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La sfida Riformista

Una convergente autonomia

di Domenico maglio

Domenico Maglio

La convinzione di prospettare un progetto politico, qualunque esso sia purché si sviluppi all’interno di un recinto democratico, trova sempre forza e legittimità nelle proposte che con coraggio si è in grado di gettare sul tavolo del dialogo, ma le contrapposizioni che abbandonando la dialettica diventano in qualche modo vendicative, astiose e rancorose hanno scarsa ricezione in una società nella quale tale progetto vuole presentarsi.

La convinzione non è un’idea che la mente possiede ma al contrario è l’idea stessa che possiede la mente.

Quando questa idea non riesce ad adattarsi e quindi a esprimersi nel contesto del pensiero del nuovo mondo che viviamo il suo destino è segnato, la mente non accetta la realtà e non è più in grado di essere ricettiva, con lei moriranno tutti quei principi che si vogliono invece far sopravvivere e questo significa che è la mente stessa a non essere ancora pronta.

Ma non si può aspettare ad eternum il crescere di una nuova mentalità collettiva per provare ad approcciarsi alle esigenze che incombono sulla società moderna globale, non solo sull’Italia, ma per quanto ci riguarda bisogna dire che i tempi sono stretti, il ritardo accumulato grava pesantemente sullo sviluppo e sulla modernizzazione, chi non è pronto rischia di restare escluso dal governo complessivo.

Oggi il sistema produttivo e sociale italiano non riesce a fare quello scatto in avanti che meriterebbe, ed è inutile replicare qui ciò che ogni quotidiano ripete ogni giorno incessantemente, le cose sono più semplici da capire di quanto si possa immaginare e senza ricorrere a incomprensibili teoremi finanziari possiamo riassumere in poche parole la situazione italiana : la turbolenza dei mercati mondiali che spesso appare distante da molti cittadini è invece quanto mai a noi vicina, e manca la percezione della gravità nel contesto sociale, un compito di sensibilizzazione che spetterebbe alla politica spiegare ma la sfiducia ha raggiunto livelli tali che appare quanto mai difficile questo suo compito.

Proviamo a dirlo con i soliti “conti della serva” senza entrare in tecnicismi difficili da spiegare: quando sentiamo dire che i mercati mondiali sono instabili, che le borse crollano significa in pratica che circola meno denaro, questa mancanza genera più incertezza, si produce di meno perché la richiesta diviene bassa e conseguentemente c’è meno lavoro, quel minimo che si produce si realizza a costi elevati e i prezzi al consumo finale aumentano, le imprese non rischiano investimenti quindi non costruiscono nuove fabbriche e diminuisce la possibilità occupazionale, meno lavoro equivale a meno entrate per le famiglie ma non riduzione dei costi per mutuo della casa, spese sanitarie, spese per generi alimentari, scuola, ecc.

Per questo motivo è prioritaria una nuova presa di coscienza verso ciò che abbiamo davanti, un mondo che non è più quello esistente di qualche anno fa, sono saltati gli equilibri tra capitale e lavoro, è esplosa la frenesia mondiale sulla finanza remunerativa senza rischi e l’ingresso sul mercato di nuovi giganti dell’est ha contribuito a terremotare un equilibrio già instabile, che da noi in Italia è molto più sentito perché siamo indietro sia nello sviluppo che nell’innovazione e non riusciamo a risolvere stabilmente il problema occupazionale.

Abbiamo senza dubbio commesso errori strategici per una mancanza di visione a lunga gittata, non siamo riusciti a vedere l’avvenire come stava arrivando e oggi paghiamo quei ritardi di allora senza avere alle spalle un’economia talmente forte da sopperire ai sobbalzi finanziari del mondo.

Se altri paesi europei riescono e riusciranno nel difendere il benessere raggiunto lo dovranno alle loro politiche lungimiranti che sono intervenute sui problemi del lavoro e dell’impresa con decisione, garantendo uno stato sociale in grado di assorbire i contraccolpi di una recessione che - stando alle previsioni degli economisti - arriverà in maniera devastante sulle economie mondiali e quindi anche da noi, verso la fine dell’anno in corso.

Che succederà allora? Che sarà delle famiglie?

Gli stessi esperti non sono in grado di prevederlo con precisione ma indicano una sofferenza pesante in tutti quei paesi che non hanno saputo confezionare un paracadute adeguato.

Noi siamo uno di quei paesi e pagheremo le conseguenze della nostra impreparazione con aumento dei costi per generi alimentari, per i carburanti, per scarsa occupazione, per qualità ambientali che peggioreranno, per servizi sociali e scolastici sempre più irraggiungibili.

