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Il Socialismo e il mondo del lavoro

di Domenico Maglio

 

Per provare a fare un ragionamento e qualche riflessione sul lavoro parto da una considerazione non demagogica, ma reale: ogni forza politica che si richiami al Socialismo non può prescindere dal farsi carico delle problematiche che investono e che sono intrinseche all’evoluzione che il mondo del lavoro ha subito da oltre un secolo.

Parlare di Socialismo significa parlare principalmente di lavoro perché con il lavoro è nato il Socialismo.

Ognuno può dire ciò che vuole ma così è scritto nella storia.

Vorrei fare una premessa : non mi sento onestamente di scrivere nulla né di affrontare una qualsiasi discussione sul lavoro minorile, sullo sfruttamento della mano d’opera di bambini costretti in tutto il mondo a fatiche inenarrabili per cucire i nostri palloni da calcio, le nostre scarpe firmate, i nostri pantaloni alla moda, perché mi vergogno profondamente di tutto questo.

Me ne vergogno perché come la maggior parte di noi che viviamo nell’occidente moderno, del benessere, in realtà facciamo poco o quasi nulla per attenuare tali sofferenze, ed io mi sento impotente e disarmato.

Detto questo, per affrontare un discorso sul mondo del lavoro e sui suoi problemi, lascerei perdere qui tutta la giurisprudenza al riguardo delle sue aspettative, delle sue conquiste e anche delle sue sconfitte, di tutto questo sono piene le biblioteche di tutto il mondo, inutile quindi aggiungere altro su ciò che è stato o su ciò che è oggi, sulle prospettive, sulle attese, vorrei quindi concentrami e porre all’attenzione di chi leggerà tutto questo un tema specifico, la sicurezza sul posto di lavoro.

E’ questo un tema che sento in modo particolare perché credo che non si possa più andare avanti così come stiamo facendo oggi, dove la corsa al profitto ha dimenticato le più elementari norme di comportamento civile e di rispetto verso chi presta la sua opera e la sua fatica per costruire strade, scuole, ospedali, e quant’altro utile e necessario al benessere sociale.

In effetti proprio su questo blog avevo già posto la questione all’attenzione dei lettori, ma vorrei tornarci su e per farlo partirei da un dato : ogni giorno ci sono morti sul lavoro, tutti i giorni, ogni santo giorno una famiglia si richiude nel suo lutto e nella sua disperazione, ogni giorno un figlio non rivedrà più suo padre.

Alcuni dicono che siamo giunti al capolinea al punto che i lavoratori dei vari cantieri stanno attaccando la poco invidiabile e tragica leadership dei marines americani impiegati nella guerra in Iraq.

E’ vero, il dato è inconfutabile, anche se deriva da statistiche riguardanti lavoratori regolari, assunti con contratti anche a termine, ma registrati, di tutti quelli che invece vengono sfruttati senza tutela alcuna, in nero come si dice, ovviamente non esistono tracce in queste classifiche per il semplice motivo che non esistono.

Il dato di paragone con uno status bellico possiamo dire con certezza che è però ottimistico, perché non bisogna dimenticare tutti gli altri gravi incidenti che pur non provocando la morte rendono invalidi permanenti altre migliaia di persone, uomini e donne indistintamente.

Morti sul lavoro che io considero eroi dell’Italia, combattenti caduti in una dura lotta per la loro emancipazione sociale e per la modernizzazione e lo sviluppo del nostro paese.

C’è però una differenza rispetto ad altri eroi italiani, ai quali deve andare il nostro rispetto, sia che siano giovani militari che operatori del volontariato, o giornalisti, andati o mandati a svolgere la loro opera sui teatri di guerra o di pace in ogni parte del mondo.

Ma i caduti sul lavoro nei cantieri sono un’altra cosa.

Le loro bare non sono mai avvolte nel tricolore, per loro non ci sono applausi nelle Chiese, per loro non si apprestano camere ardenti con picchetti d’onore, per loro non ci sono lutti di Stato, per loro non esistono psicologi che supportano a famiglia.

Eppure se assumiamo il metro aritmetico di paragone c’è da sottolineare che i lavoratori dei cantieri fanno un lavoro statisticamente persino più rischioso dei militari in missione nei teatri di guerra, e per parlare con il freddo linguaggio dei numeri basta fare un semplice conteggio, oppure collegarsi ad un qualsiasi sito sindacale, di destra o di sinistra, per verificare questa dolorosa realtà.

Il risultato che si potrà verificare racconta i numeri di una strage.

Cifre paragonabili appunto a quelle dei Marines caduti in Iraq, ma con la differenza che nei cantieri non si spara, non esplodono bombe, non ci sono infiltrazioni di kamikaze, ma semplicemente come ho detto sopra si lavora per realizzare case, uffici, ferrovie, strade, scuole, ospedali.

Si può morire in tanti modi in un cantiere, si cade, si può restare schiacciati sotto un croll, ci si ritrova con la testa fracassata da qualcosa che è caduto dal ponteggio superiore, si può restare folgorati.

O ancora si rimane schiacciati da un automezzo o da un caterpillar in manovra, o dal suo carico, o da una frana, stritolati da un’impastatrice e così via di seguito.

La morte sa essere molto fantasiosa in un ambiente che nasconde mille insidie, che il cinico e calcolato menefreghismo trasforma in pericolo immediato, situazione che lasciano molte probabilità all’avvenire della tragedia.

I caschi obbligatori sono molte volte un optional, le barriere protettive dei ponteggi sono costose e allora ci si barcamena alla bella e meglio con tavolette spesso sottili e usurate, le imbragature rappresentano merce rara e quasi mai a disposizione di tutti gli operai spediti a decine di metri di altezza.

