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“Ciclone Teardo”: a 28 anni dai fatti/undicesima puntata

CAVIGLIA IERI, CAVIGLIA OGGI

DA DETENUTO (ASSOLTO) A VICE SINDACO

Gli ex soci di Teardo occupano ancora posizioni di potere, cariche pubbliche, si sono riciclati? I condannati no,  tra gli assolti (con motivazione diverse) la risposta è sì. Eppure poco o nulla, almeno su certi metodi, è cambiato. Scriveva il giudice che motivò la sentenza, Vincenzo Ferro (con i colleghi Fiumanò e Avolio): <La lottizzazione politica appare certamente un sistema deprecabile se raffrontato con i principi della buona amministrazione, in quanto tutt’altro che idoneo a garantire la collocazione della “persona giusta” al “posto giusto”. E’ un sistema generalizzato su scala nazionale>. Si da atto a Caviglia che pur “sponsorizzato” e con requisiti precari per la presidenza della Camera di Commercio, <l’ente è rimasto un’oasi unica dalla contaminazione che aveva pervaso ed inquinato la vita amministrativa savonese>. Caviglia massone? <Non è reato…>  Nel complesso la fotocopia di un’attualissima realtà savonese dove la sinistra è al potere, ma anche dove governa Forza Italia e “soci”.

  di Luciano Corrado

 

Paolo Caviglia attuale
vice sindaco di Savona

SAVONA – Lungo il cammino della “Teardo story” , giunti all’undicesima puntata, sono frequenti le segnalazioni di chi ci chiede: dove sono finiti i protagonisti (25 i processati nella Teardo 1, la Teardo-bis è invece naufragata)  di quella vicenda? Occupano ancora posizioni di potere? cariche pubbliche? Si sono riciclati?Diciamo subito che nessuno dei condannati, con sentenza passata in giudicato, ricopre ruoli nella pubblica amministrazione. Anche perché è stata comminata la pena accessoria di interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Diverso il discorso per chi è stato assolto, in qualche caso magari con la formula (allora esistente) dell’insufficienza di prove, per uno o più reati contestati.

 Merita di essere segnalato il caso di Pierluigi Bovio, architetto, sindaco comunista di Borghetto S. Spirito, che condannato in primo grado a 4 anni e 4 mesi, ma assolto in appello ed in Cassazione con formula ampia, è rimasto “lontano” non solo da incarichi istituzionali, ma anche dalla vita politica attiva. Una rarità.

Nel capitolo che affrontiamo in questa puntata il protagonista è Paolo Caviglia, 66 anni, già funzionario della Regione, scagionato in primo grado (il Pm chiese 4 anni  e 6 mesi per associazione a delinquere di stampo mafioso), poi in appello a Genova, con la conferma della Suprema Corte, oggi riveste un ruolo di spicco sia nella vita politica (al vertice provinciale del Psi), sia nelle istituzioni (è vice sindaco del Comune di Savona). Un ruolo pubblico che ha conquistato con le elezioni dei candidati al “parlamentino” locale, dunque il consenso popolare.

Appare inutile, per una serie di ragioni, pubblicare sia gli interrogatori di Caviglia, sia le carte della pubblica accusa e del rinvio a giudizio. Anche perché trattasi di un cittadino che ha subito oltre due anni di detenzione (tra Badecarros, in Sardegna, Sanremo e in ultimo ai domiciliari, tra il 2 settembre 1983 con l’arresto e la scarcerazione, 8 agosto 1985) senza una condanna definitiva, pagando un prezzo durissimo sotto l’aspetto umano, morale e famigliare.

SCRISSE LA MOTIVAZIONE

UN GIUDICE INDISCUSSO

Ci sembra utile ripercorrere la “storia” giudiziaria di Caviglia, nell’ambito del ciclone Teardo, pubblicando i passi salienti della motivazione della sentenza di primo grado, a Savona sull’imputato Caviglia.

