SBUCCIARE LA CIPOLLA…FA PIANGERE
                                                     di Sergio Giuliani    versione stampabile


Gunter Grass

E’ finalmente apparso in traduzione italiana, dopo un anno e mezzo di fracassone polemiche, l’ultimo libro di Gunter Grass “Sbucciando la cipolla” (edizioni Einaudi). Non so spiegarmi i motivi di tanto ritardo. Altre volte, nella copiosa produzione di Grass, mi sono reso conto di quanto difficile fosse venire a capo del suo dire fantastico, favoloso,in un tedesco studiatissimo, da lettore onnivoro, da uomo di culture diverse (padre renano, madre e nonna (la nonna delle quattro gonne de “Il tamburo di latta”) casciube, nato a Danzica, cauchemar della seconda guerra mondiale, polacco occupato da tedeschi, scultore e grafico e probabilmente altro ancora)

Ma stavolta no! Il libro è un’asciutta biografia,senza più nessun cedimento alle metafore, alle allegorie geniali che sfuggono al lettore italiano se non ferrato in letteratura tedesca (dall’amato Grimmelshausen di “Simplicissimus” ai Grimm, nordici fabulatori, spesso incubosi)

Contano solo i nudi e neppure eccezionali “fatti”: un ragazzotto che cresce in una Danzica che ha tanto di uno shtetl ebraico, sapida di odori di cibo e di abitudini, in una famiglia normale, con impulsi normali e che, allo scoppio  della guerra, ha dodici anni, la passione per i libri e le figurine con riproduzioni di arte e per…gli U-Boote, tanto propagandati dal regime. Chiamato ai premilitari, rifiutato alla leva sommergibilisti, arruolato quando la situazione si fa caotica e il Reich è attanagliato dall’Armata Rossa e dagli Angloamericani, finisce arruolato nelle WaffenSS (combattenti, non inquisitori!) senza mai trovare un “fronte”, solo, perduto l’equipaggiamento, travolto dalle linee russe, rischia di esser fucilato dai nemici e giustiziato da tedeschi fanatizzati come disertore. La salvezza gli arriva dal cader prigioniero dell’esercito americano ormai di qua dall’Elba. Poi, vita d’artista in piena miseria ,scrittore del “Gruppo 47” (dove rinacque la letteratura tedesca bruciata dalla retorica nazista) e subito fortunato (ma con tante polemiche) col “Tamburo di latta” e via così, per moltissimi grandi romanzi e attraversando il Nobel (manco a dirlo,contestatissimo) nel 1999.

Mai Grass aveva trascurato di dirci che aveva militato nell’esercito nazista,in romanzi ed interviste. Solo che, questa volta, virata la boa degli ottant’anni, si chiede come mai e perché e se gli fosse stata possibile una scappatoia. Nel rimuginare su questo vuoto di assunzione di responsabilità, ha due parametri davanti a sé; un compagno di scuola che rifiuterà ostinato di portare le armi (“noinonfacciamodiquestecose”) e sarà inviato al lager di Stutthof e un suo coetaneo, compagno di prigionia, quindi combattente o quasi fino all’ultim’ora che medita di teologia e par si chiami….Joseph Ratzinger.

Non ha avuto, non ha colto l’occasione per “maturare”. In casa è stata anche sopita (dal padre tedesco inurbato in Danzica con simpatie per il Lebensraum) la morte dello zio casciubo-polacco all’inizio del conflitto.

Dove maturare, per un ragazzetto che a scuola e sui giornali ascolta e legge soltanto marionettate di regime?

E allora Scalfari che su “La Repubblica” definisce il libro come una confessione del “nazista” Grass, non ha capito che “sbucciare la cipolla” significa voler avviare, tra le lacrime di revulsione, quel processo mai davvero compiuto in Germania, di agnizione e di rielaborazione della colpa.

Da sempre Grass ha tuonato contro la compiacenza dei vincitori nel voler rimettere in piedi alla svelta uno stato tedesco senza mutar fondamenta né, spesso, neppure uomini compromessi, in funzione antirussa, contro i troppo generosi favori concessi all’economia tedesca che ben presto, con Adenauer e con Ehrardt, è ridiventata potente e attrattore consumista nei riguardi della Ddr.

Grass non ha mai smesso di tuonare contro questa oziosa cecità, questo non voler rivangare il passato prossimo. Faceva troppo comodo a tutti, e lo scrittore era un rompiscatole cocciuto.

Persino  i Nobel, a Boll prima, poi a Grass (a quando il terzo, alla grandissima Christa Wolf?) non sono piaciuti all’establishement tedesco. Per Boll, attento cronista dello stato d’animo della Germania battuta, si sono tirati in ballo certi distinguo che, al tempo del terrorismo e della Baader-Meinhof, andavano pur posti, in uno stato che vuol essere democratico, per Grass, le campagne elettorali a sostegno di Willy Brandt, come se tenerla per la SPD fosse grave colpa per uno scrittore e disonorasse la Germania all’estero e per la Wolf, addirittura, l’appartenenza alla Stasi! “Caro m’ è il sonno, e più l’esser di sasso…”

Sbucciamola anche noi, quindi, questa cipolla! Cerchiamo di capire l’ovvietà dell’assunto di Grass che ha vissuto “in tempi bui” e che, come gli uomini della caverna di Platone, s’è fermato alle ombre senza saper o volere voltarsi a vederne la causa. Truciolo nella corrente, testimone di un male immane e della volontà di portare a chiarezza il passato, di far grattar la rogna alla Germania tutta, non gli si è perdonato nemmeno di aver visto nella precipitosa “unione” del 1989, un affrettaro e capitalistico affare.

Sbucciare la cipolla è smontarla, finirne l’entropia senza arrivare a solidità. Ci vuol coraggio per un percorso simile che ci insegna che la vera forza dei totalitarismi è nell’occupazione dei canali dell’informazione e della formazione e nelle propagande che non possono non legare, in qualche modo, un ragazzo.

Ancora una volta, la  letteratura non è un vezzo, ma un’inchiesta sul vivere sociale e sui rapporti tra società e persona.

       Sergio Giuliani