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ANDREMO A NON VOTARE?

di Marco Giacinto Pellifroni

Sinceramente mi stupisco ogni volta che vedo piazze italiane gremite di gente in compito e a tratti plaudente ascolto dei nostri “candidati premier”, mentre ogni persona che singolarmente incontro si dichiara nauseata di vederli e sentirli, e indecisa se presentarsi o meno alle urne; e, in caso affermativo, perplessa se consegnare scheda bianca o nulla,

ovvero fare dichiarazione di “non voto”, come previsto da una norma accuratamente oscurata dai media: il DPR 30 marzo 1957, n. 361 – art. 104. (*), che concede al cittadino la facoltà di mettere a verbale, dopo la rituale apposizione del timbro sulla scheda, il proprio rifiuto di concorrere all’elezione di alcun candidato, chiedendo al presidente del seggio di stilare a verbale le motivazioni della sua astensione “attiva”.

Io cercherò qui di esporre le mie motivazioni di carattere più generale, ritenendo che molti partiti, qualunque il loro dichiarato colore, siano riusciti nell’arduo compito di prendere dagli altri il peggio, col risultato di una babele in cui ormai pochi possiedono ancora un’identità propria, anziché un miscuglio di ideologie prese persino da quelli che ciascuno vuole presentare come suoi antagonisti. Tra i pochi con una residua identità stanno, ovviamente, quelli più estremi, come La Destra, la Lega Nord e il PCL di Marco Ferrando. Che identità sia rimasta ai partiti maggiori, come PD, PDL, Rosa Bianca e Sinistra Arcobaleno sta invece scritto in una sfera di cristallo, che solo il futuro svelerà: votarli è quindi pura e semplice dichiarazione di fede, o meglio di vago pronostico.

Se guardiamo ad esempio l’operato dell’ultimo governo di centro-sinistra attraverso le lenzuolate di Bersani, balza evidente come esso sia riuscito a chiudere l’occhio destro sullo scenario di un mondo bancario e finanziario che stava (e sta) svuotando di polpa, in un prolungato succhiamento parassitario, il mondo produttivo delle piccole e medie imprese, e a guardare quest’ultimo con l’occhio sinistro munito di lente d’ingrandimento, per ingigantirne e denunciarne i presunti difetti e punirli con un’escalation di controlli, tasse, imposte e sanzioni, abbattendo nel contempo ogni regola e scatenando una concorrenza micidiale in puro stile darwiniano, al grido di “sopravviva il migliore”.  

Darwin aveva costruito la sua teoria evoluzionista in base alle osservazioni naturali, ma alla fine tale teoria ha finito col traslare in campo sociale, deviando dall’ideale umanitario che il socialismo d’origine dichiarava e promuovendo una guerra tra poveri, messi in crescente competizione reciproca e nel contempo spremuti fiscalmente in nome della “lotta all’evasione”. Si è chiesto alle masse dei piccoli lavoratori e contribuenti di adeguarsi alla “meritocrazia”, implicita nel darwinismo, con la necessaria caduta dei meno meritevoli, ossia di coloro che meno sapevano adattarsi a questa improba e conflittuale atmosfera di tutti contro tutti. (Solo la Chiesa si è disgiunta da questa inumana competizione, denunciandone ripetutamente il divario dall’etica cristiana di solidarietà).  

Ma che bravi, questi legislatori, che hanno il solo merito di adeguarsi alle non scritte leggi della cupola bancaria, scrivendo invece quelle a valere per i comuni cittadini; che si attribuiscono emolumenti principeschi a prescindere dalle loro capacità e rendimento; che “non vedono” quello che succede nel mondo della finanza, dove di leggi non hanno mai sentito parlare, e i cui capi, dopo aver rovinato mezzo mondo, incluse le stesse compagnie che guidavano, si ritirano a vita privata con centinaia di milioni di buonuscita e stock option. Per costoro non vigono le ferree leggi meritocratiche che invece si calcano a forza sui piccoli e medi imprenditori, che vengono esposti non solo ad una feroce lotta per la sopravvivenza tra loro, ma addirittura a quella con paesi come Cindia (Cina+India), dove le leggi ambientali e sindacali sono praticamente nulle. Ė forse superfluo aggiungere ai “maghi” della finanza anche i boiardi di Stato, che in fatto di irresponsabilità, di “de-meritocrazia” e di buonuscite milionarie non han nulla da invidiare ai CEO delle grandi banche d’affari internazionali.


Luca Ricolfi

Sento ripetere ad ogni TG la trita frase su chi “non arriva alla fine del mese”; su chi “è insolvente verso la banca” o “non riesce a pagare le rate del mutuo-casa”. Tutte frasi pronunciate da chi non ha mai provato cosa significa vivere simili esperienze.

