Buongiorno Emma
Avrei
preferito presentare questo intervento la scorsa settimana, quando
l’argomento era ancora caldo
perche’ la gran cassa dei media nazionali lo faceva risuonare forte
e chiaro; purtroppo impegni professionali inderogabili non mi hanno
concesso il tempo di scriverlo. Ma la rilevanza della questione e’
attualissima e lo restera’ ancora per molto, quindi anche se un po’
fuori tempo massimo vorrei esprimere alcune riflessioni
sull’insediamento della nuova Presidentessa di Confidustria.
Non ho ascoltato in diretta il discorso di investitura della
dottoressa Marcegaglia, ma l’ho letto attentamente ed invito tutti a
fare altrettanto. Il file e’ recuperabile dal sito internet di
Confindustria. Si tratta di 6.509 parole distribuite in 36 pagine
sulle quali val la pena soffermarsi, non fosse altro perche’
dopo averlo ascoltato il
Presidente Berlusconi ha detto che quel discorso coincide col
programma del Governo.
In
questo documento, al di fuori della Chiesa, ce n’e’ per tutti: il
Governo, i sindacati, i lavoratori, i dipendenti pubblici, la
scuola, l’universita’, la sanita’, la previdenza, il fisco, il
federalismo, la giustizia, l’Unione Europea, il G8, la Cina, la BCE,
le banche, le infrastrutture, i rifiuti, gli immigrati; vi sono
addirittura prescrizioni precise per la riforma di massime
istituzioni quali il Presidente del Consiglio ed il Parlamento.
Nonostante cio’, incredibilmente si dice molto poco per quanto
riguarda le imprese; come se a Savona il Papa avesse rivolto la
propria orazione ai buddisti del Giappone ed agli induisti della
Thailandia.
Infatti,
su 36 pagine, tutte di ampio respiro, solamente 4 sono indirizzate
all’uditorio naturale del discorso, ovvero le imprese, le quali
vengono richiamate ad altrettanti impegni che qui voglio elencare:
(1) migliorare la sicurezza sul lavoro; (2) investire di piu’ in
ricerca e innovazione; (3) favorire le politiche di risparmio
energetico; (4) favorire la legalita’ contribuendo alla lotta contro
la mafia. Quattro impegni ampiamente condivisibili, non c’e’ che
dire; ma in definitiva sono solo quattro impegni
et voila! Rien ne vas plus!
Nel discorso della dottoressa Marcegaglia non vi e’ neanche un
lontano richiamo alla Responsabilita’ Sociale delle imprese. Nessun
cenno agli effetti devastanti sul Paese della delocalizzazione
produttiva. Nessun impegno a riorganizzarsi per essere piu’
efficienti. Nessun impegno a contribuire a scardinare i cartelli tra
imprese, laddove esistono, eccome! Nessun impegno a rimuovere i
limiti del capitalismo famigliare e gli ostacoli allo sviluppo ed
alla meritocrazia (!) manageriale che esso pone. Nessun impegno a
contribuire ad una maggior trasparenza sull’origine e la qualita’
dei prodotti di largo consumo, specialmente di quelli alimentari e
medicinali. Nessun impegno a maggior tutela della salute pubblica e
del benessere dei consumatori. Nessuna invito alle imprese a
contribuire a controllare l’aumento dei prezzi di prima necessita’.
Nessuna richiesta alle imprese farmaceutiche di impegnarsi ad
abbassare i prezzi di tutti i farmaci salva-vita. Nessun impegno ad
espellere da Confindustria quelle imprese e quei dirigenti d’azienda
che si rendono autori di gravi reati collegati alla loro attivita’.
Nessun impegno a promuovere la crescita personale dei lavoratori
dipendenti. Nessun richiamo ad una maggiore etica degli affari,
concetto che si esplica ben al di la’ delle regole scritte. Nessun
suggerimento per adottare forme di governance delle imprese piu’
moderne ed efficenti. Nessuna proposta per l’adozione di appropriati
codici di autoregolamentazione in materie delicate e di importanza
apicale, come la trasparenza finanziaria delle imprese quotate –
do you remember Cirio and
Parmalat?
