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QUINDICESIMA PUNTATA/a 28 anni dal “ciclone Teardo”

IL RUOLO DEGLI IMPRENDITORI

E’ ZEPPO DI MISTERI

TRA TANGENTI E PARCELLE

Nessuno ha mai ricostruito la vera contabilità finale del “dare” e dell’”avere”, anche dopo le condanne. Non si sa neppure chi riuscì ad incassare i risarcimenti (enti pubblici compresi). Miliardi in parcelle legali (unico salasso certo). Intanto Teardo può godersi tre mila euro al mese per la pensione di ex presidente della Regione e di assessore (tre mandati). Come scattò la “trappola” finale, con le cronache sportive sul “Savona Calcio”.

 di Luciano Corrado

 


Alberto Teardo

Savona – Era stata la giornalista di Repubblica-Il Lavoro, Ava Zunino, ad informarci, per la prima volta, l’autunno scorso, che Alberto Teardo poteva godersi una “vecchia serena” (sarà cosi?) grazie alla Regione Liguria di cui era stato presidente ed assessore. Tre legislature (l’ultima interrotta per candidarsi al Parlamento, ma arrivarono le manette a sorpresa) con una ricompensa mensile di tre milioni netti al mese. Denaro versato per intero, senza pignoramenti di un quinto da parte di eventuali creditori (Stato o privati). E qui si apre il capitolo della quindicesima puntata del “ciclone Teardo”, a 28 anni dall’inizio dell’inchiesta, a 25 dai primi arresti.

Il ruolo che ebbero gli imprenditori savonesi, in gran parte. Per i difensori degli imputati non erano concussi, semmai corruttori o addirittura finanziatori volontari di un partito che allora aveva potere o sapeva esercitarlo. La Dc per anni aveva instaurato il metodo del contributo volontario, del riconoscimento da parte dell’imprenditore che faceva affari ed appalti nel “pubblico”.

I metodi cambiarono con l’avvento del craxismo ed il teardismo fu il primo, almeno per quanto è dato a sapere, a pretendere tangenti a percentuale.

Quando riveleremo (lo avevamo promesso nelle prime puntate) come si arrivò alla “resa dei conti finale”, sarà più facile capire cosa accadde realmente in quel mondo, tra gli imprenditori savonesi.

Un “segreto”, un retroscena, lo ripetiamo, che neppure i magistrati inquirenti forse conoscono. A loro del resto non interessava capire il vero meccanismo che fece esplodere il “bubbone”, ma raccogliere indizi e prove. Di colpevolezza o innocenza. Cosa che i giudici istruttori Francantonio Granero e Michele Del Gaudio, grazie ad uno staff di ottimi collaboratori (Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia), fecero con capacità, determinazione, scrupolo e indipendenza.


 Lorenzo Tortarolo, costruttore, testimone

Con altrettanto senso dello Stato e della giustizia si mosse il tribunale di Savona, chiamato a giudicare (Avolio, Fiumanò, Ferro (estensore della motivazione della sentenza).

Il verdetto finale (confermato con sentenza passata in giudicato) dice, in parole povere, che gli imprenditori furono costretti a pagare al “clan” perché intimoriti da pubblici-amministratori che ricoprivano anche la veste di pubblici ufficiali. Non solo, in quel periodo si registrarono anche una serie di misteriosi attentati a cantieri edili, ad opera di ignoti. E ancora qualcuno venne “minacciato” di essere tagliato fuori dagli appalti pubblici. O di trovarsi alle calcagna dei concorrenti temibili.

A pagina 445 della sentenza di Savona (danni materiali e morali) si legge che enti pubblici e privati sono stati esclusi, va da se, da ogni richiesta risarcitoria per tutti quei capi di accusa a cui non è seguita una condanna e sono diversi i capi di imputazione che scagionano gli imputati.

LA LISTA DEGLI IMPRENDITORI

Accade esattamente l’opposto per gli addebiti, con conseguente condanna.

