versione stampabile

ITALIANI TRUFFATI E RAPINATI

di Marco Giacinto Pellifroni

 

Concludo oggi la trilogia sugli italiani: dopo i miei commenti al Rapporto del Censis e all’articolo del New York Times (poi gemellato dal Times di Londra), in queste pagine esprimerò le mie proprie osservazioni  sulla situazione degli italiani (che vale in buona parte anche per i cittadini delle altre nazioni).

Tutto discende dalle domande: perché e a chi paghiamo le tasse?

-     Quale che sia il governo in carica, il nostro standard di vita è destinato a peggiorare se il timone della politica monetaria non passerà di mano;

-    questa, infatti, non è decisa dalla nostra classe politica, ma soltanto dalla cricca bancaria internazionale, della quale la prima è serva;

-   questa cricca detiene l’immenso potere di battere moneta e di crearla senza alcuna garanzia reale a copertura, trasformando lo Stato e i produttori di reddito da lavoro in perenni suoi debitori;

-   un debito si instaura nel momento in cui il creditore cede un bene, non già mere immagini del bene, ossia banconote sulle quali nemmeno più sta scritto “pagabili a vista al portatore”, o peggio ancora numeri su un computer, cui non corrisponde ricchezza reale alcuna. Queste banconote traggono il loro valore dall’essere accettate dalla gente: se domani nessuno le volesse, diverrebbero ipso facto carta straccia, seguendo il destino dei debiti subprime;

-   i politici continuano a parlarci di debito pubblico, di cui sarebbe creditore il sistema bancario, che, come sopra detto, nulla ha trasferito allo Stato e ai cittadini e cui nulla pertanto è dovuto: no credit, no debt. E quindi interessi zero su un debito mai acceso, il che traduce il “servizio del debito” che riempie la bocca dei nostri politici in un ignobile inganno, in una truffa legalizzata da leggi varate ad hoc, anzi ad bancas, da Parlamenti asserviti al potere bancario. I nostri politici sono loquaci su tutto, tranne che sull’argomento principe: il signoraggio bancario;

-   del pari reticenti sono tutti i poteri dello Stato, da quello legiferante del Parlamento a quello esecutivo del Governo, da quello giudicante della Magistratura a quello repressivo delle forze di polizia, CC e GdF, volti solo a garantire la spremitura delle tasche dei sudditi mediante il pagamento di tasse, imposte e sanzioni, girate poi in gran parte alla Cupola dei banchieri onde permetter loro e alla Casta al loro servizio di vivere da nababbi a spese di tutti i comuni cittadini;

-   quanti delle suddette gerarchie impositive non stanno al gioco e cercano di fare gli interessi della società, anziché quelli dei poteri forti, vengono nel migliore dei casi messi alla pubblica gogna (De Magistris, Forleo, ecc. insegnano), e additati come schegge impazzite e “cattivi” funzionari; mentre sono “diligenti” i parlamentari che promulgano leggi a favore delle banche e i giudici che interpretano a loro favore le leggi dubbie o ignorano quelle ad esse palesemente contrarie; i presidenti della Repubblica, come Ciampi, che hanno ceduto la sovranità monetaria nazionale ad enti sopranazionali privati come la BCE o agevolato la svendita delle aziende di Stato alle multinazionali (di proprietà delle banche); o legalizzato, come Napolitano, la proprietà totalmente privata di Bankitalia SpA, andando contro i dettami costituzionali (lui, protettore ufficiale della nostra sessantenne Costituzione; lui, che predica di “senso dello Stato”);

-   in questo modo, mentre le grandi imprese passano agli stranieri, ossia ai gruppi bancari monopolistici mondiali (quelli che tramano per il Nuovo Ordine Mondiale, apertamente perorato dallo stesso Napolitano), le PMI, ossia il nerbo produttivo della nazione, vengono perseguitate in tutti i modi, con tasse, ossessivi controlli fiscali e relative sanzioni, sino a portarle al fallimento o alla chiusura; non solo, ma vengono anche additate come i grandi evasori, i responsabili del dissesto italiano, di cui è invece responsabile il c.d. debito pubblico, accumulato negli anni a livelli tali da essere inesigibile, ma su cui i cittadini continuano a pagare interessi non dovuti a beneficio di Cupola e Casta, entrambe al di sopra di ogni e qualsivoglia legge;

-   una simile situazione non può essere sanata se non svincolando lo Stato dall’abbraccio letale dei banchieri. Cosa che non può avvenire secondo le normali procedure democratiche, ossia attraverso elezioni, condizionate dai mass media di proprietà dei poteri forti. Si torna perciò al dilemma di 40 anni fa, quando si discuteva se bastavano le riforme o ci voleva la rivoluzione;

-   le riforme si fanno in Parlamento, le rivoluzioni si fanno in piazza. Vista la formazione dei Parlamenti, la prima ipotesi è da escludere. Circa la seconda, accantonata l’ipotesi romantica che vorrebbe i poveri come protagonisti, in quanto mancano loro i mezzi e la capacità organizzativa, e scartati i ricchi, che stanno bene come sono, rimane la classe media;