Nell’Italia
presentata dalla dottoressa Marcegaglia le imprese hanno ogni
diritto; tutti gli altri hanno solo doveri e responsabilita’ nei
confronti di esse. Io pero’ avrei qualche domanda: Signora
Presidentessa, non ha mai sentito parlare di Responsabilita’ Sociale
delle Imprese? Non era forse quella del suo discorso di insediamento
l’occasione buona per iniziare a discutere seriamente di
Corporate Social
Responsability anche nel nostro ritardato Paese? E poi,
dottoressa Marcegaglia, avrei anche una domanda assai scomoda: ma
lei e’ veramente sicura che le imprese non abbiano nessuna
responsabilita’ per la condizione in cui versa il nostro Paese? Se
siamo disposti ad ammettere come stanno le cose, allora e’ proprio a
quelle responsabilita’ che il suo discorso andava principalmente
rivolto, non a quelle degli
altri e soltanto a quelle. Quale onore – e quali oneri! –
avrebbe reso agli imprenditori italiani riconoscere le proprie
responsabilita’ ed impegnarsi a voltar pagina una volta per tutte,
anche per cominciare a dare l’esempio. Purtroppo cosi’ non e’ stato,
ed il discorso nel suo insieme delude molto per la quantita’ delle
cose non dette e dei problemi non assunti in carico.
Ma
nelle parole della dottoressa Marcegaglia trovo una frase che spicca
al di sopra di tutte, eccola:
“Dobbiamo cambiare il Paese nell’interesse delle imprese...” e
poi aggiunge “.. e dei
cittadini”. Questa affermazione e’ difficilmente condivisibile
perche’ semplicemente incostituzionale. In realta’ dottoressa, la
questione sta e deve continuare a stare in termini esattamente
opposti, ovvero: poiche’ ciascuno di noi ha il diritto ed il dovere
di riconoscersi nel Paese, in realta’ sono proprio i cittadini e le
imprese a dover cambiare nell’interesse del Paese, non viceversa.
Questo principio e’ il cardine di ogni struttura politico-economica
fondata sulla democrazia, immutabile nel tempo, ed in Italia tale
deve restare; ricordiamocelo.
La
crescita e’ un’altra questione dolente del nostro Paese che e’ stata
toccata dall’orazione della neo Presidentessa. La pericolosa
stagnazione economica e demografica dell’Italia e’ sotto gli occhi
di tutti. Pare quindi che d’ora in avanti la parola d’ordine sara’:
“Crescere, e cresceremo!”. Occorrerebbe pero’ intenderci su cosa
cresce, e magari a scapito di chi. Ma la crescita del Paese viene
qui misurata solo come aumento della produzione, senza alcun
riferimento al tipo di crescita. Non e’ possibile misurare la
crescita qualitativamente? Che dire della crescita durevole? O della
crescita sostenibile? O della crescita morale, che poi faccia da
bussola a quella economica? Anche le attivita’ criminali
contribuiscono alla crescita. La Banca d’Italia ha stimato che
l’economia da esse creata ammonterebbe a circa il 10% del PIL
ufficiale: sembrerebbe quasi che debellarle possa comportare un
danno economico enorme per il Paese, perche’ i proventi sporchi,
anche se non interamente, per buona parte finiscono poi nel circuito
dell’economia legale. Chi non ci crede provi a pensare che anche i
criminali e le loro mogli comperano la spesa quotidiana,
l’automobile, gli elettrodomestici, i mobili di casa, i gioielli, i
vestiti ai figli, e cosi’ via.
In
realta’ la crescita puramente quantitativa fa bene soltanto a chi
delle imprese ne detiene il capitale, poiche’ il valore di mercato
di un’impresa – e quindi delle sue azioni – e’ fortemente
determinato dal suo tasso di redditivita’ e dal suo tasso di
crescita. Di conseguenza, ed a parita’ di tutto il resto, quanto
piu’ elevata sara’ la crescita dell’impresa, quanto piu’ alto sara’
il valore posseduto dall’azionista. Spingendo questo discorso al suo
estremo, si giunge all’approccio anglosassone che sopra ad ogni cosa
pone la massimizzazione del “valore per l’azionista”
(Shareholder Value); in
quest’ottica, redditivita’ e crescita delle imprese sarebbero i due
soli parametri che devono interessare al mondo intero, mentre tutto
il resto sarebbe superfluo perche’, dicono i sostenitori di questa
corrente, facendo felici coloro che apportano il capitale di rischio
– gli azionisti – automaticamente si rendono felici anche tutti gli
altri, ovvero i dipendenti, i clienti, i fornitori, le banche, il
Governo, i pensionati e via dicendo. Si tratta di un’impostazione
economica difficilmente condivisibile; ma a ben vedere, che cos’era
l’uditorio della dottoressa Marcegaglia, se non un’immensa platea di
azionisti?
