discusse, sia perché come spesso accade interpretazioni e trascrizioni lasciano aditi a dubbi, ma anche errori. Sia perché ci siamo ripromessi di non entrare nella sfera e nella vita privata degli imputati, delle loro famiglie. Una scelta che, forse, farà mancare alcuni spaccati, da vita privata/pubblica, di quella storia che scosse la Liguria e l’Italia. Nessuna ce l’ha vietato, è una libera scelta. Chi era Roberto Siccardi, classe 1930, nato a Finale, con residenza a Pietra Ligure e quale il suo ruolo? Anziché dare la parola alla pubblica accusa, ai giudici inquirenti, lasciamo la descrizione alla Corte d’appello di Genova che nel luglio 1988, scriveva per mano del “relatore” del collegio giudicante, Francesco Rossini. <La condotta di Roberto
Siccardi si distingue per raffinata scaltrezza e ambiguità
indicativa di una ben radicata vocazione per la vita parassitaria.
Dichiarato fallito, l’imputato troverà nel gruppo Teardo
l’habitat naturale
per
sperimentare la propria prevaricazione ai danni delle persone che
poteva avvicinare più facilmente. Era ideatore e programmatore dello
sfruttamento intensivo delle risorse economiche dell’impresa
Ghigliazza. Il ruolo organizzativo svolto dal Siccardi
nel settore del procacciamento dei fondi a beneficio
dell’associazione sembra pacificamente acclamato>. IL MEMORIALE SCRITTO DA
SICCARDI Trucioli
Savonesi, con
l’obiettivo di arricchire la conoscenza di quel periodo, offre ai
lettori il memoriale
“inedito”, allegato agli atti processuali e mai divulgato, che lo
stesso Roberto Siccardi scrisse, quasi a tappe, due anni dopo
il suo arresto avvenuto il 14 giugno 1983 (giorno della prima
retata) e tornato in libertà per decorrenza dei termini il 16 agosto
1985. Il testo, non
integrale, delle quattro paginette scritte a mano.
<Il
Ghigliazza entra nel giro fortunato per una mia
intuizione come da mio verbale del 13 dicembre 1983. Piersanto
Ghigliazza, al giudice Granero il 13 dicembre 1983,
rappresenta la situazione…lamentando di non essere mai stato
invitato alle gare d’appalto della Provincia di Savona. Si rivolse
al sottoscritto per cercare di vincerne qualcuna. Anzi, il
Ghigliazza afferma qualcosa di più e cioè che il sottoscritto,
su sua richiesta, gli
suggerì la percentuale di ribasso da indicare, con la quale si
aggiudicò finalmente l’appalto.
Ma in
quella occasione fu il Ghigliazza a rivolgersi al
sottoscritto e non il contrario e che per sua volontà ed interesse
cercò di entrare nel giro degli appaltatori cosiddetti fortunati. Ed
è stato lo stesso Ghigliazza a spiegarlo nella sua
deposizione a Granero…. Eccola: <Ho
già spiegato che tra le imprese interessate ci suddividevamo gli
appalti in relazione alla zona in cui ognuno operava, senza darci
fastidio l’un l’altro. In pratica ci
mettavamo d’accordo tra noi sull’offerta da fare in relazione al
tipo di gara e tutti rispettavano i patti.