Motivazione scritta, con una serenità di giudizio unanimemente riconosciuta, dall’allora giudice estensore Vincenzo Ferro, un savonese, classe 1935, che proprio in questi giorni ha concluso “senza ombre” la sua lunga carriera di servitore dello Stato e della giustizia. Al tribunale di Savona ha lavorato alla sezione civile, sezione penale, sezione fallimentare. Tra le sue mani sono “passati”, come si suole dire, vicende, cause, processi delicatissimi, difficili, dirompenti.

Chi ha seguito la sua attività da cronista di giudiziaria non può dimenticare la complessità ed il ruolo che Ferro ebbe, ad esempio, nel “giallo Mario Berrino”, il noto pittore di Alassio al centro di un sequestro assai anomalo. Uno dei grandi “buchi neri” della storia savonese. Ignorato.  Come per le “bombe di Savona” anche il periodo, ironia della sorte, coincide.

Ferro, come giudice istruttore (svolse minuziosi sopralluoghi sui luoghi dell’asserita prigione e sui percorsi dal giorno del rapimento); ordinò anche l’arresto di Berrino, un cinque novembre, al termine di una drammatica mattinata. Il pittore di fama internazionale è stato forse la sola persona che ha descritto in termini di biasimo e non solo, l’operato del giudice  Ferro (leggi pagina 28 e 29 del libro “Mario Berrino” (Il giallo Berrino) terza edizione).

Vincenzo Ferro dalla prima sezione civile della Corte d’appello, passò alla prima sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, infine è tornato a Genova a presiedere la prima sezione civile della Corte d’appello.

Chiusa questa parentesi doverosa, per ricordare un “valoroso ed integerrimo magistrato”, torniamo al personaggio Caviglia, negli atti scritti proprio da Ferro.


Il giudice Vincenzo Ferro
        (da La Stampa)

CHI ERA CAVIGLIA

E CHI LO ACCUSAVA

Paolo Caviglia, a pagina 8, della motivazione di primo grado viene definito <pubblico amministratore, presidente della Camera di Commercio per volontà di Teardo, presidente dell’Azienda Consortile

dei Trasporti Savonesi (Acts), interessato ad attività societarie afferenti all’associazione…>. Ovvero l’imputazione principale e più grave di <associazione a delinquere ed associazione di stampo mafioso>.

La prima volta che venne contestata in Italia a pubblici amministratori-pubblici ufficiali, ma questo aspetto è sparito da tutte le ricostruzione storiche di giornali e tivù, Rai compresa. Associazione mafiosa, caduta per diversi imputati condannati, perché l’ultimo attentato ad un cantiere (ponte sul Letimbro) dell’impresa Damonte di Alassio avvenne alla vigilia della nuova legge che avrebbe comportato l’aggravamento della posizione degli imputati accusati di “mafiosità”. Accusa affrontata anche in Cassazione che demandò il giudizio finale ad una nuova sezione della Corte d’appello di Genova. Escluse la mafia, con una serie di palesi contraddizioni, messe bene in risalto dal giudice Michele Del Gaudio nei suoi libri.

Agli atti del processo di Savona, quello della sentenza che oggi illustriamo, figura difensore di Caviglia l’avvocato Giorgio Finocchio di Borgio Verezzi.

Ecco la motivazione scritta nei confronti di Paolo Caviglia. Inizia a pagina 399 con queste parole: <Nell’esame della posizione dell’imputato occorre, preso atto dell’assenza  originaria di imputazioni specifiche diverse da quella di associazione per delinquere e di associazione di tipo mafioso,analiticamente considerare gli elementi, particolarmente numerosi, indicati come sintomatici nel provvedimento di rinvio a giudizio (firmato da Michele Del Gaudio e Francantonio Granero ndr) e nella requisitoria del Pubblico Ministero (era Michele Russo ndr) per verificare se in alcuno di essi, pur in difetto di rilevanza penale autonoma, siano riscontrabili estremi di contributo alla attività dell’associazione criminosa.