Tanto per fare un esempio anche un po’ elementare se si vuole ma chiarificatore della nostra non lungimiranza strategica viene da pensare che quando nel mondo è esplosa la crescita industriale di paesi come Cina e India, questi stessi colossi hanno gettato sul mercato una richiesta abnorme di acciaio e noi abbiamo chiuso acciaierie di livello mondiale.

E si potrebbe continuare con i telefoni cellulari visto che siamo il paese che ne ha almeno 3 a testa ma nessuna fabbrica che li costruisce e via di questo passo.

E’ indubbio che la politica ha le sue colpe ma non bisogna mai dimenticare che proprio la politica, la sua classe dirigente è l’espressione del suo popolo, quindi inutile trovare colpe sempre a casa degli altri, chi è causa del suo mal pianga se stesso, e speriamo che le lacrime che a quanto pare piangeremo ci insegnino almeno qualcosa per il futuro.

Ricordo un passaggio di Ugo Foscolo che parteggiando inizialmente per Bonaparte restò accecato dal messaggio di libertà e di eguaglianza che le truppe francesi portavano con loro, ma avendo compreso in seguito che le cose non stavano proprio in quel modo scriveva che i realtà i Dragoni francesi stavano saccheggiando l’Italia auspicandosi che lasciassero almeno agli italiani le lacrime per piangere.

Non aspettiamoci quindi rose e fiori per l’avvenire più immediato, in queste condizioni il nostro paese è schiacciato e segna il passo, siamo perennemente in discussione su equilibri elettorali oramai dal ’92 e non abbiamo dimostrato di saperci agganciare al treno europeo con la convinzione necessaria che si traduce in indirizzi politico economici forti sempre alla rincorsa nel trovare risorse per tappare buchi di bilancio dei quali non si vede il fondo.

Siamo abitudinari nel nostro vivere, ma dobbiamo sforzarci di uscire da questo stallo, avere coraggio, gettarci a mare per vedere se siamo capaci a nuotare, ma se resteremo schiavi delle nostre abitudini lentamente ma inesorabilmente ci spegneremo nel panorama mondiale anche se per fortuna almeno in politica estera siamo riusciti a riconquistare una credibilità perduta.

La classe politica deve certamente guardare alle sue legittime aspirazioni, alle sue pretese, ma traguardare l’interesse generale comprendendo la vastità dell’orizzonte futuro che ci chiama a compiti importanti e ineludibili, un impegno che richiede uno sforzo collettivo di tutto il paese responsabile il che non significa affatto procedere a rassemblement complessivi provando a mischiare dottrine opposte come quelle dei progressisti del centrosinistra e quelle conservatrici del centro destra.

Anderson dialogando con Bobbio sul Socialismo e sul Liberalismo coniò una frase divenuta famosa – almeno per chi si interessa di Socialismo e della sua evoluzione - “ miscugli chimici instabili” li chiamava Anderson (non riferendosi a destra e sinistra ma ad un’altra visione che qui non è il caso riproporre ma che sarebbe utile approfondire).

Ecco, potremmo dire che strani progetti potrebbero rivelarsi proprio “ miscugli chimici instabili”.

E visto che siamo in questo escursus anche Lavoisier prima di essere ghigliottinato dai giacobini con l’accusa che ..La Repubblica non aveva bisogno di scienziati... soleva scrivere in calce ad ogni suo studio che per raggiungere un composto stabile non c’è mai una sola formula.

La responsabilità quindi a mio giudizio non si misura con il numero di iscritti a partiti o associazioni, con folle ai gazebo o incitate da predellini di automobili, e nemmeno con l’enunciazione di demagogie spese solo per compiacimento di platee oramai sempre più ridotte e distanti, ma con l’utilizzo della ragione in grado di dare risposte alle nuove domande che vengono poste da larghi strati della popolazione e del mondo imprenditoriale.

Serve un programma serio, breve, conciso, che guardi lontano ma che sia realizzabile nei punti più urgenti da subito, perché è l’immediato che interessa e che chiede scelte coraggiose per problemi impellenti, la popolazione mangia e vuole crescere i propri figli ogni giorno e non dopo qualche anno di discussioni e cabine di regia.

Aristotele
                           Aristotele
Primum vivere indi filosofare per dirla come Aristotele e il primum vivere significa per noi darci con urgenza salari e stipendi degni di essere chiamati tali e quelle opere strategiche come hanno tutti gli altri paesi europei, e qui vorrei dare alcuni esempi, magari opinabili ma è bene che ognuno cominci a farlo coraggiosamente senza stare tanto a guardare se ciò è gradito a questa parte politica o a quell’altra alla ricerca di condivisioni elettorali che si rivelano poi instabili.