Era molto
facile perché eravamo in 5 o 6, tutti eravamo d’accordo, non c’era
problema.>. Si domanda
Roberto Siccardi nel memoriale: <Allora è stato il
sottoscritto a
promuovere questi incontri ed a stringere questi patti tra le
imprese? E’ questo il comportamento di chi sostiene di essere stato
concusso? O non piuttosto di chi ha trovato una chiave che apre
molte porte, a cominciare da Ghigliazza, poi Bogliolo
ed altre ancora, attraverso le quali vincere gli appalti della
Provincia a “prezzo bloccato”. UN RIFERIMENTO A INTERESSI
“ROMANI”
<I ribassi
che mediamente andavano dal 12 al 30 per cento venivano, invece,
aggiudicati a queste imprese con percentuali di ribassi irrisorie,
tipo lo 0,76, massimo 3 per cento. Predisponendo un’idonea
programmazione con altre imprese sia di tipo territoriale che di
opportunità contingenti, in una visione non solo provinciale, ma
interprovinciale e con riferimenti, non soltanto Savonesi, ma anche
romani>
(sic!) <CARI GIUDICI,
ATTENTI
ALLA TESI
DEGLI IMPRESARI>
Roberto
Siccardi,
a questo punto, aggiungeva: <I giudici istruttori non essendo né
operatori economici, né tecnici edili, prendono per buone le
giustificazioni del teste Ghigliazza, evidentemente preoccupato per
le pesanti parole sfuggitegli circa gli accordi tra imprese. Accordi
che erano necessari perché trattandosi soprattutto di lavori di
bitumazione, questo bitume va necessariamente trasportato caldo,
perciò bisognava prendere i lavori dove le imprese avevano gli
impianti ed era una garanzia per le amministrazioni. I MIEI
COIMPUTATI SAPEVANO QUASI
TUTTO
<I
miei coimputati dicevano di non conoscere niente di niente, e
qualche imputato penso diceva il vero. Ma qualcun altro negava anche
cose di un’evidenza
sorprendente, evidentemente con il preciso intendo di salvaguardare
l’immagine del Psi, bersagliato da una campagna stampa, che
trova a mio modo di vedere una sua giustificazione….conosco assai
bene la geografia imprenditoriale della nostra provincia…dall’età di
17 anni lavoro in questo campo…posso affermare, documentare che
l’asserito vittimismo
di Ghigliazza, fatto proprio dai giudici istruttori, non
regge ad un’attenta e geografica distribuzione delle imprese nella
zona>. I NOMI DELLE
IMPRESE INTERESSATE
AGLI APPALTI
Siccardi
scrive ancora di suo pugno: <Erano l’impresa Damonte,
Bogliolo, Farinazzo, Fratelli Rossello, poi un’impresa con
impianti a Borghetto Santo Spirito-Toirano, fallita per
mancanza di lavoro, quindi la Ghigliazza
che da sola, per attrezzatura, produzione di pietrisco
avrebbe potuto abbattere i costi dei lavori, ma anche l’altra grande
impresa, sempre a nome Ghigliazza…, oltre a quelle che
avevano impianti a Savona e in Val Bormida. CHI ERA IL
VERO BURATTINAIO?
Siccardi:
<Credo che ora appaia chiaro chi era il “burattinaio” che tirava le
fila (e non per persone singole , ma di gruppo economico nel suo
complesso). Era aiutato da uno staff dirigenziale di notevole
livello e dove i geometri del par mio (ma anche dei testi Piero
Nan e Franco) potevano giocare un ruolo assai modesto, sia per
esperienza, insufficiente, sia per effettivo livello professionale.
E’ da
sfatare la leggenda di un Ghigliazza succube di Siccardi,
sprovveduto, timoroso, impaurito, circonvenuto da oscure trame
truffaldine e ricattatorie. Non è certo un caso che il Ghigliazza
ammette, in una delle sue tante deposizioni,
che l’amicizia con il sottoscritto ebbe a cessare con il mio
arresto>. SE IN
PROVINCIA NON SI PAGAVA
NON PASSAVA
NEANCHE UN CHIODO
Il Siccardi-memoriale:
<Il Ghigliazza Piersanto afferma nel suo interrogatorio
del 20 giugno 1983, seconda pagina, che se non si pagava ”in
Provincia non passava
neanche un chiodo”, e che ciò era pubblico e notorio e lo
sapevano anche le pietre. Ma si rivolse a Siccardi affinché
si potesse superare l’ostacolo? Aggiunge
Siccardi <tutte le imprese erano d’accordo, naturalmente
quelle del pool. E non si trattava di imprese artigianali, ma talune
erano anche di respiro nazionale. E ciascuna rispettava i patti ed
era facile vincere l’appalto, essendoci questo tacito accordo tra
colleghi…L’amicizia con Ghigliazza veniva da lontano. Infine
emerge che Ghigliazza si rifiuto di avere rapporti con
Dossetti
Considerato
rompiscatole e prepotente>. <QUAL ERA IL
MIO VERO RUOLO NELL’AMBITO
APPALTI-IMPRESE>.
