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Noi tutti, prigionieri politici

 Usciamo dalla Lubijanka

di Domenico maglio

 

Domenico Maglio

Per chi come il sottoscritto crede nella funzione più alta della democrazia che si esprime nella rappresentanza parlamentare dei partiti scrivere ciò che si leggerà di seguito non è stato compito semplice.

Ma sono però convinto che nella vita di ogni persona giunga sempre il momento dell’orgoglio, un momento in cui le convinzioni iniziano a scricchiolare e rischiano di perdere la loro forza.

In quei momenti ci si accorge di quanto siano pesanti le catene invisibili che ci impediscono di sganciarci dal nostro isolamento, ci accorgiamo di quanto sia densa e impenetrabile la nebbia che nasconde la verità, e quando qualche raggio di sole spacca questo muro grigio tutta la bassezza della realtà che per un attimo si intravede innesca un moto repulsivo, incontrollabile, rischiarando la falsità di quel mondo politico al quale si erano delegate con fiducia le nostre sorti, un momento in cui l’indifferentismo può pericolosamente prendere il sopravvento.

Io sono spesso accusato di perseguire un rapporto più intellettuale che pratico nell’affrontare la politica, e forse è anche un’accusa che trova qualche fondamento di verità e proverò a dare una risposta, ma non so se sia più utile alla società combattere un duello rusticano alla caccia di un assessorato o di un posto in qualche lista elettorale oppure provare come si può a far nascere una cultura politica nuova e adatta ai tempi che viviamo, una cultura veramente democratica che non si arresti alla prima necessaria mediazione, alla prima opportunità personale che si presenta o che viene offerta in cambio della nostra acquiescenza.

Io non credo che la politica, quella vera e dignitosa possa andare d’accordo con tutto questo meccanismo di connivenze palesi o soffuse spesso portatrici di benefici vari, e sono convinto si possa venire fuori da questo turbine amorale sfondando le grate che ci imprigionano in questa nuova Lubjianka ideale.

Ci vuole però un coraggio che non percepisco ancora, che non vedo.

Ci vogliono uomini e donne che non si pieghino più al conformismo interessato a dispensare possibili rendite di posizione, ci vuole la percezione forte dell’altruismo, della cooperazione sociale, del principio di sussidiarietà, serve il ritrovare un forte senso civico, serve la convinzione che tutto può gradualmente essere modificato e migliorato anche senza necessariamente avere dei tornaconto.

Questa convinzione, questo coraggio di esprimere liberamente il proprio pensiero pur essendo costituzionalmente possibile non è praticato, non c’è, ci sono le lamentele confidenziali che invece si dissolvono poi pubblicamente con la genuflessione pubblica di fronte alla presenza di chi è stato oggetto della lamentela stessa, nasce un sentimento di soggezione codardo e vile, nasce il timore di far torto a questo o a quell’altro, dalla paura di essere classificati, etichettati, emarginati dalla possibile dispensazione che potrebbe arrivare, di essere tagliati fuori dalle opportunità che potrebbero essere distribuite per amicizia o per familismo.

Per questo, volenti o nolenti, che lo vogliamo ammettere oppure no, siamo un po tutti dei prigionieri politici, chiusi in una galera che noi stessi abbiamo costruito.

Schiavi di un sistema che non ci piace e verso il quale nonostante la repulsione verbale restiamo impotenti senza fare nulla per cambiarlo realmente, anzi ci nascondiamo dietro l’alibi del nuovismo e restiamo i gendarmi del vecchio apparato decisionista che con consolidata esperienza ci paventa possibilità economiche e di potere, utili in verità solo al suo mantenimento e alla sua sopravvivenza.

Nessuno dovrebbe illudersi sulle paiette mediatiche che ci vengono propinate quotidianamente, un teatrino che sta scendendo al livello delle telenovelas, dove tutto è artificiale, manipolato, lontano dal vero, dove la realtà e i sentimenti vengono piegati alle esigenze della visibilità, dove tutto viene visto, rivisto, corretto, modificato prima di essere dato in pasto al pubblico, le interviste, le dichiarazioni vengono registrate, ritoccate, gli attori truccati, aggiustati per dare un’immagine da calendario che sia efficace e in grado di carpire il consenso degli impreparati e dei disattenti, le parole dette d’impeto vengono cambiate e mutano in miele avvelenato per chi le ascolta e che ignaro se ne nutre.

