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C’entrano sempre i buoi

di Nonna Abelarda

 


L' assessore Filippi
(suo il Piano rifiuti
della provincia di Savona)

Al solito preciso, innanzitutto, che io sono una semplice cittadina che osserva la politica dall’esterno, e si ritiene in diritto di commentare e giudicare in relazione alle conseguenze pratiche di cui tutti beneficiamo o, ben più spesso, che subiamo. Perché, come si sa, inutile dire “ non mi interesso di politica”: è la politica che si interessa di te, che tu lo voglia o no.

Ci sarebbero tomi interi di commenti e considerazioni da scrivere in questi giorni: per lo più sarebbero formati da epiteti irriferibili e osservazioni palesi e documentate ed evidenti sotto gli occhi di tutti,  ma che, ahimè, vengono bollate come qualunquismo. Molti altri, e con più argomenti e autorità di me, ne stanno parlando. Non voglio ripetere per l’ennesima volta le solite lamentazioni o strappamenti di vesti.

Allora, scremiamo, andiamo sotto la superficie, lasciamo perdere il calderone nazionale dove bollono sempre gli stessi ingredienti ormai stracotti e andati a male, anche quando si tenta di far credere che la ricetta è cambiata.

Mi soffermerò piuttosto su due aspetti tipici del far politica in generale. Due aspetti in qualche modo opposti ma dannosi entrambi nei risultati, e che, curiosamente, possono essere fatti risalire a metafore e modi di dire assai simili.

1) Chiudere la stalla…

… quando i buoi sono scappati, ovvero “dell’emergenza continua”. Governare per emergenze, per allarmi, per situazioni estreme, allo scopo di far pressione e di imporre come uniche possibili le soluzioni più spiacevoli, ma magari redditizie per qualcuno, o comunque con oscuri interessi alle spalle, o utili a denigrare la parte politica opposta e  acquistare voti, cavalcando la tigre e rimestando nel torbido. Se una situazione è potenzialmente critica o comunque scricchiolante, o soggetta a peggiorare in futuro, anziché intervenire tempestivamente per pianificare soluzioni adeguate, definitive, lungimiranti,  la si lascia andare per la sua strada, o peggio, si dà una incoraggiante spintarella nella direzione del disastro, in attesa di cavalcare l’onda emotiva e irrazionale per i propri fini. E’ la tattica dell’improvvisazione non improvvisata: del resto, scopo dei politici è guadagnare voti. Le soluzioni migliori a lungo termine sono quasi sempre più difficili da attuare,  spesso impopolari, e i vantaggi si vedono solo dopo un bel po’ . Certo più di una legislatura. Per cui, se qualcuno temerariamente le applicasse, perderebbe, e i suoi avversari prontamente  disferebbero quanto già fatto. Non c’è storia. Funziona così.

Allora, l’emergenza. Esempio tipico, purtroppo, i rifiuti. Pianificare la riduzione alla fonte, la raccolta differenziata spinta, il compostaggio, il trattamento a freddo del rimanente o altre tecniche prive di combustione, avviarsi verso quella lungimirante politica dei “rifiuti zero”, e non è slogan, che il Nobel Paul Donnet sta applicando in tempi relativamente stretti (quattro o cinque anni) in quel di Los Angeles? Dico: Los Angeles, parliamo di milioni di abitanti, mica Ciantagalletto. In California, governatore Schwarzenegger, un duro repubblicano, mica un filosofo no global. Giusto per precisare, per chi butta tutto in slogan politici vuoti di significato.

No: qui siamo per gli inceneritori, pomposamente chiamati “termovalorizzatori”, ma che non valorizzano un bel niente. Mi riservo di parlarne con calma un’altra volta. Non ne abbiamo costruiti molti quando gli altri paesi li facevano, pretendiamo di iniziare adesso, quando altrove stanno già guardando oltre. Comunque, la tattica è quella di essere tutti d’accordo, a parole, su differenziata e simili, ma in pratica non fare niente, lasciare che i rifiuti si accumulino, per mettere tutti di fronte al fatto compiuto: o altre discariche, o incenerimento. A Napoli ne abbiamo avuto l’esempio eclatante, e non mi si dica che questa crisi enorme e improvvisa, questo esplodere brusco di un problema decennale, non abbia una regia ben precisa alle spalle.

Nel nostro piccolo, a Savona, modestamente non restiamo indietro: è stato approvato faticosamente un piano provinciale frutto di compromessi, ma comunque con molti elementi positivi, come la mancanza dell’inceneritore di rito. Tanto che era stato guardato e citato come un faro, un esempio e una speranza (e non è una battuta) da altre realtà e da varie personalità nazionali. Invece di cercare di farlo funzionare, subito dopo è iniziato, nell’opposizione provinciale come in qualche fronda della  stessa maggioranza, il balletto delle ostilità, dei brontolii, delle proposte alternative, delle dichiarazioni stentoree, degli strilli, degli allarmi. E non si è vista una gran solerzia nell’applicarlo: le sperimentazioni stentano, il porta a porta non decolla e se ne sottolineano strumentalmente tutti i disagi, per sfruttare il malcontento,  dimenticando i vantaggi. Ma a parole, si continua a dire che la differenziata va fatta. A parole: intanto come Liguria siamo sotto quota e paghiamo la multa decisa dal ministro Matteoli del precedente governo. La verremo a pagare noi cittadini, naturalmente.