Vediamoli singolarmente, sempre seguendo, la motivazione della sentenza di primo grado. Si all’imprenditore Lorenzo Tortarolo, vittima di concussione, ad opera di Giovanni Dossetti. Si alla richiesta danni dell’Iacp nei confronti dello stesso Dossetti, poi di Alberto Teardo, Marcello Borghi, Massimo De Domenicis e Roberto Bordero (per lui l’addebito minore della ricettazione). La stessa sentenza riferisce un passo delle dichiarazioni di Domenico Abrate, il quale parla dello Iacp (appalti e forniture, gare) come dell’ente più corrotto della provincia di Savona. Sarà il presidente Pietro Bovero, vedi vignetta satirica sul giornalino dell’Unione industriali savonese, ad ingaggiare con lo stesso Tortarolo, una durissima battaglia legale e giudiziaria (con l’avvocato Emilio Vignolo) per lavori mal eseguiti nella costruzione di case popolari, ma anche nei confronti dei pubblici amministratori.

Si alle domande risarcitorie  per la “Spa I.CO.SE”, Mario De Filippi, Rocco De Filippi; per la Spa Damonte Emanuele e C: Bruno Damonte, Giovanni Damonte, per Giampietro Sartore (gruppo Lombardini), Piersanto Ghigliazza, nonché la Provincia di Savona nei confronti di Teardo, Capello, Dossetti, Siccardi e Domenico Abrate, limitatamente ai fatti posteriori al 1980.  Ghigliazza, inoltre, ha agito solo contro Siccardi e non verso gli altri imputati. Dagli atti emergono ottimi rapporti di amicizia tra Siccardi e Piersanto Ghigliazza ed un altro teste importante, il geometra Piero Nan del Comune di Loano, per mai provate storie di tangenti. Una delle tante pagine rimaste oscure nel grande “puzzle”.

Si alle domande risarcitorie di Brosito Bogliolo della ditta Agostino Bogliolo, nei confronti di Teardo, Capello e Pierluigi Bovio, sindaco di Borghetto (definitivamente assolto negli altri gradi di giudizio). Si al risarcimento al Comune di Borghetto per alcuni appalti.

Stefano Cutino, teste al processo Teardo

Si al risarcimento ai danni  del Comune di Savona e ancora di Bogliolo per opere che quest’ultimo stava realizzando in città, nei confronti di Teardo e Siccardi.

Si  alla richiesta danni dello Iacp nei confronti di Nicola Guerci (unico imputato ad aver confessato e risarcito i danni alle parti civili già nelle prime fasi), Marcello Borghi per la concussione al geometra-appaltatore Stefano Cutino che negli anni successivi sarà al centro di un ingente fallimento, con vendita di tutte le proprietà.

Si alle domande di danni avanzate dal Comune di Finale nei confronti di Teardo, Capello, Siccardi, per l’appalto del porticciolo

Si alle domande della Damonte Emanuele Spa, contro Teardo, Capello e Dossetti per altra concussione.

Si ai danni richiesti dal Comune di Savona e dalle Opere Sociali con De Dominicis e Benazzo per l’accusa minore di interessi privati in atti d’ufficio.

La lista delle imprese comprende ancora Giampietro Sertore, rappresentante di “Cave Strade” (gruppo Lombardini), Angelo Freccero, rappresentante della Mantobit snc.

I DANNI DA LIQUIDARSI A PARTE

Il tribunale di Savona  e poi la Corte d’appello disposero che l’ammontare del risarcimento dovesse procedere  ed essere determinato (quantificato) in separata sede, cioè con un altro giudizio civile, oltre al pagamento delle spese di costituzione di parte civile.  A Savona furono fissate per l’Iacp in un milione 600 mila lire a carico di Teardo, Borghi, De Dominicis, Dossetti e Bordero.

Stesso discorso per i danni alla Provincia, liquidarsi in separata sede, spese liquidate in 3 milioni a carico di Teardo, Capello, Abrate (solo dopo il 1980), Dossetti, Sangalli.

In favore del Comune di Finale, chiamati a risarcire 3 milioni (danni a parte), Teardo, Capello, Siccardi.

Teardo, Capello, Siccardi, chiamati a risarcire le spese per  3 milioni e 600 mila lire (danni a parte) a Brosito Bogliolo.

Dossetti Giovanni chiamato a risarcire a Lorenzo Tortarolo un milione 600 mila per spese, danni a parte.

Teardo, Capello, Siccardi chiamati a risarcire spese per un milione 600 mila (danni a parte) al Comune di Borghetto Santo Spirito.

