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Abraham B. Yehoshua   “Fuoco amico”

Un gran libro da leggere.

di Sergio Giuliani

 


Abraham Yehoshua

Abraham Yehoshua è scrittore assai prolifico e con Grossman e Oz ha reso celebre la moderna produzione letteraria israeliana in tutto il mondo.

Noi italiani lo conosciamo come notista etico-politico de “La Stampa” dove spesso interviene per spiegare e ribadire le sue posizioni politiche sul conflitto arabo-palestinese e la sua speranza di una tregua-pace via via illusa e delusa, ma sempre ripresa e ribadita con la forza della convinzione che non ci sia altro da fare che perseguire la strada dell’accordo.

Si leggono volentieri le sue note ponderate, ora che il quotidiano torinese pare essersi liberato dalle ventate intolleranti e rabbiose della Nirenstein, a ben altri politici lidi approdata.

Problemi difficilissimi, lasciati colpevolmente crearsi e marcire, esigono serietà di dialogo e di confronto ed una laboriosa e continua acquisizione di dati e di elementi su una questione incancrenita pericolosissimamente e che produce immani dolori al popolo palestinese e brodo di coltura per provocazioni che vengono, come la gramigna, da molto, da troppo lontano.

Il penultimo romanzo di Yehoshua,”La sposa liberata” era un messaggio umanissimo e un invito alla comprensione tra due culture, quella ebraica e quella arabo-palestinese che hanno molte più affinità che pretesti per scannarsi. Le diversità, se non si agisce con l’intenzione malvagia di renderle incolmabili, sono, all’atto pratico, arricchimenti ed ottimi campi di acculturazione per ricavarne raccolti. Purtroppo, quasi a metà del “viaggio” dell’ebreo prof. Rivlin, arabista, nei “territori” e nei villaggi arabi braccati da Israele, per l’irresponsabilità colpevole di Sharon, il “passeggiatore” della spianata delle moschee di Gerusalemme  e dei suoi  amici del Likud, scoppiò la seconda, terribile “intifada” e la scriteriata, impaurita reazione dell’esercito di Israele.

Ed ecco il romanzo successivo, “Fuoco amico”, forse meno intrigante de “La sposa liberata”, ma ricchissimo di significati nascosti nell’apparente scorrere semplice della “trama” quasi banale. Solita “coppia” israeliana di professionisti benestanti, musicomani e girandoloni fra le belle vie delle belle città modernissime di Israele (quelle arabe sono piene di polvere, di miseria imposta dagli stati dei potenti,ma anche di passato,mentre Israele,che tutto della sua storia ha perduto, è condannata alle novità, alle autostrade ed a grattacieli) che si trova ad aver a che fare con la rielaborazione di due lutti (la scomparsa del nipote e della sorella) e con strane vicende legate all’impresa di ascensori del capofamiglia.

 


 

Rielaborazione che porterà “lei” in Tanzania,dove è letteralmente fuggito il superstite cognato, scappato da Israele e dalla sua cultura, dalla Bibbia, da quei “rompiscatole” che sono i profeti e da ogni possibile aggancio ad una fede consolatrice, per scuoterlo e per strappargli verità su quelle morti.

L’impresa le riesce, in qualche modo, col rischiare persino un adulterio col cognato, ma, al tempo stesso, si imbatte, curiosa, in una spedizione paleoantropologica tutta africana che, muovendo da tracce dell’australopiteco Boisei,suggerisce l’idea alla europocentrica professoressa di inglese, in Africa per pochi giorni e che più non vi ritornerà, che l’homo sapiens provenga da quel continente, per vie affascinantemente ignote e che quindi assegni alla diseredata Africa una insospettabile primazia nella storia dello sviluppo civile.

Tanti i simboli disseminati a piene mani nelle pagine piane e solo apparentemente di agevole lettura. Per non sottrarre la gioia delle rivelazioni al lettore,mi occupo soltanto di una delle tante allegorie, forse la più “strana” e vistosa. Centrale è infatti il tema degli ascensori, da quello, civettuolo e minimo, fatto installare dal padre del protagonista in casa della sua innamorata a quello modernissimo, del più grande grattacielo di Tel Aviv.

Il primo fu garantito a vita ed ora l’anziana signorina pretende ed ottiene che lo si aggiusti ricorrendo ad una dispendiosissima pratica, antieconomica e quindi “pazzesca” per ricostruire ormai artigianalmente i pezzi introvabili (forse i valori vanno caparbiamente sempre ritrovati e riscoperti, pur se fuor di convenienza: lezione per il conflitto!)

Il secondo è stato eseguito alla perfezione, ma ci sono, nella tromba-vano, fischi laceranti e vento fortissimo (in ebraico,”vento” vuol anche dire “spirito dei morti”). Si lamentano i condòmini; si rimbalzano le responsabilità tra impresa d’ascensori e impresa edile; nessuno vuol metter mano, certo della sua buona causa, a spese di controllo. Finchè il protagonista, qui come nel piccolo ascensore a sue spese (anche questa è un’elaborazione di lutti: il vento sono le voci dei morti nel sessantennio di scontri criminosi),con l’intervento di una “esperta” dotata di orecchio assoluto (per risolvere il conflitto occorre un movimento extra partes e con una visione presbite della situazione?) scopre la causa del “disturbo” nella cattiva qualità della muratura che,guarda caso, è stata realizzata da subappaltatori diremmo noi “marocchini” sfruttati da imprenditori “perbene”.

C’è voluta la festa di Hannukkah (le candele accese una alla volta per otto sere) e lo spirito illuministico di Amotz Yaari per liberare un pregiudizio dannoso che avrebbe causato lunghe sedute in tribunale ed astio tra  imprese e condòmini. Che sia una lezione corretta per creare la pace?

Il libro è dedicato “alla famiglia”. Ma non la si intenda come, in questo momento, viene richiamata da tutti e di continuo ed interessatamente sulle piazze:la famiglia è la sede del comunicare, del capirsi nella inevitabile diversità, nel rispetto di scelte che possono essere non condivise e soprattutto degli affetti. In senso più lato,è lecito che il lettore intenda per famiglia il conglomerato sociale, sempre mutevole, in cui si trova a vivere, a cui dà molto di se stesso e da cui sa che molto riceve: basta ammetterlo!

Sergio Giuliani

Abraham B. Yehoshua   “Fuoco amico”  Einaudi  2008       € 19