Certo, la comunicazione è cambiata, e direi per fortuna, ma non per questo è necessario snaturare la genuinità della parola.

Dirò ora qualcosa sulle forze politiche in modo più riassuntivo possibile anche se sarebbe opportuno e necessario dilatare tali temi rispettando la sintesi che questo blog impone, e proverò a farlo  con chiarezza esentandomi da una discussione sul centro destra oramai palesemente orfano del centro.

Partito Democratico

Sul PD del quale seguo le sorti con attenzione, e da qualche giorno in verità anche con crescente preoccupazione in condivisione peraltro con molti suoi aderenti, devo dire che indubbiamente la caduta del governo ne ha stravolto un po il percorso che si era imposto, sia dal punto di vista della discussione culturale che era in corso al suo interno e nelle sue immediate vicinanze sia dal punto di vista della prospettiva verso un pesante consenso nella società, non a caso oltre all’avvio proposto di un cambio generazionale - mai avvenuto da almeno 20 anni a questa parte - l’attenzione verso i giovani oggi minorenni era portata anche e soprattutto dal formare quella base di consenso in prospettiva elettorale i cui frutti avrebbero dovuto evidenziarsi  tra qualche anno, ricordiamoci la proposta del voto a 16 anni,  ma quei giovani oggi non voteranno ancora e questo è un guaio immediato.

Per unire due partiti, DS e Margherita, ci sono voluti dieci e più anni di piccoli passi e discussioni anche aspre a volte, sono nati affrancamenti e divisioni, ma non si può onestamente pretendere che altri facciano lo stesso percorso nel giro di un giorno per il precipitare degli eventi, questo lo possono fare coloro che vedono nel PD un’opportunità di potere e di rendita economica ma non partiti che vengono da una storia secolare che sta governando nei maggiori paesi in Europa.

Imporre questo con ostinazione da una parte ottenendo un prevedibile rifiuto orgoglioso dall’altra è una miscela esplosiva che porta solo alla caccia dell’elettorato posizionato sulla stessa sponda, e invece si dovrebbe guardare sull’altra riva.

E’ ovvio che se la legislatura avesse avuto il suo naturale decorso ci sarebbe stato il tempo per confronti propedeutici all’idea fondante del PD, ci sarebbe stato un percorso ponderato sui contenuti etici e morali, sui valori, lontano dall’emotività iniziale che offusca il ragionamento, una discussione che avrebbe anche portato a nuove convergenze verso una nuova fase tutte quelle componenti riformiste che si muovono nella società.

Così non è stato, e non ci resta che prenderne atto.

Dobbiamo farcene tutti una ragione salvando il salvabile e provare con calma in seguito a ricominciare, senza infantilmente essere portati a far saltare ponti perdendo contatti, amicizie e vicinanza di idee.

Ma l’opportunismo politico, l’interesse personale di alcuni è ancora una volta apparso sui banchi del Senato, è stato messo davanti all’interesse generale, si è preferito fa crollare tutto che rischiare di perdere gli interessi economici portati dalla rappresentanza che una nuova legge elettorale oramai giunta a bussare alle porte del Parlamento avrebbe inevitabilmente portato con se, a tutto vantaggio delle casse pubbliche e della credibilità dello Stato.

Questo precipitarsi degli eventi ha sparigliato il progetto PD, trovandolo costretto ad una accelerazione improvvisa e non voluta dal suo attuale segretario, con il quale mi accomuna una lunga storia politica al pari del Ministro degli Esteri e di molti altri, una situazione che lo ha preso in contropiede sconvolgendo la scaletta preparata dei piccoli e ponderati passi.