De Domincis e Benazzo chiamati a pagare spese  per un milione e 600 mila (danni a parte) alle Opere Sociali (vicenda villa di via Nizza-Teletrill).

Teardo, Siccardi, De Dominicis, Benazzo, chiamati a risarcire 3 milioni di spese al Comune di Savona.

Teardo, Capello, Abrate, Sangalli, Dossetti, Siccardi, con la formula in solido tra loro, chiamati a risarcire spese per 3 milioni e 600 mila (danni a parte) a Mario e Rocco De Filippi.

Teardo, Capello, Abrate, Sangalli, Dossetti e Siccardi, chiamati a risarcire spese per 3 milioni e 600 mila (danni a parte) a Bruno e Giovanni Damonte.

Teardo, Capello, Abrate (solo dopo 1980), Sangalli, Dossetti, Siccardi, condannati a risarcire 3 milioni a Giampietro Sertore/Lombardini (danni a parte).

Siccardi chiamato a risarcire a Piersanto Ghigliazza spese per un milione e 600 mila (danni a parte).

Altra nota, anche l’impresa dei fratelli Giuseppe e Giovanni Dossetti qualche anno dopo si trovò al centro di un totale dissesto finanziario e finirono sul lastrico.


L'imprenditore Freccero al processo Teardo


L'architetto Nino Gaggero entra in tribunale (foto d'archivio Gallo)

IL RISARCIMENTO EBBE SORTI DIVERSE

Cosa è successivamente accaduto? Premettiamo che nessuno pare sia riuscito ad avere il quadro-contabilità preciso dei soldi che effettivamente gli imprenditori incassarono dagli imputati condannati con sentenza definitiva. C’è chi, ad esempio, tra i costruttori, si è costituito anche nel giudizio in Corte d’appello a Genova e poi ha rinunciato in Cassazione dove solo un piccolo gruppo di “parti civili” ha ritenuto di essere presente. Non sappiamo come furono precisamente ripartite le spese di giustizia a carico degli imputati.

In pratica è accaduto che le spese legali affrontate dai concussi dall’associazione a delinquere sono state di gran lunga superiori ai risarcimenti ottenuti.

 

Non è stato neppure possibile sapere (perché mai reso noto) quanto abbiano effettivamente introitato gli stessi enti pubblici che erano parte civile.

E’ accaduto ciò che con frequenza si verifica nei processi civili e penali, particolarmente complessi. La vera “stangata” arriva dagli studi legali. Assai più salata di qualsiasi pena inflitta dalla giustizia, carcere escluso.

Ad Alberto Teardo, ad esempio, il battagliero avvocato della prima ora, Silvio Romanelli, presentò una parcella a nove zeri (miliardi). Non sappiamo come andò a finire. Il secondo avvocato Vittorio Chiusano si “accontentò” con alcune centinaia di milioni.

Calcoli ufficiosi, raccolti negli stessi ambienti del foro di Savona e Genova, davano allora (fine processo, ci fu infatti un quarto grado in Corte d’appello a Genova e poi la Teardo-bis, assai più breve e concisa) notizia che per le spese legali si andava da una ventina di milioni (siamo negli anni ’80, tra la metà e la fine) per l’imputato meno compromesso, ai miliardi di Teardo, con una media, sempre fatta con l’ipotesi di addetti ai lavori, di 200 milioni ad imputato.

Naturalmente emerse anche qualche eccezione. Negli appunti di archivio abbiamo, ad esempio, i casi assistiti dall’avvocato Umberto Cavallo ed Antonio Di Maggio. Mentre sorsero seri problemi, altro caso, nelle parcelle dell’avvocato Pier Mario Calabria con Leo Capello. Altri mitigarono le loro pretese come Umberto Ramella (assisteva Gianfranco Sangalli).

PIU’ CARA LA PARCELLA O LA TANGENTE?

La conclusione è disarmante. Per un imprenditore al centro di “tangenti” è più conveniente pagare e rifarsi poi con le “maggiorazioni” SUI LAVORI, piuttosto che imbarcarsi in un processo, con i tempi lunghi della giustizia. Si capisce perché l’allarme “corruzione in Italia” è tra i più alti d’Europa (prima in classifica), come denuncia anche la Corte dei Conti, ma il coperchio salta assai di rado. Vedi ultimi anni in provincia di Savona.