Siccardi,
conclude cosi il memoriale: <Tutto quanto scritto sta a
significare che il sottoscritto fece da “trait d’union” tra il
Ghigliazza e l’organizzazione politica su richiesta del
Ghigliazza stesso che non voleva trattare col Dossetti,
ma tale circostanza fa emergere il fatto che tutti i suoi colleghi
impresari conoscevano e giudicavano il Dossetti, con cui
evidentemente avevano avuto rapporti. Ciò dimostra che il
sottoscritto Siccardi fui un occasionale tramite e forse
anche scomodo per l’organizzazione politica, tra due parti. Scelto
comunque dal Ghigliazza. Emerge altresì che le imprese
costituitesi in trust per l’occasione, perseguivano filoni
differenziati, nei quali comunque non si trovava il Siccardi>. CHI COMANDAVA
IN PROVINCIA?
DA ABRATE A
SANGALLI
Come
abbiamo fatto per Siccardi una rapida sintesi di cosa
significavano gli appalti provinciali, con i rispettivi presunti
ruoli, dell’allora presidente Domenico Abrate e Gianfranco
Sangalli. Ecco il
giudizio, sintetico, del relatore della sentenza, in Corte
d’appello, dopo la condanna del tribunale di Savona.
Domenico
Abrate,
classe 1936, nato a Torino, con residenza a Spotorno, arrestato il
29 novembre 1983 scarcerato il 9 agosto 1985 per decorrenza dei
termini. E’ scritto: <Il suo ruolo partecipativo
nell’associazione criminosa non può essere messo in discussione. Il
contributo dato dall’Abrate risulta accertato, avendo anche
acconsentito la più ampia autonomia al dinamico assessore
Sangalli scherzosamente denominato “vecchiaccio maledetto” e
“mio padrone”. Abrate, come Sangalli, era nel libro
paga tenuto da Capello. Ha dimostrato poi cieca fiducia,
anziché cautela, come vice presidente dell’Iacp, a persone
legate indissolubilmente a chi influenzava negativamente l’attività
dell’ente, il più corrotto della provincia>.
Gianfranco
Sangalli,
classe 1927, nato a Cairo Montenotte, qui residente, arrestato il 14
luglio 1983, scarcerato il 16 agosto 1985 per decorrenza dei termini
di carcerazione preventiva. E’ scritto, tra l’altro, nella
motivazione: <Sangalli è un elemento fondamentale di
raccordo nel triste organigramma associativo, il suo collocamento
alla guida dell’assessorato alla Viabilità della Provincia,
per lunghi anni, permetteva al clan un sicuro e costante controllo
degli appalti, la sapiente manovra degli inviti a poche imprese>. Vale la pena
riepilogare che il fulcro dell’appello fu che la “piovra” savonese
non “era di stampo
mafioso”, come invece sostenevano i giudici istruttori Granero
e Del Gaudio , nonché l’ufficio del pubblico ministero, prima
Giuseppe Stipo, poi Michele Russo, in udienza.
Aspetto che
invece veniva contestato nelle udienze e nelle memorie difensive
dagli avvocati
Chiusano, Signorile, Gallo, Salvarezza, Guastavano, Chirò, Calabria,
Coniglio, Cavallo, De Luca, Finocchio, Mazzitelli, impegnati con
successo a scongiurare che vincesse la tesi della “banda mafiosa”,
che oltre all’accusa era portava avanti dai legali di parte civile,
tra cui Romano Raimondo, Cesare Manzitti, Francesco Di Nitto,
Umberto Garaventa. Ha scritto
nella motivazione il giudice Rossini: <Il ricorso da parte
degli attuali imputati al metodo dell’attentato dinamitardo ai danni
dei cantieri e degli strumenti di lavoro delle imprese, avente
l’inequivocabile significato del tipico avvertimento mafioso, non è
stato comprovato né riguardo all’esplosione del 29 aprile, al ponte
sul Letimbro, ai danni dell’impresa Damonte, a
Savona, né alle distruzioni e agli incendi verificatisi ai danni
di altre imprese operanti in Liguria ed attribuiti all’azione di
ignoti>. Come ha
ricordato l’ex giudice Michele Del Gaudio nell’intervista a
Trucioli pubblicata la settimana scorso, tutto alla fine si giocò
sui termini “omertà” ed “intimidazione”, con un
evidente contrasto tra le sentenze d’appello e di Cassazione, ma
soprattutto il mancato ricorso finale della procura generale della
Repubblica di Genova. Questa è storia, questa è la giustizia
italiana. Nel bene e nel male. Luciano
Corrado |