NOMINATO NON PER MERITI

MA PER SCELTA DI TEARDO

Il dato più importante è ravvisabile nella nomina del Caviglia a Presidente della Camera di Commercio di Savona rispondente ad una scelta di ordine essenzialmente politico espressa dal Psi, volta ad assicurare a tale partito una delle cariche di rilevanza politica in sede locale, e sostenuta nelle opportune sedi dal Teardo quale autorevole esponente del partito stesso. Esclusa la sussistenza nella linea di condotta seguita dal Teardo dei connotati tipici dell’intimidazione mafiosa (il tribunale non ha condiviso la tesi accusatoria dei giudici istruttori ndr), devesi riconoscere che ci si trova in realtà in presenza di un palese episodio dell’ormai comune fenomeno della lottizzazione politica, cioè di quel sistema di distribuzione delle cariche pubbliche che è ispirato alla creazione e al mantenimento di determinati equilibri di potere tra le varie forze politiche.

Tale e non altro (alla stregua delle parole del Teardo all’imprenditore Andrea De Filippi) sembra essere stato il titolo del Caviglia alla nomina alla presidenza di un ente dotato di ampie competenze promozionali e consultive in materia economica. Anzi, il significato di tale nomina è andato al di là delle persone del Caviglia e del De Filippi, in quanto la scelta del primo a preferenza del secondo si è tradotta nella designazione di un presidente di estrazione e formazione burocratica anziché di un presidente di estrazione e di esperienza imprenditoriale.

La cosiddetta lottizzazione politica, in se stessa considerata, appare certamente un sistema deprecabile se raffrontato con i principi della buona amministrazione, in quanto tutt’altro che idoneo a garantire la collocazione della “persona giusta” al “posto giusto”.

E’ chiaro che questa valutazione viene qui formulata in termini generali, e non implica alcuna risposta negativa al quesito, processualmente irrilevante, se il Caviglia fosse o meno dotato delle qualità e di competenza richieste dalla carica. Importa qui rilevare che, proprio perché il sistema sopra descritto si presenta caratterizzato da diffusione generalizzata su scala nazionale e risponde ad esigenze ed interessi di ordine politico di ampia dimensione, non è ravvisabile alcuna connessione tra siffatta, meno corretta, forma di esercizio del potere politico, in se stessa considerata, e il perseguimento delle finalità dell’associazione criminosa  tendente alla realizzazione di profitto patrimoniale mediante penetrazione di reati contro la pubblica amministrazione.


Giorgio Finocchio è stato l'avvocato di Paolo Caviglia

(Foto d'archivio)

CAMERA DI COMMERCIO:

OASI INCONTAMINATA

Tengasi presente, tra l’altro, che nessuna specifica illegalità è emersa in ordine all’attività della Camera di Commercio, rimasta – almeno a quanto consta – oasi immune dalla contaminazione che pare aver pervaso e inquinato la vita amministrativa savonese.

Perciò, la posizione assunta dal Caviglia nella Camera di Commercio, pur politicamente qualificata e condizionata dalla posizione di potere di Teardo, non è comparabile sotto il profilo che qui interessa, con quello di un Abrate, di un Sangalli, di un Borghi in seno ad altri enti pubblici.

Non è necessario accertare, ai fini della presente decisione, se la procedura relativa alla nomina di Caviglia si sia svolta nel rispetto della più rigorosa legalità. E risulta poi irrilevante che il Caviglia sia assurto a cariche direttive di alcune imprese parastatali, verosimilmente alfine di acquisire una parvenza di imprenditorialità in vista della presidenza della Camera di Commercio stessa. Non in virtù di proprie attitudini  culturali e professionali, ma essenzialmente in forza di indicazioni politiche, ancora riferibili al Teardo, ma non riconducibili, fino a prova diversa, a manifestazioni di quella “illegalità diffusa” di cui si parla nel provvedimento di rinvio a giudizio.