E poi i metodi si sono assai raffinati. Ci sono gli intermediari, le fatture fasulle, gonfiate, i contanti depositati su banche estere, nei paradisi fiscali. I prestanome. Meglio se si trovano “professionisti” che svolgono doppi ruoli.

Allora, come documentarono le carte, vennero messi in atto metodi assai spiccioli, persino tracce di assegni, di società d’affari ad hoc. Oltre al denaro alla corrente teardiana (che spendeva per mantenere in piedi l’apparato) c’è stato un “pro domo mea”, che il giudice Ferro ha definito “arricchimento personale”. Chi più, chi meno. Spese per amanti varie incluse.

Una pentola che esplose non perché cosi lo decisero gli imprenditori e tantomeno le categorie a cui appartenevano.

Il costruttore Licio Lombardini
mentre è testa al processo Teardo

CHI TRADI’ IL CLAN NON ERANO LE VITTIME

Un “passaparola” che, in loggia (MASSONICA), doveva restare riservato ai “fratelli” (a chi sapeva ed era in formato dell’andazzo). E’ finito, INVECE,  alle orecchie di qualcuno. E non fu facile mettere in moto l’“antifuoco” perché come dimostrarono le prime mosse, laddove si doveva indagare (Procura della Repubblica e qualche apparato istituzionale annesso)  c’era “spettatore” (per non dire di più). Gli imprenditori e (consulenti vari) sapevano che non potevano fidarsi, ribellarsi, conoscevano “l’aria che tirava”. Esporsi era davvero rischioso.

Basti pensare alla sorte dei primi esposti antitangenti. Con quel bigliettino scritto a mano, consegnato alla polizia giudiziaria per “indagini e rapporto”. A buon intenditor, poche parole. Questo era il clima che si respirava in alcune stanze delle cosiddette istituzioni democratiche in quegli anni.

L’occasione propizia arrivò con la scusa dei finanziamenti al “Savona Calcio”. Il ”gruppo Teardo” aveva anche giornalisti amici (con un massone), ossequiosi, poteva contare sulla loro collaborazione involontaria. Ci sono gli articoli che precedono proprio i primi eventi seri, concreti, dell’inchiesta.

LA TRAPPOLA CON I GIORNALISTI AMICI

Insomma, la “trappola” quando ancora non entrarono in scena i giudici-pilastro Granero e Del Gaudio, iniziò con questi scenari. Chi pagava tangenti si confidava, qualcuno teneva d’occhio il gruppo per “capire”. I segnali avvenivano cavalcando notizie del potenziamento della squadra (Savona-calcio), progetti, programmi societari, ingresso di nuovi soci. In pratica chi “chiedeva soldi” asseriva che da una parte servivano alla squadra e dall’altra erano spese per rafforzare il partito del “capo”. Inconsapevoli giornalisti facevano il loro dovere da cronisti sportivi, mentre tutto attorno si muoveva una giostra di bustarelle.

Finchè arrivò l’ora X, il magistrato X (Camillo Boccia) che chiese come previsto l’archiviazione dell’inchiesta sui finanziamenti al Savona-Calcio con la formula del decreto <di impromovibilità dell’azione penale per mancanza di estremi di reato”, era i 3 novembre 1981. E un altro (Antonio Petrella, dalla procura era stato trasferito a capo dell’Ufficio istruzione del tribunale) che invece ordinò (5 novembre 1981, due giorni dopo)<che la fattispecie va adeguatamente approfondita, giacchè la notizia criminis, fornita dall’esponente (Renzo Bailini), che non risulta essere stato sentito in sede di indagini preliminari, appare concreta e suscettibile di individuazione di ipotesi criminose e dei loro autori>.

Petrella ( a lui gran parte del merito di quell’atto di pulizia generale) disponeva di <procedere oltre con il rito formale>. Sapeva che avrebbe dovuto lasciare quell’ufficio al 31 dicembre 1981, lo sapevano anche altri. Non era un segreto nelle stanze della cittadella giudiziaria, eppure qualcuno intuì che c’era il rischio che l’uovo di rompesse e non mancarono le minacce (telefonate minatorie al suo numero privato, con allusione ai figli).