Fate questo esercizio : quando passate in una strada e vedete che si sta allestendo un ponteggio, e non è difficile visto le numerose opere che sono in corso ovunque, alzate lo sguardo e guardate, non troverete mai nessuno assicurato con una cinghia di sicurezza.

Ma c’è anche un’altra cosa che incide fortemente sul profitto, sono le braccia e le mani degli uomini, braccia forti, mani spaccate dalla calce e dal freddo, braccia umane che costano, o meglio che costerebbero, e meglio quindi arruolarle all’alba nelle periferie delle grandi città, immigrati o disoccupati disposti a qualunque cosa, a qualunque caseificio, disponibili a spaccarsi la schiena per pochi euro all’ora.

Tutto in nero, tutto che costa poco, e il bello è che in realtà il settore che più di altri ha registrato una crescita economica e che ha fruttato grandi guadagni alle imprese è proprio il settore edile.

Però se i sindacati protestano per salari e sicurezza e il Ministro del Lavoro legifera per combattere il sommerso quasi tutti gli imprenditori cominciano a piangere miseria adducendo minacciose serrate definitive a seguito delle quali non ci sarà più niente per nessuno.

Per fortuna del nostro paese ci sono imprese che seguono altre strade e che rispettano le norme a partire proprio dalla sicurezza, ma questa virtuosità dovrebbe non essere neppure legiferata, dovrebbe essere parte integrante della mentalità imprenditoriale complessiva, sia dei grandi gruppi che dei piccoli artigiani, spesso ultimo anello di una catena di sub appalti verso i quali si dovrebbe mettere mano al più presto, con responsabilità precise che colpiscano il primo anello della catena e non solo l’ultimo.

Prolificano quindi i cantieri trappola che sono quelli dei sub appalti infiniti, con lavoratori a poco prezzo e senza diritti, immigrati certamente ma anche moltissimi italiani, quelli che non piantano grane per un casco e un’imbragatura, quelli che non si permettono né osano lamentarsi per la fatica alla dodicesima ora di lavoro, con il sole o con la pioggia.

Per combinazione quando ci scappa il morto o il ferito il cui incidente non è occultabile, per lo Stato risulta che quel ragazzo marocchino, siciliano, rumeno o bergamasco, era guarda caso al suo primo giorno di lavoro.

A quest’ultimo problema, e anche ad altri, il Ministro del Lavoro Damiano ha messo mano e ha fatto bene, si può migliorare? certo che si può, ma intanto cominciamo con questo.

“L’inesperienza” era la causa principale accampata in caso d incidenti dai nuovi schiavisti, questa la causa prima di quella stupida caduta da 30 metri di altezza.

E invece no.

Quello non era affatto il primo giorno di lavoro, è stato l’ultimo invece, l’ultimo per lui e per la sua famiglia che da quella obbligata condizione di irregolarità trovava il sostentamento per un vivere appena sufficiente.

Quello non era affatto “il primo giorno” di quel poveraccio, ma il suo solerte datore di lavoro appena saputo che quell’idiota era precipitato nel vuoto è corso a firmare tutti i moduli perla regolare assunzione di quell’operaio che da mesi lavorava invece come un fantasma.

Almeno questo con le nuove norme oggi non dovrebbe più succedere.

Ma succedeva anche di peggio, e c’è da sperare che non succeda ancora, quando i più delinquenti tentavano anche di cancellare l’evidenza degli incidenti, non sono rare le indagini giudiziarie che approdavano alla scoperta di un incidente stradale che in realtà nascondeva una caduta in cantiere.

E’ ovvio comunque che fare controlli in situazioni come queste o in contesti territoriali dei più agitati e complessi non è cosa semplice indipendentemente dalla carenza di ispettori e personale, ovvia la difficoltà sindacale di poter tutelare in un mondo così selvaggio il diritto di chi lavora, cercare di convocare una riunione di manovali o muratori in un’impresa significa ripercorre strade di tipo pionieristico che sembravano appartenere al passato, sembravano appartenere  ad una inciviltà che si pensava oramai alle spalle, assumersi la responsabilità sindacale in un cantiere può essere molto pericoloso, chi chiede di convocare qualche riunione si trova di fronte a sguardi minacciosi e denti stretti stampati su facce torve, questa non è fantasia, succede ogni giorno in Italia.

Bene la nuova legislazione approvata, è un primo passo nella direzione giusta, ma io chiedo : come si fa a stabilire delle responsabilità quando il vincitore di una gara d’appalto – il cosiddetto General Contractor - sub appalta al 100% l’opera? E come si fa a controllare i mille rivoli si altri sub appalti che nascono da questa cessione al 100%?

Non basterebbe tutto l’Esercito Italiano per controllare le migliaia di cantieri e sub cantieri che proliferano in questa ramificazione dilatata.

Non è forse meglio addossare le responsabilità , penali ed economiche,  completamente al General Contractor  imponendogli tutte le fasi del controllo?

In fin dei conti come ho detto in precedenza la maggior parte delle Imprese cercano in ogni modo di rispettare le regole e quindi non sarebbero certamente contrarie a tutto questo, sarebbe una sorta di auto controllo a vantaggio di tutti.

Il sistema degli appalti oggi parrebbe un sistema sfuggito da tempo ad ogni controllo, e non sarà semplice e immediato rimettere il tutto in carreggiata con delle normative appropriate

Nel frattempo non dobbiamo mai dimenticare che nei cantieri quando non si rischia di perdere la vita si rischia di perdere il posto.

 DOMENICO MAGLIO