Oserei
infine proporre un’ultima riflessione di tipo semantico.
Nelle 6.509 parole del discorso della dottoressa Marcegaglia, la
parola forse, o un
equivalente dubitativo come
chissà oppure
probabilmente non compare
mai. Sono convinto che cio’ sia decisamente
intenzionale. Infatti un capitano d’industria non deve mai mostrare
dubbi ed esitazioni; esso deve affermare la propria posizione ed il
proprio diritto (merito?) ad essere tale in tutte le occasioni, a
partire da quelle di eminente impatto sociale e mediatico, fino alle
piu’ minuziose ed insignificanti pieghe della vita quotidiana. Le
parole che esprimono dubbi, il dubbio stesso, appartengono alla
riflessione, al ragionamento, alla ponderazione, ed anche
all’esitazione, percio’ sono da evitare, perche’ consumano tempo e
quindi rallentano il processo decisionale. Inoltre, nei nostri
“forse” si insinua la controparte del dialogo, ed i capitani
d’industria non hanno tempo da perdere a confrontarsi con chi ha
idee diverse dalle loro.
Ma
in certe forme di espressione tipicamente manageriali si percepisce
chiaramente la tensione dovuta alla preoccupazione di chi, anche nei
piu’ insignificanti frangenti della vita quotidiana, volendo dare
l’impressione di avere il gene del comando nel sangue cerca di
fornire all’interlocutore un’idea ed una
percezione precisa di se’:
quella che alle conclusioni esatte il capitano d’industria arrivi in
modo naturale, quasi automatico, come se la capacita’ di capire la
realta’, di identificarne i problemi e di decidere in modo
appropriato ce l’avesse installata nei cromosomi, al pari di un
tratto somatico.
La colpa di cio’ e’ anche del pubblico, ovvero nostra. Di fronte ad
un problema complesso a molte variabili, tutti noi siamo poco
inclini a seguire coloro che ci invitano a costruire insieme la
soluzione; piuttosto preferiamo riconoscerci in un leader chi ci
liberi dalla responsabilita’ di decidere presentandoci la soluzione
da adottare pronta e confezionata. Purtroppo tendiamo tutti a
riconoscere quali leaders coloro che come tali soprattutto si
atteggiano e persistono in tale atteggiamento, al punto che, chi ha
veramente la capacita’ di leadership, si vede alla fine costretto ad
adottare proprio quel certo atteggiamento per non vedere le proprie
qualita’ disconosciute. Ed il criterio con cui scegliamo i nostri
leaders e’ quasi sempre lo stesso con cui spesso vengono scelti i
consulenti. In base cosa si decide che Tizio e’ un valente medico e
Caio e’ un grande ingenere? L’immagine prima di tutto, ammettiamolo;
ma non e’ tutta colpa nostra, perche’ con quali criteri possiamo
formarci un’opinione informata se non abbiamo la competenza tecnica
per formulare un giudizio con sufficiente obiettivita’? L’immagine
esteriore dell’altro e’ quanto rimane alla portata della nostra
valutazione, ed alla fine diventa il metro del nostro giudizio.
Senza
neppure un piccolo “forse” ogni paragrafo del discorso di
insediamento della neo Presidentessa di Confindustria suona come se
fosse una rasoiata sulla tela di un quadro: definitiva ed
immutabile. Ma ricordiamoci che Lucio Fontana non ha mai inferto
rasoiate se non ad una tela neutra, senza “segni” di esperienza.
Qui, la tela e’ il nostro tessuto sociale, il quadro e’ quello del
nostro Paese, le rasoiate sono le soluzioni che la dottoressa
Marcegaglia vorrebbe adottare; sicuramente a fin di bene, direbbe
lei; piu’ precisamente nel bene e nel male, direi io.
Buongiorno, Emma.