 Io, storicamente uomo di sinistra penso di avere il coraggio delle opinioni, quindi lo dico e sono certo che anche altri amici riformisti pur non avendone mai discusso nello specifico la pensano nello stesso modo perché credo che una visione riformista, ovunque si collochi, non vive nelle dispute ideologiche

e neppure nei conflitti istituzionali degli Enti Locali territoriali pur con la loro ricerca della buona amministrazione, dell’equilibrio sociale, della gestione ottimale della cosa pubblica.

Primum vivere significa costruire le grandi arterie che ci collegano all’Europa, e in modo elementare potremmo dire che sono decisive per lo sviluppo delle nostre attività portuali altrimenti le navi attraccheranno da un’altra parte, scaricheranno merci e lavoro altrove, noi abbiamo una grande fortuna geografica che è quella di essere uno degli snodi per i mercati dell’oriente che riverseranno sempre più in Europa le loro merci, ma quando attraversando Suez si affacceranno sul Mediterraneo queste navi traguarderanno la costa Italiana, e su quella costa dovranno trovare strade e ferrovie adeguate, banchine attrezzate, servizi efficienti altrimenti modificheranno la loro rotta verso Francia e Spagna e a noi non resterà che salutarle con la manina dalle spiagge, e lo dico senza entrare a gamba tesa sui problemi che la famosa piattaforma di Vado Ligure sta creando, è un discorso che vale per l’Italia intera.

Ma se vogliamo restare nel contesto a noi più vicino immaginiamo – ovviamente semplificando -di essere su una grande nave da carico nei pressi della nostra costa ligure che magari ha appena passato la Corsica, per quel Comandante (quell’armatore) che magari arriva dalla Cina la distanza tra Savona, Vado Ligure e Marsiglia si riduce a qualche impercettibile millimetro su una carta nautica e la sua scelta sarà dettata soltanto da ciò che troverà a terra, la sua rotta resterà in pratica la stessa, sia che sbarchi a Marsiglia che a Savona o Vado. Si fermerà dove saprà di trovare tutto ciò che gli serve e quindi collegamenti stradali, ferrovie funzionanti ecc servizi che gli permetteranno di lavorare bene e quindi guadagnare accontentando i loro clienti per “velocità di consegna” e quant’altro.

Vogliamo quindi dargli un motivo per attraccare da noi oppure vogliamo fregarcene? Vogliamo diventare un centro del Mediterraneo importante e strategico oppure la cosa non ci interessa? Vogliamo darci qualche opportunità in più o pensiamo di avere risorse tali da respingere una possibilità di sviluppo?

Certo, va bene anche le ultime soluzioni, possiamo fregarcene, ma dobbiamo sapere che tutte le varie agenzie del settore marittimo, distributive, di stoccaggio, di scarico e carico andranno a cercare lavoro laddove le navi ormeggiano e quindi sarà antieconomico tenere aperte strutture inutili, licenzieranno il personale e tutto l’indotto occupazionale sparirà, diminuirà il lavoro dipendente, cesseranno attività artigianali, uffici, esercizi commerciali, agenzie di intermediazione, il tutto a quanto si dice calcolato in un consistente numero di soggetti tra dipendenti e imprese a vario titolo interessate.

Questo non vuol dire che per fare tali opere che io – ma non solo io - ritengo strategiche si debba distruggere boschi, parchi, interi quartieri, affumicare condomini, impiastricciare il mare di liquami, ma che si debba trovare un giusto equilibrio tra lo sviluppo e l’ambiente, e questo è sempre possibile basta ammainare le bandiere ideologiche buone solo per ritagliarsi qualche rendita personale del momento e ragionare anche sul dopo.

Quindi credo che su questa falsa riga molti ragionamenti si potrebbero continuare per rifiuti, energia, sicurezza sociale, lavoro e vista la situazione politica del nostro paese temo, ahimé, che presto ci sarà l’occasione.

Ma penso che la percezione di affrontare questi temi cruciali sia stranamente non ancora ben presente in larghi strati dell’area della sinistra italiana sempre più frammentata e polverizzata al suo interno, non riesce a condensare una responsabile visione futuristica, pare abbia difficoltà a comprendere il pensiero che sta nascendo anche all’interno del contesto storico-sociale italiano, un colpevole ritardo che distruggerà ed emarginerà ogni giusta rivendicazione, lo sfilacciamento con la forza lavoro è evidente, basti pensare che ad esempio la caduta del governo Prodi ha suscitato quasi entusiasmo tra molti – troppi -  operai dell’unica fabbrica del nostro territorio ponentino e questo la dice lunga sulla decadenza delle famose cinghie di trasmissione che fornivano consenso, una cinghia che si è rotta già da parecchi anni ma la sinistra italiana ha fatto finta di non vederlo, a partire dagli anni ’80 con i famosi 35 giorni di occupazione della FIAT, e poi con la marcia dei 40.000 – i più giovani se lo facciano spiegare quel periodo perché io sinceramente non ho più voglia di ripeterlo a chi non vuole sentire, io voglio guardare avanti.

