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Quale Socialismo?
La pericolosità della vocazione maggioritaria

di Domenico Maglio

 

Quando qualcuno mi domanda, in modo del tutto legittimo, perché ricostruire un Partito Socialista dopo quello che è successo negli anni scorsi francamente rimango un po’ perplesso anche se le risposte potrebbero essere molte.
Resto perplesso non tanto per il pungolo, anche benevolmente provocatorio, insito nel quesito posto, ma spesso mi sorprendo per l’interlocutore che molte volte appartiene proprio a quella schiera di persone che dicono di voler voltare pagina costruendo qualcosa di nuovo senza peraltro comprendere che rappresentano proprio ciò che vorrebbero superare.

Qualcuno spero un giorno mi spieghi questa strana situazione.

Essere Socialista oggi non è così complicato come potrebbe sembrare, troppe sono ancora le ingiustizie sociali, le disuguaglianze, le prevaricazioni dei diritti di uomini e donne, e pur non essendo la loro risoluzione prerogativa unica del socialismo, non credo che una sola forza politica sia in grado di far fronte a tutto questo in modo autonomo, pur se animata dai migliori propositi e anche se ha una vocazione maggioritaria.

E a proposito di quest’ultimo tema vorrei ricordare ai più distratti che non si hanno notizie di nessun partito politico che non abbia questa vocazione, visto che anche il più piccolo vorrebbe avere consensi tali da governare in solitudine, ed è proprio per questo che si presenta alle elezioni.

Alle condizioni politiche attuali l’avere vocazione maggioritaria è senz’altro una legittima ambizione, ma bisogna nel contempo farsi una ragione del fatto che oggi significa restare seduti sui banchi dell’opposizione e non credo che tutto ciò porti a raggiungere alcun risultato.

Personalmente opterei per contribuire a formulare una programmazione condivisa e governare i processi di innovazione che sentirmi dire sempre di no in minoranza.

Esistono schieramenti ideologici e populisti sul fronte opposto al centrosinistra in grado di compattarsi con grande facilità grazie al collante dell’interesse, coalizioni immensamente più potenti sia economicamente che per possibilità mediatica di acquisizione di consenso, spesso inconscio ma numericamente determinante, per cui l’affermazione che da qualche giorno pare diventata la parola d’ordine della corsa in solitaria è da considerarsi distruttiva e deleteria.

Come non credo sarebbe più spiegabile, sia nel governo ma soprattutto negli Enti locali, la nascita di strani intrugli tra destra e sinistra.

Nei Comuni ma direi anche nelle Province il rapporto è più diretto, c’è sempre o quasi sempre un dialogo, c’è una conoscenza diretta degli amministratori per cui l‘appartenenza dei singoli a questo o quel partito o movimento è consolidata ed ogni altra opzione sarebbe letta come opportunistica e personale.

In realtà sarebbe opportuna una distinzione tra il governo dei comuni non metropolitani e il governo centrale, perché a volte le necessità di affrontare le problematiche di una piccola comunità devono essere risolte anche mettendo da parte ideologie di fondo.

Ma in linea generale io sono convinto che in Italia si possa governare stabilmente e con continuità ad ogni livello con un forte centro sinistra a condizione che questo schieramento sia in grado di ripensare globalmente se stesso, senza colpi di mano, senza esclusioni preventive e senza pregiudizi, autosufficienza e arroganza.

Questo vale per tutte le forze politiche che nel centro sinistra si riconoscono, nessuna esclusa.

 Ne sono talmente convinto che pur guardando con attenzione e senza sottovalutare ciò che succede dall’altra parte della barricata, a destra, si può maturare la certezza che il senso di responsabilità verso lo Stato e quindi verso tutti i cittadini alla fine sarà preponderante su ogni altra discussione.

Questo non significa però che il centro sinistra sia sempre e comunque vincente e non significa affatto che si debba necessariamente dare forma a coalizioni contro qualcuno, ma non significa neppure l’autolegittimazione e l’autonomina a guida indiscussa senza valutazioni preventive che portino a programmi condivisi e unitari.