Da qui la necessità per Veltroni di iniziare un percorso obbligato che lo ha portato anche a smentire se stesso, niente allargamento del campo riformista dopo una discussione costruttiva, niente candidati scelti dalla base con primarie territoriali ma solo consultazioni di facciata, niente corsa solitaria, solo apparentamenti frettolosi sul cui valore morale e sulla cui reale utilità alla causa stanno esplodendo molte perplessità proprio all’interno delle varie anime del PD, decisioni prese da un “caminetto” di nuovi amici e vecchi compagni, non eletto da nessuno degli aderenti in nessuna assemblea al punto da suscitare proteste e risentimento da parte di chi ne è stato escluso senza sapere il perchè, senza contare il mercato dei posti da acquistare per essere presenti nelle liste e via di questo passo.

Francamente penso che a questo punto la famosa vocazione maggioritaria il PD avrebbe dovuto percorrerla comunque e nonostante tutto.

Lo avrebbe dovuto fare soprattutto in questo momento dove si prospetta una situazione di opposizione e non di governo per le forze progressiste e riformiste, a meno di un miracolo che le amicizie altolocate della senatrice Binetti potrebbe invocare.

La speranza è certamente di risalire la china pericolosamente oggi troppo ripida per la nuova sinistra che il PD vuole rappresentare, ma perso per perso personalmente avrei battuto la strada fino in fondo dando coerenza al mio progetto.

La gente avrebbe capito e invece oggi annaspa nel dubbio e nella confusione con questi ribaltamenti in corso con autosmentite e capovolgimenti di quanto deciso solo poco tempo fa e probabilmente a parte l’elettorato storico non ci saranno grandi spostamenti, non ci sono i tempi per costruirli.

Veltroni ha fiducia e vuole diffonderla, è da ammirare in questo ma un po mi ricorda mio padre quando diceva che se sono convinto di perdere una tornata elettorale è la volta che la perdo davvero.

Avranno certo ragione loro due, ma io resto dell’idea precedente.

Avrei percorso fino in fondo la strada solitaria decisa.

Contano i fatti non le parole, che come dice D’Alema  sono spesso   “…nuvole di sogni…”

E a proposito di fatti è proprio un fatto è quello che segue.

Qualcuno sa spiegare l’apparentamento con l’IdV di Antonio Di Pietro? 

Quest’uomo se vogliamo anche simpatico in alcuni atteggiamenti, oggi è d’accordo su tutto quello in cui era in disaccordo ieri, il tutto in modo stupefacente, firma e accetta ogni cosa che gli si mette davanti, qualcuno potrebbe chiedersi per esempio perché non lo ha fatto tempo fa ma solo oggi, visto che alla fondazione del PD le questioni erano le stesse, le prospettive le stesse e anche le persone erano le stesse, infatti se lo stanno chiedendo in molti a partire da Castagnetti.

Anche se dal di fuori e come spettatore un po’ stupito, onestamente non posso che essere d’accordo con la maggioranza del PD nel sottolineare l’inopportunità di tale scelta, e questo dimostra che il partito che nasce dal basso serve solo a raggranellare quattrini ai gazebo (parole certamente non mie ma riprese dai siti del PD), il partito dal basso è andato a farsi benedire perché chi conosce la politica capisce che il centralismo democratico fa parte di quella cultura passata che si vuole abbandonare, si mormora da più parti che se la base, contraria nella sua maggioranza a tale accordo e favorevole invece a un accordo con il PS, fosse stata consultata il no sarebbe stato netto e quanto mai deciso.

Io pur non avendo motivo alcuno di diffidare delle parole di chi oggi nel PD ha condiviso con me gran parte della storia politica della sinistra ovviamente non posso sapere se è vero, ma la decisione che è caduta improvvisamente sulla testa degli inconsultati aderenti che non sono rancorosi socialisti è invece reale.

Questo è il centralismo democratico degli apparati novecenteschi, quindi la domanda spontanea è la seguente :

ma questo ‘900 su cui tanto si è discusso e che si vuole superare, è il passato o no?

Lo superiamo ad intermittenza a seconda delle convenienze?

Se le strutture burocratiche delle forze politiche del secolo scorso sono considerate inadeguate all’oggi, perché invece si mantiene il loro fondamento decisionale invece di superarlo?