ATTIVITA’ A FINALE LIGURE

DISCUSSE, MA LECITE

Il Caviglia ha occupato la carica di consigliere comunale, capogruppo consiliare del partito socialista, nell’amministrazione del Comune di Finale Ligure, a fianco del sindaco Lorenzo Bottino, nel periodo in cui la vita amministrativa di quel Comune è stata tormentata dalle vicende edilizie che hanno formato oggetto di numerose inchieste.

La presenza di Caviglia non può tuttavia essere interpretata in senso criminalmente strumentale al pagamento della tangente di 300 milioni di lire in relazione alla lottizzazione di San Bernardino, per la semplice ragione che di siffatta tangente manca la prova. Che la presenza di Caviglia vada ricollegata alle  numerose irregolarità edilizie che si sarebbero verificate in quel periodo è ancora da dimostrare; inoltre la persona del Caviglia non risultà, né alla stregua della sua funzione, né alla luce del contenuto delle notizie raccolte.

Circa l’appartenenza occulta del Caviglia alla società che gestiva Il Covo e la pizzeria Mamma Mia, si possono formulare considerazioni analoghe a quelle già svolte a proposito di Bottino, in ordine alla non compatibilità deontologica fra lo svolgimento di attività commerciali a siffatti livelli e la qualità di pubblico amministratore, alla quale devesi aggiungere per il Caviglia, la non compatibilità giuridica di qualsiasi attività commerciale svolta in prima persona  rispetto alla qualità di funzionario presso la Regione Liguria. Ma la partecipazione, tra l’altro,


Caviglia  con gli avvocati Ruffino e Ramella, il giornalista Del Santo

più che formale, ad un’attività per sua natura non illecita in se stessa, non significa imprenditorialità illegale…

Altro problema è quello della eventuale illecita provenienza del capitale impiegato dal Caviglia..ma va sottolineato che in dibattimento non sono emerse condotte caratterizzate da rilevanza penale. E va rimarcata l’estraneità del Caviglia all’articolato sistema societario del quale il Teardo, il Capello, il Gaggero ed altri imputati si servivano per il reimpiego dei profitti illecitamente conseguiti.

MASSONE ISCRITTO

A DUE OBBEDIENZE

Circa l’affiliazione ad una loggia massonica non occorrerebbe spendere ulteriori parole a quanto  già osservato al proposito in termini più generali.

Merita tuttavia di essere segnalata la gratuità del riferimento al passaggio del Caviglia  da una all’altra obbedienza del quale non si desume alcuna prova, né dalle dichiarazioni dell’imputato, né da alcuna altra fonte processuale.

Il “ritenuto dimostrato legame di Caviglia con Federico Casanova, peraltro citato  soltanto in ordine alla gestione calore dell’Iacp alla cui attività Caviglia è sempre rimasto estraneo, si fonda sulle dichiarazioni del teste Minuto il quale ha dichiarato di aver sentito dire dal Casanova che Caviglia era stato gratificato con buoni benzina gratuiti per 2000 litri di carburante. La prova non esiste.

Come pure l’asserito interessamento del Caviglia ad una lottizzazione nel Comune di Pietra Ligure alla quale erano interessati gli imputati Bongiorni e Vadora.

Non risulta che il Caviglia si sia avvalso scorrettamente  della sua carica, conseguita certamente e ancora una volta in funzione politica, di presidente dell’Acts...

Del fatto di essere stato tramite per il passaggio della somma di tredici milioni e mezzo proveniente da Teardo, il Caviglia ha dato una spiegazione che non ha avuto prova contraria e dunque credibile.

I movimenti bancari facenti capo al Caviglia, infine, non paiono tali da destare particolare sospetto. In particolare non si può condividere l’assunto del giudice istruttore secondo cui essi sarebbero già di per se sintomatici della volontà di nascondere la natura dell’operazione e la provenienza del denaro, ma nulla è emerso nel rapporto finanziario tra Caviglia e Capello, cassiere del clan>.

Luciano Corrado