TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni
La repubblica di
Babele
“Noi Gramsci lo
studiamo da trent’anni”
(titolo de “Il secolo d’Italia” del 14 giugno 2008)
Era il Natale del 1951 e
dalla “cavagna” di mio padre uscì un libro dalla copertina grigia e
morbida, con le pagine da tagliare. “Antonio Gramsci – lettere dal
carcere – Einaudi “ £ 500.
Allora era una gioia
aprire con attenzione le pagine col coltello più affilato di
casa,curiosare qua e là, ma alla svelta, per non sciupare la
pienezza della lettura; anche la sensazione tattile introduceva al
piacere della conoscenza. Il libro, come scrigno, veniva poi
protetto (ancora adesso,dato che ne ho foderati migliaia, sono
abilissimo col “cristal”) dal robusto foglio blu della carta degli
spaghetti.
La cavagna di mio padre
era il luogo dei suoi difficili pasti sul locomotore: ”pentolini” da
casa, rianimati sulla “scaldiglia” elettrica e ingeriti mentre,
certo senza ammortizzatori”, sulla motrice tutto balla come per
terremoto; la cavagna era di un cartone pressato; ora finalmente
sicura dall’esser devastata dai fascisti che, il primo maggio,
andavano alla ricerca di un garofano rosso, immancabilmente trovato
e causa, a dir poco, di rudezze prima di esser strappato.
Lessi quel libro,
comprato al dopolavoro ferroviario, forse con qualche sconto, con
una gioia ed una rabbia assoluti. Aver impedito a un cervello di
pensare non per vent’anni, come voleva il P.M. fascista che lo
incriminò per reato di ideologia, ma, purtroppo, per molto meno
(Gramsci morì nel ’37; sarebbe uscito di galera con
Quella di cui godono (e
così sia!) gli affiliati al “Secolo d’Italia”; quella contro cui
combatterono a Salò infausta; quella che non consente loro di
titolare, meglio “.…..lo studiamo da trenta; lo abbiamo fatto morire
da settantuno! In galere malsane perché non studiasse, non avesse
libri, scrivesse soltanto ad ore deputate e su carta contata e
controllata!”
Dove “studierebbero” se
l’abilità di Tania, la cognata e la dirittura civile di Raffaele
Mattioli non avessero conservato i cercatissimi dai segugi fascisti
“Quaderni” nel…..caveau milanese della Banca Commerciale?
Certo: Gramsci, a me ed a
chi come me lo conosce da ben più di trent’anni, ha insegnato
l’amore per la libertà di pensiero e mi ha anche fatto capire che
l’intervento censorio di Togliatti e di Felice Platone sulla prima
edizione delle opere fu e resta un crimine (emendato, mai troppo
presto, dalla splendida e rigorosa edizione a cura di Valentino
Gerratana) L’ho sempre avuto come intellettuale di riferimento
(certo, meglio di Croce troppo “riservato” sul fascismo che pure
avversò e di Gentile connivente in pieno!) per tracciare la via che
porta dalla formazione di obiettivi “privati” e spesso
personalistici (che i gruppi di centrodestra raccolgono assai
facilmente,come adesso purtroppo accade) all’elaborazione,attraverso
la “forma-partito,nuovo “principe” machiavelliano, ma sempre
controllato da una agorà vasta e coerente di una “egemonia” di
continuo avvalorata e capace che agisce sempre saldamente legata
alla realtà ed alla “base” politica committente e ad essa (non da
comunista,ma da democratica) spiega di continuo i motivi del suo
agire e ne riceve pareri,modifiche e conforto.
Se lo studiassero davvero
Gramsci,i signori del “Secolo d’Italia”;altro che civetterie!...
“Lascia tutti i tuoi averi
se vuoi seguirmi!” disse qualcuno, a tutti ben noto. Altro
che San Paolo sulla via di Damasco!
La democrazia non è
qualche frase che un ministro spilluzzica ( e comunque, bene così!)
dal contesto,davvero non bolscevico, ma rivoluzionario-europeo del
pensiero di un uomo che misurò per anni ed anni i pochi metri
dell’impiantito di una cella con una sorprendente capacità di
meditazione e di organicità di pensiero: democrazia è cultura,non
immagine; è ricerca, non semplificazione-tre-i, è saper risparmiare;
anzi,spendere oculatamente risorse nella scuola e nella sanità
tagliando, quella sì, la fastidiosa e costosissima presenza
partitica laddove si richiedono soltanto competenze e senso etico.
Certo! Torniamo a
Gramsci, ai suoi lenti e doloranti passi in cella e ad un pensiero
composto di continuo ed archiviato per scriverlo ad ore fisse, un
pensiero che si tormentava di mancare dei riscontri bibliografici
necessari, un pensiero che capiva benissimo (anche se da fuori gli
arrivava soltanto…un passerotto alla grata) che, nella babele di
quei tempi dove la burbanza nascondeva l’apocalisse, era
indispensabile tornare alla riflessione critica, alla cultura, alla
fatica illuminante dello studio.
Quel pensiero diede
all’Italia risorta dalla catastrofe bellica l’enciclopedia della
riflessione, del sapere e le fece ricomprare il tempo perduto nei
confronti del pensiero europeo,di cui si erano censurati i libri.
E’ vero: come in Unione
Sovietica! La condanna dell’oscurantismo vale sempre e comunque ed
ognuno gratti e paghi le proprie rogne. Studiare un pensiero, però,
implica delle conseguenze: o lo abbraccia coerentemente o lo si
critica: non lo si stravolge “a parte”,come direbbe Dante. Non basta
certo, per dichiararsi ebreo, visitare una sinagoga e portare cinque
minuti la “kippah”: occorre un’adesione convinta che è risultato di
una serissima ed assoluta abiura.
Sergio
Giuliani
|