E ancora se la nuova sinistra riformista incarnata nel PD vuole diventare un partito per risolvere le difficoltà della popolazione perché questa popolazione, le vecchie masse, devono come allora accettare decisioni di vertice?

Ma la perplessità non è tanto questa, la cosa bizzarra è che queste domande non le pongo io ma vengono proprio dall’interno del PD, da amici che ricoprono ruoli importanti, di responsabilità, che hanno scelto questa nuova strada che rispetto e con i quali mantengo un costruttivo rapporto dialettico e di confronto che sono certo continuerà in futuro, dato che si vuole costruire qualcosa di nuovo lavorando in autonomia sulla stessa riva del fiume del riformismo europeo.

L’IdV è un movimento verso il quale ho lo stesso rispetto di ogni altra espressione della società, ma è un movimento personale, gestito in modo famigliare il che è anche costato grane giudiziarie tra leader e dirigenza proprio per il familiarismo gestionale conclamato, un qualcosa che fluttua incomprensibilmente a seconda delle opportunità da 15 anni a questa parte, da Berlusconi a Grillo a Prodi ora al PD, pur avendo nell’acronimo il richiamo ai valori forti, non bisogna dimenticare che il suo capo, o padrone, o leader, così definito dai suoi iscritti, urlava al megafono sulle piazze chiedendo conto al governo Prodi di cui faceva parte, bisticciava con il Ministro della Giustizia e con quello dei Trasporti suoi colleghi istituzionali, mugugnava con tutti cavalcando una nuova ventata di antipolitica tutt’ora in stand by, proprio come la Sinistra radicale oppure c’è qualcuno che se ne è dimenticato?

Credo che il PD abbia commesso un errore di valutazione politica se questa decisione di vertice è tesa a intercettare i voti dei grillini, se questo è l’intento direi che si va fuori strada, anzi il consenso dell’IdV si assotiglierà ancora più di ciò che è ora, l’antipolitica della piazza che si vuole intercettare lo abbandonerà bollandolo come traditore e venduto a quella casta della quale il PD è additato come principale componente oligarchico.

E poi come si concilierà un tale giustizialismo, ora attenuato per l’opportunità del momento e che riemergerà, con il garantismo Veltroniano, con la pacatezza di Enrico Letta? E gli attriti sull’indulto? Come sarà vissuto il rapporto con Massimo D’Alema, Piero Fassino Latorre additati dal capo dell’IdV per il caso Unipol? E come si sbroglierà la matassa De Magistris che ha visto citato Romano Prodi?

Sarà un bel problema e francamente mi riesce difficile immaginare un riconoscimento reciproco tra l’anima forte e garantista del PD e il giustizialismo dell’IdV, tra chi vuole la discrezionalità delle intercettazioni e chi le vuole tutte pubblicate e via dicendo, questo movimento non bisogna dimenticare che è nato con felice intuizione del suo leader a seguito da un’inchiesta giudiziaria che ha sconvolto il nostro paese 16 anni fa, ed è lontano anni luce dal riformismo che insegue il PD e che trova casa da sempre in altre forze politiche italiane, sia Socialiste che Cattoliche, un riformismo che con accortezza e ponderazione forse si riuscirà ad unificare sotto la spinta iniziale del PD, quel PD che pochi mesi fa ha messo gentilmente alla porta proprio Antonio Di Pietro per incompatibilità ideale.

E nessuno dovrebbe pensare che chi attualmente è fuori dal PD non si dovrebbe preoccupare, perché se il 13 aprile le cose dovessero andare verso il senso che ci si auspica, all’interno del gruppo di governo “Piddino” galleggeranno una o più pericolose mine vaganti, con tutte le preoccupazioni del caso già sperimentate negativamente ottenendo il risultato di una nuova instabilità istituzionale, o al meglio una maggioranza sempre in mediazione per la sopravvivenza a Palazzo Madama.

E di questo ne subiremmo tutti le conseguenze, dentro o fuori del PD.