A mio giudizio ciò accade quando si incrina l’indirizzo filosofico che sostiene la determinazione storica di ogni contenuto della condotta dottrinale originaria, e questa non percezione diviene distruttiva quando contemporaneamente insiste sulla conservazione di valori eterni anche se consapevolmente sa che non sono più sostenibili.

Per andare nello spazio serve un razzo e non una macchina a pedali.

Capire le nuove esigenze è compito primario di una sinistra nuova, e ripeto ancora che la sinistra non è un recinto chiuso da difendere a tutti i costi, anche a costo della sua scomparsa, ma concordo con Reichlin quando dice che è lei stessa funzione storica, una funzione che deve mutare e plasmarsi con la necessità dei cambiamenti ma che ritengo – e in questo con Reichlin sono in disaccordo - possa dispiegarsi nel nuovo millennio senza necessariamente estirpare le sue radici, e per questo si aspetta il Manifesto dei Valori del PD.

La rappresentatività del Socialismo, della Social democrazia, del Riformismo che si sviluppa nei paesi a economia avanzata, proprio come funzione storica, combatte la sua battaglia all’interno del paese e all’interno dell’arruginita sinistra italiana, ma senza perdere di vista quelli che sono i cardini originari della sua linea politica responsabile e autonoma.

Il Socialismo Riformista è innovatore ma non è il fine bensì è il mezzo, così come vuole essere il PD, non sono strumenti da cavalcare periodicamente a seconda dell’aria che tira, non sono autobus su cui salire per raggiungere la fermata che ci interessa personalmente e una volta sopraggiunta scendere sulla rendita trovata sul marciapiede, perché è risaputo che sui marciapiede si svolgono altre occupazioni.

La questione morale, il codice deontologico che tutti i partiti indicano ad ogni scadenza elettorale sarebbe bene iniziare davvero a scriverlo e praticarlo, sull’autobus del Riformismo che auspico dispieghi al più presto la sua forza di modernizzazione non potranno più salire portoghesi ma solo coloro che pagano con decisione e disinteresse il biglietto del bene comune.

Dare forza al Riformismo significa esprimere la democrazia attraverso la rappresentatività sociale delle forze vive del paese, e in modo particolare quel mondo del lavoro che ha reciso il suoi legami secolari ed ha capito che soltanto l’espressione parlamentare può fargli raggiungere livelli sostenibili di vivibilità.

La storia non può essere scritta due volte, ma può seguire il suo corso democratico dove la dottrina e i disegni che sono fatti per le cose possano trovare la realizzazione nell’indirizzo governativo del paese.

In conclusione vorrei dire agli amici del PD che io non considero il Socialismo l’àbaton italiano, la sua funzione è di far crescere nel paese la cultura di una sinistra moderna e riformista combattendo in parallelo anche all’interno della sinistra stessa, per quanto questa saprà essere ricettiva e non certo ad eternum.

Quando nascono aggregazioni politiche, nuovi partiti, che mirano alla riduzione del quadro politico nazionale, forze politiche che non guardano a coalizioni variegate e che vogliono come annunciano perseguire una vera funzione riformista, sarebbe bene che tali forze contribuissero a dare vigore al Socialismo Italiano, unico rimasto a combattere la battaglia delle idee nella sinistra del nostro paese.

Da più parti, ma sinceramente non so con quanta convinzione, si dice che gli uomini siano tutti uguali, ma essere in prima linea nella trincea della giustizia sociale significa rispondere anche alla conseguente domanda che molti si pongono sempre più spesso : quando cominceremo ad essere tutti uguali?

Dare questa risposta è la funzione di tutti i Riformisti, Socialisti, Democratici, Cattolici, lo è da sempre ed è da qui che bisogna partire, in un percorso di autonomia convergente, competitivo ma non conflittuale, dialogante sui grandi temi del nuovo umanesimo.

Iniziare finalmente un percorso innovatore è possibile, lo era ieri e l’occasione non è stata colta, lo è oggi e non possiamo più rinviare.

La facilità di un percorso che vada in una comune direzione dipenderà solo dagli attori in campo, ognuno con le sue prerogative e con le sue capacità, l’importante che non si trovino porte chiuse, altrimenti tutto diverrà troppo complicato.

Lancio un’idea : io sono pronto, cominciamo dal nostro territorio, indipendentemente dal periodo politico che si sta attraversando, lavorarci oggi potrebbe essere utile per domani, e a quanto si sente dalle nostre parti questo domani mi sembra parecchio vicino ed è bene essere attrezzati allo scopo.

 DOMENICO MAGLIO