Significa semplicemente non arrendersi all’evidenza di un trend che per il centro sinistra da segni di negatività, provando a ribaltarlo.

“..Chi ci sta….. ci sta…” è quindi un metodo sfrontato che non appartiene ad una sinistra democratica con ambizioni di governo ed è un pessimo modo di costruire un futuro paese, moderno, sbloccato dall’immobilismo che lo attanaglia in un abbraccio mortale per l’economia e per il benessere dei lavoratori e delle famiglie in generale.

Come ho già detto molte volte, credo che una sola forza politica non sia in grado di  avere consenso tale che gli permetta di governare in solitaria, e anche se lo fosse la storia mi insegna che avrei cocenti delusioni.

Non è quindi una strada praticabile in Italia.

Questo è stato il percorso di un tragico ventennio di inizio secolo, quindi non troppo distante ma è stata proprio la forza dirompente della democrazia ad affossarlo.

In realtà è anche vero che una coalizione dai presupposti ideologici molto vasti ha oggettive difficoltà nel prendere decisioni strutturali in tempi decenti.

Ecco perché credo che sia necessario all’Italia un grande Partito Socialista che rappresenti una sinistra moderna, un Partito moderno e innovatore, in grado di riprendere per mano insieme ad altri quell’Italia che ha contribuito a costruire.

“Insieme ad altri” …..sono queste le parole che danno il senso della responsabilità verso il paese.

E’ questa la risposta alla domanda che spesso mi viene rivolta.

Ma quale Socialismo? Quale Partito Socialista?

Non certo l’incontro del PSI e del PCI come li abbiamo conosciuti, sarebbe un’operazione fallimentare che troverebbe pochi consensi e che personalmente riterrei poco interessante e non utile a nessuno.

Neppure una formazione dove andare a ricercare la volontà di ritagliarsi un qualche spazio pubblico, non un ultima spiaggia dove raccogliere incarichi altrove negati, non lo spazio dove difendere rendite di posizione acquisite o viste in una prospettiva possibile.

Se così fosse sarebbe il Partito Socialista che da vita a un ben misero progetto non degno della sua storia.

Ma così non sarà.

E se anche così fosse io sarei il Capitano della rivolta.

Serve però uno scatto in avanti, serve dare un esempio a chi evangelizza il nuovo e non lo pratica, dimostrando che Socialista è chi ha il coraggio di rinnovare i propri quadri chiudendo una storia e aprendone un’altra, Socialista è chi si confronta sui contenuti e sui programmi, Socialista è chi si muove sempre restando nelle linee cardine del riformismo e del Socialismo Europeo cercando gradualmente di modificare la società.

Il Socialismo in cui credo viene quindi da lontano e trova le sue radici nella storia del movimento operaio, quel Socialismo nato dalle lotte sul lavoro che ci hanno consegnato lo Statuto dei Lavoratori, viene dal riformismo di Bernstein o dall’anarchismo di Proudhom, alle conquiste portate dalle rivendicazioni operaie, alla scelta del multilateralismo internazionale, un Socialismo innovatore, non minimalista alla caccia di qualche incarico qua e là, ma un Socialismo di governo, un Socialismo in grado di coniugare le esigenze della modernità con la tutela dei diritti degli uomini, dei lavoratori, che guarda al mondo dell’associazionismo e della cooperazione, un Socialismo liberale che faccia dell’eguaglianza il suo fattore portante, in grado di rendere tutti uguali di fronte alla giustizia, e che trovi nella laicità dello Stato lo svolgersi della giustizia sociale.

E’ intorno a questo perimetro che si svilupperà il Socialismo Italiano del nuovo secolo, qui dovrà ritrovare quella collocazione nella società che chiede decisioni rapide ma condivise e non prevaricatrici delle identità di nessuno.

Su queste basi quel centro sinistra di governo al quale si accennava in precedenza potrà rafforzarsi e dialogare, divenendo strutturale nella cultura politica della sinistra italiana.

DOMENICO MAGLIO