E adesso, il nuovo entusiastico slogan-minaccia: Savona come la Campania! E si rispolvera l’inceneritore, e  tante persone sottoposte al bombardamento politico e mediatico piano piano si rassegnano o si convincono della sua necessità. Addirittura se ne parla in zona turistica per eccellenza, come darsi martellate sui piedi.

Io dico solo che:  pur mettendo da parte i già fondamentali discorsi di diossina, nanoparticelle ed effetti sulla salute, cose non ancora inequivocabilmente documentate, ma su cui varrebbe, quanto meno, in assenza di dati definitivi, il principio di precauzione, basta semplicemente considerare il tempo e i costi di costruzione: e nel frattempo? Cosa altrettanto importante, anche l’inceneritore più moderno e controllato è un formidabile produttore di CO2. Già ora siamo molto indietro rispetto agli impegni di Kyoto, invece di diminuire le emissioni le abbiamo aumentate, tanto che già adesso l’Italia accumula un debito di 63 euro ogni secondo!

Tutto questo non conta, non conta mai, è impegno o affare d’altri, roba per ambientalisti perditempo, si finge di non sapere o non si considera proprio?

Pensate un po’ a una famiglia: si litiga perché il figlio vuol andare al cinema, la madre a teatro, il padre alla partita, la figlia in gita. Dopo lunghe discussioni ci si mette d’accordo sul cinema, il figlio convince tutti che c’è un bel film, che vale la pena eccetera. Deciso, tutti d’amore e d’accordo, si va. Arrivati davanti all’edificio, la figlia strilla che c’è un bel sole e che era meglio la gita, il padre sbuffa che se avesse saputo che cominciava cinque minuti dopo non sarebbe andato, la madre protesta che il manifesto è davvero orribile. E litigando tornano a casa, perdendosi il film e tutto il resto.

E in casa trovano un incendio, perché mentre litigavano hanno lasciato il gas aperto. E i vigili che pignorano l’alloggio perché scadevano delle multe e nessuno le ha pagate.

Ecco. Siamo esattamente in questa esasperante situazione.

Fino a quando potremo andare avanti con questo gioco irresponsabile sulla nostra pelle di cittadini e sul futuro dei nostri figli? Fino a quando il confronto civile e documentato di informazioni sarà negato, le tante autorevoli voci contro saranno soffocate, su questo come su altri temi fondamentali, lasciando spazio, anziché a un giusto dibattito,  a una sola, uniforme e spesso non disinteressata opinione? 

2) Mettere il carro…

… davanti ai buoi. Questa è la tecnica della proposta irrealizzabile o demagogica o velleitaria. Si propone improvvisamente un argomento importante, anche altamente positivo, ma controverso o con forti difficoltà di realizzazione. Perché si sceglie questa tattica azzardata? In qualche caso, per idealismo mal riposto, magari in buona fede ma totalmente privo di pragmatismo e senso della politica

Oppure, perché era uno degli argomenti su cui si era impostata la campagna e si erano fatte delle promesse. In altri casi, con un sospetto di non perfetta limpidezza, sapendo già come andrà a finire e magari volendo crearsi un alibi, del tipo” noi l’avevamo proposto, ci credevamo, però non è passato”. Oppure: “ sì, ci abbiamo provato, ma vedete non poteva funzionare…” , per dare un contentino a qualche componente “rompi” o addirittura con il segreto scopo di affossare il progetto.

La tattica è particolarmente disastrosa: sia per l’argomento in questione, che dopo il crollo rischia proprio di essere sepolto e non più riproposto, sia per l’eventuale partito dei contrari  che rialza la testa provocando disastrosi arretramenti anche su temi simili.

Un esempio è il caso dei Dico: ma bisognava proprio che una maggioranza risicata e sofferente, bisognosa di conciliazione fra cattolici e laici,  andasse subito a rompersi le corna con un argomento così spinoso?

Non perché ritenga secondaria la questione in sé o perché sia contraria, tutt’altro, ma per un motivo di opportunità e tempistica. Sembrava una delle tante tattiche suicida di questo come di altri governi della stessa parte politica.  Non avevano le forze e i numeri per occuparsi di conflitto di interesse, legge elettorale e televisioni (ammesso che volessero farlo, cosa di cui è lecito dubitare a questo punto) e si vanno a infognare in un tale ginepraio, magari per velleità da programma elettorale della sinistra? (Che non a caso con tale mancanza di realismo perde consensi).

Risultato, un nulla di fatto, e un prepotente ritorno del clericalismo che, come tutti possono vedere, si spinge ormai a livelli inauditi.

Anche nel nostro piccolo, in sede locale: ogni tanto si sentono fare proposte magari positive di per sé, ma premature, oppure intese come avulse dal contesto, senza preoccuparsi di ricadute e conseguenze, senza curare un quadro generale adeguato. Risultato: la cosa fallisce, suscita malcontento, sguinzaglia le opposizioni trionfanti. E si vanifica tutto. Questo vale particolarmente per ciò che riguarda viabilità, verde, ambiente.

Capisco che qualsiasi decisione operativa un po’ coraggiosa inevitabilmente ha ricadute e suscita fronde di ostilità, pregiudizio, scontentezza a prescindere e non. Perciò, in una certa misura, occorre “tirare diritto”. Ma a maggior ragione occorre farlo con una valutazione preventiva del contesto e delle misure accessorie, per assorbire meglio l’impatto ed evitare fallimenti.

 

Intanto lasciatemi osservare che, proverbi o no, in ogni caso i buoi, miti, aggiogati e privi di potere decisionale, che subiscono tutto, siamo sempre noi. E così ho terminato con la mia bella banalità qualunquista anch’io.

 

 Nonna Abelarda