Ma ecco che qualche soluzione viene alfine proposta:

 da Veltroni, con un’elargizione di ben € 400 annui (poco più di un caffè al giorno), da Berlusconi con l’abolizione dell’Ici (stesso ordine di grandezza); e dal governo in carica con la diminuzione delle accise sulla benzina di ben 2 centesimi al litro, ma solo fino al 30 aprile! Forse questi oboli serviranno a coprire una frazione di gabelle assurde, come ad es. quella di un’Iva al 20% se il gas di casa serve per riscaldarsi, anziché solo per cucinare, nel qual caso l’Iva è del 10%. Quasi che riscaldarsi sia un lusso e vada castigato con imposte doppie. Ma i grandi comunicatori non scendono in questi dettagli da bassa ragioneria: preferiscono elargire elemosine che abolire criteri di imposizione strampalati.

Quello che lorsignori si guardano bene dal dire è che i lavoratori dipendenti non arrivano a fine mese perché i loro salari/stipendi sono falcidiati da tasse e contributi (i quali ultimi servono a pagare pensioni ai 58enni, nonché ai ben più giovani parlamentari, mentre le tasse servono per pagare il supposto debito pubblico all’apparato bancario e gli stipendi a un plotone di dipendenti pubblici); e quanto ai lavoratori autonomi, che tali perlopiù sono in quanto non hanno trovato un lavoro né stabile né precario, ho già esposto più sopra i motivi per cui stanno spesso peggio dei salariati o dei loro dipendenti, che almeno possono ammalarsi o farsi le ferie, ossia concedersi quanto a loro è precluso. E un forte contributo alle difficoltà di quadrare i bilanci familiari deriva anche dalla sbilanciata applicazione di tasse sugli affitti ai padroni di casa, senza che però gli inquilini possano detrarsi gli stessi importi dalle tasse. Forse che anche l’affitto di casa è una spesa voluttuaria, al pari del riscaldamento?

Da queste premesse emerge chiaro che i vari auto-promotori politici dicono quel poco che è loro consentito dire, ma tacciono su quanto è loro proibito dai finanziatori della loro campagna elettorale, ovviamente dietro rigide garanzie di riconoscenza in caso di vittoria.

Oh certo, qualche partitino si autofinanzierà e presenterà encomiabili programmi di opposizione ai privilegi di cupola e casta; ma, anche in caso di superamento della soglia di ammissione in parlamento, la loro non potrà essere che un’azione di mero disturbo, ignorata dai media.

Quanto alla Lega, ossia l’unico partito che ha manifestato per il tema della sovranità monetaria, problema di tutti i problemi, un certo interesse, non ha osato includerlo nel suo programma elettorale, concentrandosi sul, peraltro giusto, problema dell’immigrazione, clandestina o meno, profilando scenari di futura scomparsa della nostra individualità etnica e culturale. Evidentemente, ciò che le avrebbe giovato in termini di voti non era forse gradito al patron di Arcore, che pure vanta un Tremonti che il problema monetario l’ha capito benissimo; ma resta da vedere se gli lasceranno attuare un coerente programma di contrasto allo strapotere bancario.

Questo voto rappresenta quindi un’occasione rara per esprimere una quanto più allargata possibile protesta nei confronti di tutto l’apparato che da decenni ci salassa; insomma un segnale di diffusa sofferenza, che richiede ben più dei pannicelli caldi meschinamente offertici da politici avvezzi ad una vita diametralmente opposta a quella di chi pretenderebbero continuare a governare ad esclusivo vantaggio di se stessi e di chi li comanda. Ma attenzione, non schede bianche o nulle, non “astensione passiva” restando a casa: solo recandosi alle urne e motivando la propria “astensione attiva” la protesta ha senso ed efficacia, convogliando un motivato messaggio di protesta all’attuale mondo politico, nazionale e, dove si tengono le amministrative, anche locale (certi consiglieri regionali guadagnano – pardòn, percepiscono- più dei parlamentari).

P.S. Al momento di consegnare questo testo, leggo su La Stampa del 5 aprile un articolo di Luca Ricolfi, “Voto, non voto”. Analisi perfetta del contrastato sentimento che la maggioranza degli italiani prova di fronte a questa ennesima chiamata alle urne. Ma l’autore limita il dilemma all’astensione passiva o alla scheda bianca o nulla, non informando della possibilità, consentita dalla legge, di praticare l’astensione attiva. Forse neppure lui ne era a conoscenza, per cui gli invio il presente articolo, pregandolo di riparare all’omissione in tempo utile.

 Marco Giacinto Pellifroni                                         6 aprile 2008

 (*)Vedi: https://www.truciolisavonesi.it/articoli/numero146/astensionismo.htm.