-   questo spiega come mai sia proprio su questa classe che i governi si accaniscono, nel tentativo di eliminarla e di puntare ad una massa di incapienti bisognosi di “benevolenza” governativa, sopra la quale domina un’oligarchia finanziaria sempre più totalitaria;

-   la classe media, però, è più che mai impegnata a sfiancarsi di lavoro e di stress per far fronte a spese e tasse, col continuo spettro del fallimento, e non può certo sacrificare lo scarso tempo libero tramando fantomatiche rivoluzioni, frenata anche dal terrore delle pene che uno Stato senza scrupoli dedica a chi si abbandona a simili pensieri. In più, essa ha sempre bisogno dei “favori” dell’oligarchia per restare a galla e richiederebbe notevole audacia inimicarsela prima di averla sconfitta;

-   bene diceva Curzio Malaparte (*) che la rivoluzione, ossia la conquista dello Stato, non è un problema politico, ma tecnico, organizzativo; il che la rende assai più difficile del colpo di Stato, che rimane una specialità dei militari (e dio ce ne guardi). Coloro che potrebbero organizzare la rivoluzione sono le classi in ascesa, non quelle in declino, come è oggi la classe media, perseguitata e quindi votata all’estinzione. In più, i giovani sono troppo presi a ricavarsi una nicchia in un mondo spietato, mentre chi lavora è sempre ricattabile; paradossalmente, rimangono i pensionati: solo loro potrebbero fare la rivoluzione! Sulla carta, s’intende, perché la vecchiaia non è la condizione migliore per promuovere cambiamenti. Del resto, per far cadere i regimi si sono pressoché sempre resi necessari interventi esterni. Giunti a questo punto, ci si chiederà: e allora, siamo condannati nei secoli dei secoli a lavorare per Casta politica e Cupola bancaria? Dovremmo solo sperare in una “liberazione” esterna dal loro giogo?

Premesso che i “liberatori” esterni si muovono solo dietro precisi interessi, rimane la speranza in una sorta di “resistenza”, stile partigiano, stile irakeno, stile afgano. Ma per farla occorre, appunto, l’aiuto esterno: prassi ben collaudata in tutti i movimenti di resistenza, in tutte le rivoluzioni. Resta da trovare chi abbia i mezzi e l’interesse a finanziare un simile sommovimento. Certo non i finanzieri della City e di Wall Street!

In tale attesa, l’unica risolutiva, non ci restano, ahinoi, che le armi ghandiane.

Armi siffatte possono avere efficacia come detonatore iniziale: un primo test potrebbe essere una valanga di schede bianche o nulle; chiaro messaggio di ripudio totale degli attuali scaldaseggi in Parlamento, che peraltro, a far la propaganda contro se stessi sono impegnati giornalmente. A seguire, il blocco lavorativo con serrate e scioperi autoproclamati (dimenticandosi dei sindacati ufficiali, ossequiosi dell’establishment), sul genere appena collaudato dei TIR, farebbe capire chi è veramente indispensabile alla vita della nazione e chi vive a scrocco sul lavoro altrui. Infine, un comitato di salute pubblica, costituito da rappresentanti delle varie categorie di lavoratori, che sieda in un Parlamento rinnovato sia nelle spese che nei programmi; e che rescinda ogni legame con la Cupola: un Parlamento che autorizzi l’emissione, senza interessi, della propria moneta, stampata dall’Istituto Poligrafico dello Stato, senza doverla prendere in pseudo-prestito da privati. La nostra moneta sappiamo stamparcela da soli!

Utopie, fantasie? Anche il sogno dei Rotschild, di far lavorare il mondo a proprio lucro attraverso la creazione di banche centrali private era un’utopia, una rivoluzione sui generis. Ogni rivoluzione è utopica prima, e reale poi, a prescindere dalla bontà dei fini. Senza di essa, rassegniamoci a vedere in TV per il resto dei loro e nostri giorni le solite facce che ci predicano le medesime bufale sul debito pubblico, sul servizio del debito, al ritmo di “pagare tutti (le tasse) per pagare meno”, quando l’ordine sarebbe da invertire in “pagare meno per pagare tutti” e pagarle per servizi pubblici, non per ingrassare politici e banchieri. L’economia non è così astrusa come vorrebbero farci credere. Ogni anno 70 miliardi dello Stato, cioè sudati da noi tutti, se ne vanno in tasse, per pagare gli interessi alla Cupola. Pensate cosa sarebbero, ad es. le ferrovie o il trasporto pubblico urbano, se solo parte di questo “tesorone” venisse utilizzato per il loro ammodernamento; o per la sanità; o per tutto ciò che viene lasciato andare in malora perché “mancano i fondi”: quei fondi che lo Stato italiano, libero dai lacci bancari, potrebbe autonomamente stamparsi.

__________________________________________________________________________

  Marco Giacinto Pellifroni                                       7 gennaio 2008

 

 (*) Citato in: M. Blondet, “Modesta proposta di rivoluzione (in USA)”, su http://effedieffe.com/interventizeta.php?id=2523&parametro=politica