Si vedrà comunque cosa succederà, basta avere pazienza qualche decina di giorni, ma se proprio dovessi esprimere una previsione sul futuro di questo strano fidanzamento direi che la sbandierata unità del gruppo parlamentare potrebbe squagliarsi il 15 aprile in caso di sconfitta sotto l’onda di reciproche accuse, ognuno per se a raccogliere le sue entrate economiche istituzionali, i suoi fondi per l’editoria, niente ingresso nel PD anche perché l’adesione è individuale per Statuto e un partito non può entrare in blocco, con tanti saluti ai proclami di oggi.

Radicali

Stesso discorso vale per i Radicali, o sedicenti tali, persone che vogliono rappresentare una cultura antica e nobile ma che si vendono tranquillamente senza scrupolo alcuno sul mercato del denaro pubblico, persone che hanno già trascinato il PD in tribunale ma pare che tutti abbiano memoria troppo corta, i Radicali oggi si dice siano soltanto persone che fanno compra vendita di valori storici e di battaglie giuste, non so se sia vero fino in fondo ma gli ultimi fatti con l’accordo con il PD contrattando quattrini e posti da ragione ai rumors popolari.

Molte prese di posizione dei Radicali hanno negli ultimi anni portato a conquiste sociali vere e sentite a partire dal divorzio, una lotta che però non sarebbe mai stata vinta senza il contributo determinante del PCI e del PSI, o come la più recente moratoria sulla pena di morte raggiunta nelle sedi internazionali, ma anche qui nonostante la sensibilizzazione radicale tutto sarebbe andato perduto senza l’impegno decisivo e forte del Ministro degli esteri D’Alema, del Presidente della Repubblica Napolitano  e del gruppo del PSE compatto.

Senza questi tre soggetti sarebbe stato un nulla di fatto, non sarebbe stato certo il digiuno a base di cappuccini e brioches di qualche sconosciuto italiano che avrebbe fatto cambiare idea agli Stati Uniti.

Ricondurrei quindi alla realtà dei fatti l’incisività radicale italiana e non gli darei più peso di quello che ha e ricordo a tutti che il loro storico leader ha fatto di tutto e di più per farsi nominare senatore a vita per la ricerca di una rendita consolidata, richiesta opportunamente respinta da ben due Presidenti della Repubblica, lo stesso leader che come detto nelle righe precedenti ha portato davanti ad un tribunale il PD e i suoi dirigenti rei a suo dire di averlo escluso da chissà quale spazio e opportunità.

Questo non è il movimento radicale, ma sono le persone che lo rappresentano oggi, rappresentanti spesso emarginati dal radicalismo fondamentalista stesso che non accetta lo scambio della loro storia con quattro denari e qualche spot in televisione.

Comunque in fin dei conti potrebbe anche essere un bene, tutto è uscito alla luce del sole, servirà per monito per il futuro e farà capire ai radicali veri, se ancora ci fosse qualche dubbioso, a chi hanno delegato il loro destino, a ubriacatori di parole che nei fatti sono uguali a quella partitocrazia che tanto volevano distruggere.

Anche questo togliere il velo alle vere pretese di molti è un merito che bisogna attribuire al Partito Democratico, e di questo ne sono contento., così finalmente si capisce chi sta con chi e cosa realmente vuole.

Per il dopo elezioni vale per i radicali lo stesso metro di giudizio dell’IdV.

Ma inviterei, se potessi, il PD a valutare bene i compagni di viaggio perché la fretta piovuta sulla testa dell’Italia con la caduta del governo a volte offusca la ragione, può portare inconsciamente a commettere errori di valutazione dai quali poi uscirne richiede uno sforzo imprevisto, e l’esperienza del PDS a Veltroni dovrebbe ricordare qualcosa, a lui e anche a chi come me c’era, per questo molti del PD sui territori che hanno vissuto quella storia sono ora dubbiosi se non addirittura ostili ai radicali.

I nuovi amici potrebbero destabilizzare un percorso appena iniziato, e pur essendo un difensore dello Stato laico e rimanendo spianato sulle posizioni del prof Veronesi e del prof, Odifreddi, posizioni europee anche del PSE, preferisco un confronto con la senatrice Binetti che con la Bonino, e non per il mio passato giovanile di chierichetto comune peraltro a molti, ma perché la prima fa della coerenza la sua virtù, una qualità che apprezzo ritenendola fondamentale in politica e nel vivere civile, anche se non ne condivido a fondo le posizioni .