Il gruppo, ancora forte nelle istituzioni (non fecero però il conto con il ruolo che avrebbe avuto, tra gli altri, Sandro Pertini), nei giornali, iniziò il primo sbarramento contro Il Secolo XIX (processo per diffamazione e violazione del segreto istruttorio e maxi-richiesta danni e di cui abbiamo già scritto).

Arrivò a capo dell’Ufficio del giudice istruttore un coriaceo ed inattaccabile Granero e dar manforte ad un timoroso, seppure preparato ed onesto, Del Gaudio. Ci fu anche la piena collaborazione del Pm, Giuseppe Stipo (prime richieste di ordini di cattura).

Quando già lo stesso Del Gaudio, temeva di “non farcela”, temeva ritorsioni, di non trovare il “bandolo della matassa”, ancora un provvidenziale Renzo Bailini che fornisce alcuni nomi, dopo l’iniziale esposto-bis del 27 ottobre. E’ la dritta “sicura”, giusta. Su un conto dell’Ambrosiano, a Savona (l’ex banca di Calvi) si trovano tracce (libretti al portatore), conti correnti che conducono ai fratelli Giovanni e Giuseppe Dossetti, a Elisabetta Murialdo in Valle.

I due fratelli Nino e Bruno Damonte mentre sono seduti col microfono davanti alla bocca per testimoniare.  Giacca (a quadrettini Nino), più scura Bruno

LE ULTIME DRAMMATICHE FASI

Entrava a quel punto in scena Carlo Trivelloni (in precedenza, quale consigliere comunale indipendente della sinistra, aveva scritto una lettera aperta al Secolo XIX chiedendo pubblicamente a Teardo se erano vere le voci relative alle sue fortune economiche e altro..).  Trivelloni – questo lo rivela anche la sentenza di Savona – disse di aver ricevuto una telefonata anonima che parlava di operazioni finanziarie di Teardo compiute da Lorenzo Ivaldo, Mauro Allosia, Ippazio Scarcia, l’architetto Nino Gaggero e dal figlio Paolo, dal genero di lui, dal prof. Alessandro Destefanis, oltre a notizie relativi a collaboratori del presidente della Regione.

I nomi che compaiono nella sentenza hanno visto poi imputato esclusivamente Nino Gaggero.

I tasselli successivi furono Nicolino Bongiorni e Antonio Vadora di Finale. Il primo affermò di aver prestato 60 milioni, in assegni circolari da 10 milioni ciascuno, a Teardo a titolo di amicizia per la campagna elettorale, Vadora ammise un versamento di 39 milioni a Mirella Schmidt, moglie di Teardo. Precisando che si trattò di un cambio assegni bancario in assegni circolari. Sempre alla vigilia del grande blitz del 14 giugno 1983, tocca  agli agenti immobiliari Michele Panero e Carlo Pregliasco che ammettono di aver pagato una “provvigione” di 182 milioni per vendite  fatte da Isabella Invrea a Varazze. Somma suddivisa tra Marcello Borghi,Teardo e Siccardi. Ormai il diluvio era iniziato. La efficiente macchina investigativa ed organizzativa (per la prima volta in Italia un processo venne coadiuvato da un sistema tecnologico computerizzato) messa in piedi da Granero (con Del Gaudio infaticabile esecutore) cominciava a dare i suoi frutti. Dovettero usare mille precauzioni (due i collaboratori infedeli scoperti), si trasferirono persino nel comando carabinieri di corso Ricci. Blindarono gli uffici istruzione nel vecchio tribunale con vetri antiproiettile.

Peccato che lo Stato, soprattutto nei loro confronti, alla fine sia stato molto ingrato. Anche se non furono i soli a pagare per aver fatto il loro dovere. Il potere occulto tornò a farsi sentire, o meglio a rimettere le “cose a posto”. Toccò analoga sorte a qualche altro dipendente dello Stato. Per alcuni un’esperienza di dedizione al dovere, da non ripetere. Per altri il ricordo di aver partecipato ad un “vento storico”. Dovesse ripresentarsi, meglio lasciar fare agli altri. Fare il meno possibile, l’indispensabile. Accadde anche in qualche giornale, ma di questo parleremo in altre puntate.

Luciano Corrado    

 

Ecco come il periodico Edilizia Ligure, della sezione dell'Unione industriali di Savona, raffigurava il ruolo dell'allora presidente Iacp, Piero Bovero, neo assessore al Comune di Vado Ligure