TRUCIOLI SAVONESI
spazio di riflessione per Savona e dintorni

 

Per l’amor di Dio, Montresor

 

Mi sono ripromessa di non parlare di politica. Del resto, quello che ho scritto domenica scorsa, pur non conoscendo ancora gli esiti, basta e avanza a riprodurre il clima plumbeo di questi giorni.

E per favore, non è riferito a chi ha vinto o chi ha perso. Plumbeo, perché abbiamo perso un po’ tutti, e ce ne accorgeremo presto. Come già scrivevo domenica, del resto. A scatola chiusa.

Altri commenti, magari a mente più fredda e lucida, perché ora si tenderebbe a delirare e farsi sommergere da emotività che farebbero perdere forza ai discorsi o si presterebbero a fraintendimenti.

Torniamo a parlare di Savona.

Proprio domenica scorsa, in uno dei rari intervalli di questa primavera a scrosci, fredda e grigia (poi dice che il cielo non riflette gli umori…) ho fatto una passeggiata sul Priamar, e ho visitato la bella mostra di Rossello, ottima e ammirevole iniziativa, decisamente ben fatta, ben ambientata, piacevole da vedere.

Una volta di più ho avuto modo di ammirare lo stupendo scenario di questa fortezza, e rimuginare sulle mille possibilità che offrirebbe un suo pieno e attivo recupero.

Ci vorrebbero i soldi, già. Ma a volte basta volere, basta crederci, basta non avere aride mentalità da economisti, e magari le buone idee e i buoni finanziamenti si trovano.

Per quel poco che ho girato fuori dai confini nazionali, ho visto che altrove quattro pietre in croce vengono valorizzate come un Partenone. Aiuole curate, cartelli, verdi prati, percorsi, chioschi.

E soprattutto, sacrosanti biglietti d’ingresso, e gadget, e altre entrate varie e assortite. Tutto per far garbatamente soldi sui turisti. E i turisti, volentieri, accondiscendono a farsi spremere. E’ la prassi.

Noi invece in Italia abbiamo questa bella abitudine, di trascurare tutto il nostro patrimonio ambientale e archeologico, e in compenso farlo visitare gratis o a prezzi ridicoli.

Il Priamar era pieno di turisti, anche stranieri, anche croceristi immagino, quella mattina. Per certi versi ero orgogliosa che potessimo mostrare una tale peculiarità. Il piazzale del Maschio appariva più bello e imponente che mai. E poi le terrazze, i camminamenti…

Al tempo stesso, oltre al rammarico per i mancati incassi, notavo le pecche: le trascuratezze, i vandalismi. Il bar rigorosamente chiuso. Chissà perché non si riesce a creare un po’ di movimento lassù. Un peccato. Sotto un bastione, allo sbocco della galleria ferroviaria, c’erano ammassati in un angolo grandi oggetti pesanti che parevano cannoni. Altrove li avrebbero lucidati, spennellati di antiruggine brunito e messi in bella vista. Ma noi no, niente. Questo tipo di cura del bello e della memoria non ci appartiene.

E poi, basta affacciarsi, per constatare le dolenti note. Da una parte, la voragine della piscina e il Prolungamento trascurato. Ma lo dico con voce sommessa, che sono arcisicura che se ci si mette mano diventa una distesa piastrellata, magari con qualche box sotto e erbetta spelata sopra. Gli alberi d’alto fusto a Savona sono decisamente antipatici a tutti,  e se non ci si mettono le malattie e i parassiti da inquinamento, o le potature selvagge e arbitrarie per consumare fondi,   a ucciderli, ci pensano le motoseghe risanatrici.  Tanto sono sempre decretati malati, per definizione. Piantarne altri non se ne parla.

Poi, dall’altra parte, altro che dolenti note, è una sinfonia di dolore, è teatro di guerra balcanica: gli sventramenti e il massiccio orrore del Crescent, sempre più incombente.

Che se rimanesse così, sarebbe sopportabile, per quanto imponente in larghezza e non certo capace di passare inosservato nel paesaggio. Ma no, si sa che lo fanno venire su piano piano, per non dare nell’occhio, ma alla fine quando sarà a tutta altezza ostruirà la vista, la luce, l’aria, massiccio e minaccioso come il muro di Berlino, come the Wall dei Pink Floyd, come la muraglia cinese e il vallo di Adriano tutti messi insieme.

Non basta, no, come monito ed esempio, la  deserta torre buia con il suo contorno di desolanti padiglioni, bella come un elefante in un acquario. Come alienazione e monumento all’inutile, al fuori posto, al sinistro vuoto, non è ancora abbastanza. Ci vengano pure a benedirla Berlusconi o il Papa, poco cambia. No, non basta, ci vuole quell’immenso padiglione, dove un tempo sorgeva una fabbrica che bella non era certo, ma almeno qualche utilità l’aveva.

Mi permetto di ricordare che adesso fanno il laminatoio a Ferrania, a venti chilometri dalla costa, e lo collegano a uno sbocco al mare. C’erano  già aree produttive, siderurgiche, attrezzate, direttamente sul mare. Belle pronte e funzionanti. Non andavano bene? Bisognava per forza sostituirle con un mostruoso insediamento residenziale?

Tempo fa avevo detto che la torre mi suggeriva una scena da horror, da film di zombi, dove scenari ultramoderni deserti e freddi fanno da sfondo alle peggiori inquietudini umane.

Bene, qui, possibilmente, riusciamo a peggiorare, l’horror continua, si fa gotico, rappresentato da questo muraglione curvo che cresce, cresce, piano piano nasconde alla vista, scientificamente, qualsiasi bello e ampio scorcio si possa scorgere, da qualsiasi lato. Alla fine solo loro, i privilegiati fantomatici abitanti dei piani alti,  potranno guardare. Gli altri, contemplino pure i muri.

Mi è sorto alla mente un sinistro accostamento. Un racconto di Poe, che mi ha sempre fatto molta paura, il barile di Amontillado. Un tizio odia a morte un altro tizio, e cova vendetta. Lo invita a una festa mascherata a casa sua, questo si presenta vestito da giullare, sinistro particolare. Quando è sufficientemente brillo, con il pretesto di offrirgli un bicchierino speciale il padrone di casa  lo porta in cantina, dove lo incatena in una nicchia e lentamente lo mura vivo.

Ecco, questo mi ricorda il muraglione che sale lentamente. Un’immagine di lenta angoscia, l’espressione stessa dell’ineluttabilità, dell’impotenza di chi vorrebbe opporsi ma non può, grida e protesta ma nessuno l’ascolta. E quando l’ultimo mattone sta per chiudere la fessura, l’imprigionato, su beffarda richiesta del suo carnefice, lo supplica con la famosa frase che ho messo come titolo al pezzo.

Poi il mattone va a posto, e buonanotte.

A questo punto, dopo tutte queste sinistre visioni, non mancherebbe che un bel cippo funebre, a suggellare lo scempio. Immagino che questo sarà la torre Fuksas.

Ah, dimenticavo: nel racconto il cadavere si vendica, a distanza di tempo, causando la morte del simpatico anfitrione. Bella soddisfazione. Sempre cadavere è.

 

 Milena Debenedetti "nonna Abelarda"