Partito Socialista

E ora veniamo al Partito Socialista togliendo il velo che ricopre questo percorso.

Il PS è un partito che ancora non c’è, non c’è nei fatti, non è ancora ufficialmente nato, nonostante tutti si sbattano di qua e di là, esiste solo per diritto storico e presto potrebbe quel simbolo non trovare rappresentanza parlamentare non solo al Senato ma neppure alla Camera dei Deputati.

Ma per il PS può valere lo stesso discorso del PD, dove il precipitarsi degli eventi istituzionali ha troncato sul nascere una strada che piano piano si sarebbe potuta costruire con dialogo, discussione e confronto progressivo, presentando un fronte riformista forte, che avrebbe quello si innescato il parallelo con il partito di Veltroni, raccogliendo insieme la maggioranza nel paese senza alcun dubbio, senza ricercare passeggeri dell’ultima ora e senza mercanteggiamento vario.

D’altronde il “programmaticismo” del momento così definito da Giovanni Sartori ha tra PD e PS moltissime affinità se non è addirittura quasi uguale, e se togliamo la laicità dello Stato e il collocamento europeo che comunque hanno il loro peso determinante, sui problemi Italiani di giustizia sociale e equità, lavoro, liberalismo, soluzioni energetiche o ambientali, non ci sono sostanziali differenze, non ci sono visioni completamente opposte.

Per questo sono partiti della sinistra riformista, uno il PS lo è storicamente e l’altro il PD oramai è su quella strada da tempo per l’esperienza portata dai suoi aderenti.

La scelta solitaria, obbligata o meno, del PS può essere condivisa o meno, apprezzata o avversata, ma anche qui l’affinità con il percorso del PD è lampante, anche qui nessuna discussione con la base e solo decisioni ai vertici di un partito che non li ha delegati perché, come detto, un qualcosa che non c’è non può delegare nessuno, non ci sono state assemblee territoriali, consultazioni della base, e non potrebbe essere diverso perché quando un partito nasce lo fa dando voce e forza a un’idea e strutturandosi sul territorio con le sue sedi, sono poi gli iscritti o i simpatizzanti che progressivamente eleggono i loro rappresentanti ai vari livelli, decidono la linea politica, le candidature, i programmi e il leader.

Tutto questo oggi non è stato possibile per i motivi già esposti quindi prendiamo ciò che viene anche se con scarsissima convinzione.

Però per il PS esiste un’attenuante proprio perché è più indietro del PD nell’organizzazione, la sua presenza è pressoché più virtuale che strutturale, è soggetto ad una sorta di oscuramento mediatico e non ha avuto la possibilità di innescare un percorso decisionale partendo dalla sua base ancora polverizzata e non compattata come si dovrebbe, e quindi con assemblee territoriali che in crescendo avrebbero meglio definito le varie posizioni confrontando le idee di tutti, approdando ad una fase congressuale nazionale dalla quale sarebbe scaturita la linea politica.

Nulla di trascendentale o di rivoluzionario, ma il classico percorso partecipativo di ogni forza politica democratica.

Ma , come nel PD, anche nel PS esiste una sorta di “caminetto” e anche qui non è ben chiaro a che titolo i partecipanti presenzino, tolto lo SDI e i suoi rappresentanti ai quali va riconosciuto il merito di non essersi arresi dopo le vicende passate, pare che tutti gli altri rappresentino solo se stessi, senza alcun retroterra di peso, transfughi dal Nuovo PSI, I socialisti del figlio di Bettino Craxi, i fuoriusciti dai DS e un nugolo di Associazioni dalla storia nobile e meritoria che in ogni caso dovranno avere un peso in futuro, perché principalmente a loro va il merito di avere continuato a far vivere il socialismo, ma spesso radicate solo in ristretti contesti locali e senza respiro nazionale.

