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Bertolotto sbatte la porta

E al Pd non sembra vero

Lo "strappo" del presidente della Provincia favorisce la  candidatura Rambaudi e apre i giochi non solo per Palazzo Nervi. Il Pdl punta alla spallata. Scajola considera Savona una tappa importante verso  la riconquista della Regione

Luciano Angelini  


Marco Bertolotto

Savona. Venti di guerra soffiano su Palazzo Nervi ad un anno scarso dalle elezioni. Il presidente Marco Bertolotto, eletto dal vecchio e in parte defunto centrosinistra, ha lanciato il guanto di sfida al Pd e in particolare segretario Lunardon. Lo ha fatto sbattendo la porta. Senza tanti complimenti. Lo ha motivato con parole pesanti come pietre: "Nel Pd  c'è un gruppo egemone che arriva da Pci-Pds-Ds che non accetta chi la pensa diversamente. E' un partito che non parla con la gente ma all'establishment".

Bertolotto, medico dell'ospedale Santa Corona prestato (per quanto?) alla politica, superqualificato nella terapia del dolore, ha deciso di aver sopportato abbastanza. Da oltre un anno i suoi rapporti con il Pd e con il blocco coagulatosi attorno al segretario, rafforzato dal potente superassessore Ruggeri, dal senatore Massimo Zunino, fresco di riconferma a Palazzo Madama,  e con il silenzio-assenso del sindaco Federico Berruti, erano andati via via deteriorandosi. Dalla sede del partito in piazza Sisto IV in molti avevano arricciato il naso quando aveva lasciato intravedere segnali di apertura nei confronti degli amministratori di centrodestra del Ponente. Il mal di pancia era poi rientrato dopo una parziale marcia indietro ("Non mi sono spiegato bene"). Ma il malessere restava, nemmeno troppo sotto traccia. Punture di spillo, prese di distanza, dialoghi rarefatti, crescenti tensioni, elastico sempre più tirato. Frizioni continue, ultima delle quali il dialogo con la Lega sulle ronde. Una crisi conclamata con l'aut aut di Bertolotto sulla (auto)richiesta di nomination per la riconferma al vertice della Provincia. Un vero e proprio ultimatum. Scadenza: 31 maggio.

L'attesa di una risposta è risultata vana. E la pazienza, anche per un cattolico come Bertolotto, non poteva durare a lungo. Né la disponibilità a porgere l'altra guancia. Ed è arrivato il secco: "Me ne vado". Motivazione: "Dove sei ospite, neppure gradito, non ci stai".

Così, sul finire di una primavera lacrimosa e incerta, si è concluso il non facile e sempre più tormentato idillio tra Bertolotto e il Partito democratico. Uno "strappo" secco, difficile da ricucire.

Lorena Rambaudi
Fuori dal Pd ma ben deciso sulla plancia di Palazzo Nervi, anche se tre assessori su otto (Mimmo Filippi, comunisti italiani; Carla Siri, Rifondazione; Franca Ferrando, Sinistra democratica), che facevano parte della vecchia coalizione, hanno subito chiesto un chiarimento, e con la maggioranza che aveva ha già perso per strada i due consiglieri dello Sdi, il cui segretario Paolo Caviglia ha dato da  tempo sfiduciato la gestione Bertolotto, a cominciare dal problema dei rifiuti.

In casa Pd in un certo senso se l'aspettavano. E non gli par vero. Forse non vedevano l'ora che si arrivasse allo show down. Il commento di Lunardon, giovane doge del partito, è più significativo di una confessione: "Il Pd non è un partito feudale in cui i candidati si decidono per investitura del segretario, e non è neanche un partito che può accettare aut aut, francamente incomprensibili". Se non è il benservito, poco ci manca. Ma anche una ghiotta occasione per rimettere in pole position Lorena Rambaudi, attuale vice presidente, e sanare la ferita per averle preferito Federico Berruti nella corsa per Palazzo Sisto IV.

Ora che Bertolotto ha "sparigliato", i fari della politica sono concentrati su Palazzo Nervi. Per il Pd, costretto ad inseguire con un handicap di 15 mila voti, la corsa è in salita. Ma c'è tempo per rimediare. E una candidatura "forte", capace di calamitare voti anche sulla Riviera, potrebbe rimescolare le carte. E' quello che teme il Pdl, favorito sulla carta e dai numeri usciti dalle urne delle politiche, con Vaccarezza, rampante sindaco di Loano, che già scalda i motori. Una cosa è certa. Nulla sarà lasciato di intentato per dare la spallata a Palazzo Nervi. Un obiettivo che sta particolarmente a cuore a Claudio Scajola, influente ministro della Repubblica e proconsole di Berlusconi in Liguria, sempre più attento alle questioni savonesi (vedi soluzione del caso Ferrania). Scajola conosce bene le dinamiche elettorali e per questo ha chiesto ai suoi di evitare facili ottimismi. Il fido Orsi, di fresco approdo in Parlamento, ne è il braccio operativo. A lui il compito di un continuo monitoraggio del territorio. Per il Pdl la partita è più grossa di quanto possa apparire. La conquista della Provincia di Savona non è uno sfizio. Tutt'altro. Fa parte di un ambizioso progetto che Scajola accarezza dalla sera della vittoria elettorale: la riconquista della Regione. Burlando è avvisato.

Luciano Angelini