Messa in questi termini la questione socialista italiana, che peraltro rispecchia la situazione dei fatti a tutt’oggi, è abbastanza confusa, ognuno in pratica può avere diritto e titolo di parlare a nome del socialismo.

Si capisce quindi che il terremoto politico che ha investito l’Italia creerà, come sta già avvenendo, confusione, malcontento, nuove incomprensioni, attriti, tutte fasi che riverseranno inevitabilmente ripercussioni sugli Enti locali nonostante tutti si affannino a negare che ciò invece avverrà.

In ogni caso la strada che credo potrà far cambiare passo al nostro martoriato e stanco paese passi solo e soltanto dalla costruzione di un grande blocco riformista, con PD e PS a fare da traino pur con il loro diverso peso, soprattutto se quest’ultimo partito, il PS, riuscirà a slacciarsi dal suo passato più recente, il che non significa dimenticarne le vicissitudini.

L’operazione non sarà indolore e anche qui invoco e auspico il coraggio e il senso di responsabilità di voltare pagina, sostituendo gradualmente ma con decisione l’attuale classe dirigente dando quel segnale che il paese si aspetta dal Socialismo riformista.

So bene di dire qualcosa di impopolare  e che probabilmente farà di me il parafulmine di molti, ma questa è l’operazione da fare oggi per il PS, una operazione che metterà sotto gli occhi di tutti quanto il PS saprà essere nuovo e quanto sarà pronto alla sfida della nuova società.

E chi si risente di questa affermazione, si arrabbia e si stupisce guardando ancora troppo indietro vorrei ricordare che proprio questa fu l’operazione di Bettino Craxi, quello che Fassino e non solo lui definì “il miglior Craxi”, un socialista che oggi si vuole inserire in molti pantheon e che ebbe il coraggio di spazzare via la polvere dalle scrivanie del PSI portandolo a raggiungere quel consenso elettorale che si ricorda.

Veltroni ci sta provando, non so con quanta convinzione e quanto ne sia convinto della riuscita visti i tempi e le resistenze interne.

A maggior ragione deve farlo anche il PS se non vuole cercare perennemente casa di qua e di là, giustificando anche chi - incredibilmente - afferma che il socialismo sta a destra.

Sinistra Arcobaleno

Sulla Sinistra Arcobaleno non c’è granchè da dire, ha deciso la sua strada che è quella dell’opposizione non per sua scelta ultima, ma per comportamenti troppo esasperati nel rivendicare anche giuste posizioni, la sua radicalità programmatica probabilmente non è più sentita come dottrina unica dello sviluppo sociale dalla gran parte della popolazione e sarebbe auspicabile un nuovo corso che tenga conto dei mutamenti che la globalizzazione porta con se, provando a governarla e non ostinatamente combatterla soltanto, una battaglia persa ancora prima di iniziarla, il consenso complessivo delle forze che oggi si sono riunite preso singolarmente è oramai da anni in caduta libera e dovrebbe portare a qualche ragionamento profondo sulla reale forza di penetrazione sociale, oltre al fatto di domandarsi come mai in nessun paese d’Europa un tale raggruppamento politico è al governo di nessuno Stato.

Bisognerebbe provare a ragionare sul fatto che le persone oggi hanno bisogno di risolvere i loro problemi e in molti casi parliamo di vera e propria sopravvivenza, genitori che hanno bisogno di vedere i loro figli felici, vogliono respirare aria di giustizia sociale e una forza politica destinata a non governare non può dargli quelle garanzie di cambiamento che chiede, questa gente busserà ad altre porte dove otterrà qualcosa, magari poco, certo, ma come diceva quel grande sindacalista comunista che è stato Di Vittorio “..anche una conquista minima dei lavoratori è una grande vittoria che porta verso la giustizia sociale…”.

Bisognerebbe leggere ogni tanto ciò che ha lasciato Di Vittorio, comunista, leggere le conquiste del lavoro che hanno visto in prima linea Brodolini, socialista, capire quella unità sindacale che ha visto insieme comunisti, socialisti e sindacalismo cattolico.

Nelle fabbriche, bacino elettorale storico della sinistra, i numeri dicono incontestabilmente che tale consenso si è affievolito sempre più e a parte qualche nicchia a macchia di leopardo si dovrebbe prendere atto che forse un cambio programmatico sarebbe opportuno.

 

E questo è tutto, almeno per il momento.

Resta da dire che la storia politica dell’Italia non è fatta purtroppo solo di quella coerenza alla quale guardo spesso, non è fatta purtroppo solo di moralità, di senso dello Stato, di grandi donne e grandi uomini, ma il nostro è un paese anche zeppo di contraddizioni, di errori, di valutazioni sbagliate di una classe dirigente a volte poco lungimirante, un paese attraversato anche da fatti tragici ed equivoci, anni bui e oscuri lontani e vicini, e credo onestamente che siamo un po tutti stanchi di proclami teorici, siamo un po tutti spossati dall’ascoltare annunci oggi che vengono smentiti domani.

Ricordo solo per fare alcuni esempi – verificabili negli archivi - al congresso dei DS di Torino qualche anno fa che D’Alema riconobbe, tra qualche rumoroso mugugno della platea rivolgendosi ai socialisti “..dobbiamo ammettere che la storia a dato  ragione a loro…”

O ancora ricordo che Arturo Parisi ordinò ai DS il famoso “..Scioglietevi..!!…”

E Veltroni gli rispose con lo stesso tono e la stessa asprezza (altro che buonismo)“…non annienteremo mai la nostra storia..!!!…”

E ancora Fassino “..la scelta del PSE e dell’Internazionale Socialista è per noi scelta irreversibile..!!..” anche se in realtà Piero Fassino pensa ancora oggi quelle cose visto che suo nonno fu tra i fondatori del Partito Socialista e suo padre ne fu un dirigente oltre che partigiano nelle file socialiste.

Questo per dire come la coerenza non praticata porti al distacco tra la rappresentanza politica e la società, che non si può fidare appieno di chi dice una cosa oggi e un’altra domani.

Da tutta questa situazione confusa nasce la diffidenza, non certo da poche frasi date in pasto a qualche platea, e dovremmo guardare con la dovuta attenzione a quanto sta avvenendo nel panorama politico, senza cancellare il passato, senza abiure pubbliche, trasportando quanto di buono, ed è molto, il ‘900 ci ha lasciato, dalla Costituzione allo Statuto dei lavoratori, trasportando nel nostro pensiero moderno la fusione del nuovo umanesimo da costruire con lealtà per la continuazione della nostra storia democratica, costata fatica, sacrificio e dolore.

Credo quindi che sia questo il coraggio che ci serve, ma come detto all’inizio pare proliferi nella teoria ma scarseggi nei fatti, e la sensazione della solitudine in questo mio pensiero è forte, la solitudine nell’impegno per un cambiamento reale, una solitudine che auspico momentanea ma comunque non timorosa, con la consapevolezza che sia questa l’unica via che potrà portare a quella giustizia sociale attesa oramai da troppo tempo.

E in questo impegno che sono certo non resterà solitario, spero che chiunque, nel PS o nel PD e di chi si riconosce in una sinistra moderna, riformista e innovatrice possa far sentire la sua voce nel campo d’azione che gli è più vicino, uscendo dal conformismo che avvolge tutto e tutti maturando la convinzione che voltare pagina è possibile.

E’ questa la risposta una volta per tutte alla domanda che tanti mi pongono, io resto dalla parte della teoria politica intellettuale, come posso, con i miei tanti limiti, con le mie idee, con le mie prospettive e non ho alcuna intenzione di barattare questa mia convinzione con posti di rendita politica e prebende portate dal potere.

Mi spiace, resto nella trincea e la decisione di uscirne non arriverà certo da qualche porta ordini inviato da qualche generale, ma sarà solo l’impeto portato da una ritrovata espansione di quel coraggio più volte richiamato, quella rivoluzione democratica, per dirla alla Veltroni, che permetterà al blocco riformista, socialista e democratico, di sfondare il catenaccio della nostra Lubjianka.

 DOMENICO MAGLIO