19 novembre 2007  IL SECOLOXIX
L'assalto della mafia in Liguria

Ferruccio Sansa
Due pagine dedicate alla Liguria. Purtroppo però non stiamo parlando di una guida turistica, ma del rapporto della Dia, la Direzione investigativa antimafia. Il messaggio è chiaro: in Liguria ci sono evidenti infiltrazioni di associazioni mafiose (del resto la notizia stupisce fino a un certo punto, perché il 59,49 per cento delle segnalazioni giunte alla Dia provengono dal Nord Italia). La 'ndrangheta, soprattutto, ma anche Cosa nostra, camorra e Sacra corona unita. Le province più interessate sarebbero Genova e Imperia.

La Dia parla tra l'altro di stupefacenti, di prostituzione. Ma punta anche il dito su un settore "pulito", quello dell'edilizia. E non è un allarme da poco in una regione dove cemento e ruspe nei prossimi anni lavoreranno molto.

Ormai le denunce si ripetono e non potranno più cadere nel vuoto. Il rapporto della Dia non è un caso isolato. Anche il pm Anna Canepa - che è stata a lungo impegnata nell'Antimafia, prima in Sicilia e poi in Liguria - ha lanciato un messaggio che non può essere ignorato: «C'è il coinvolgimento diretto dei protagonisti», spiega il pm. In pratica a Genova sono attive Cosa Nostra (affiliata al clan Madonia) e la Camorra. La 'Ndrangheta è arrivata al Ponente dopo la guerra per la floricoltura e i cantieri autostradali. La criminalità calabrese in Liguria è radicata e ben strutturata e ruota intorno a quattro locali di riferimento: a Genova, Lavagna, Sarzana e Ventimiglia (dove si coordinano presenze, transiti e arrivi). Genova e Ventimiglia sono anche i porti da cui arriva la cocaina colombiana; ma il business riguarda inoltre il falso e le case da gioco.

Ma la Liguria è luogo ideale anche per riciclare il denaro sporco. Per compiere interventi speculativi soprattutto negli immobili e negli approdi turistici che stanno fiorendo un po' ovunque.

No, è un allarme che non si può sottovalutare come ricorda un magistrato dell'esperienza di Anna Canepa: «Non si tratta di collegamenti occasionali, il pericolo per la comunità esiste. Le vicende di cui sono stati coinvolti gli amministratori di alcune cittadine stanno evidenziando il sopravvenire di gruppi imprenditoriali-politico-affaristici inclini ad abusare del potere pubblico».

Un omicidio e un tentato omicidio. Secondo la Dia, la criminalità organizzata in Liguria ormai compie anche delitti di sangue. Ammazza. La Direzione Investigativa Antimafia indica in particolare due casi: l'omicidio di Giuseppe Alessi, avvenuto il 20 aprile scorso. Scrivono gli investigatori: «Alessi era ritenuto esponente di spicco fino agli inizi degli anni Novanta del sodalizio criminale "Avignone-Alessi-Giovinazzo", operante nel genovese, in stretto rapporto con le famiglie di origine, e dedito al traffico degli stupefacenti». C'è poi il «tentato omicidio ai danni di Francesco Dell'Aquila, ex campione di pugilato, di cui, nel marzo 2007, è stato catturato uno dei presunti responsabili. Un gruppo attivo nella provincia di Imperia è la famiglia De Marte, con influenza in Diano Marina, recentemente emerso nelle cronache giudiziarie per effetto di due distinte attività di polizia, svolte nel 2005 e nel 2007».

Insomma, le mafie, tutte, in Liguria adesso escono anche allo scoperto. Restano poi le attività meno clamorose: «A Genova, si rilevano presenze di soggetti correlati alla famiglia Macrì, proveniente da Mammola (Reggio Calabria), insediatasi nella zona di Rivarolo, quartiere del ponente di Genova, dall'inizio degli anni '90, i quali hanno gestito, nel tempo, diversi locali pubblici ed evidenziato significative capacità nel traffico di stupefacenti e nella gestione del gioco d'azzardo. In data 14.04.2007 - aggiunge la Dia - personale dell'Arma dei Carabinieri eseguiva otto ordinanze di custodia cautelare nell'ambito della "Operazione Karisma 90" a seguito delle indagini su un attentato, compiuto a colpi di pistola e di fucile, contro una pizzeria gestita da un soggetto calabrese. Il sodalizio criminale, attraverso estorsioni, intimidazioni e minacce, si era appropriato della gestione di un noto locale di intrattenimento».

Genova, ma non solo. Ed ecco riemergere quei reati odiosi che sono segno di radicamento della mafia e di decadenza del tessuto sociale: «Alla Spezia - scrive la Dia - nel mese di maggio 2007, veniva eseguito l'arresto, in flagranza di reato, di quattro soggetti di origine calabrese». Il reato? Estorsione. Leggi "pizzo". Per fortuna le vittime si ribellano ancora e denunciano i loro estorsori. Ma a rivelare una presenza sempre più massiccia della 'ndrangheta anche a Levante è, nel febbraio 2007, la cattura di «tre latitanti, appartenenti alle famiglie Favasuli-Morabito organicamente inserite nelle cosche "Palamara-Favasuli-Morabito" e "Speranza-Palamara-Scriva", entrambe operative nella Locride. I latitanti erano nascosti in località Luni Mare e sono stati localizzati nell'ambito di un'operazione congiunta dei Carabinieri della Spezia e di Reggio Calabria. I tre avevano trovato valido sostegno logistico da parte di altro gruppo criminale calabrese, collegato al clan Alvaro di Sinopoli (Reggio Calabria)».

Gli investigatori da anni lo ripetono: le mafie sono come i virus capaci di trasformarsi in continuazione. Capaci di sfruttare a proprio vantaggio la globalizzazione: la collaborazione tra mafie italiane e tra queste e quelle straniere (escludendo la criminalità cinese e nigeriana che sono strutture chiuse) si fonda su un coordinamento di azioni criminose, con una divisione di settori di attività e ruoli di "direzione" e "esecuzione". Anche in Liguria la divisione territoriale è venuta meno, diversi sodalizi criminosi coinvolgono appartenenze ad organizzazioni mafiose diverse ed etnie diverse.

Gli investigatori e gli inquirenti impegnati nella lotta alla mafia sottolineano un punto: «La mafia si radica in profondità quando comincia a reinvestire sul territorio i proventi dei reati». È appunto il caso della Liguria, dove «soprattutto tra Savona e Imperia» sono stati registrati diversi casi di imprese vicine ad ambienti mafiosi che hanno realizzato importanti progetti (anche con appalti pubblici). Oppure dove «società finanziarie molto sospette hanno acquistato decine di immobili approfittando dell'attività edilizia fiorente». Gli investigatori starebbero vagliando l'effettiva esistenza di permeabilità con alcune aree del mondo imprenditoriale e politico.

Di sicuro gli investigatori invitano alla massima attenzione. I casi allarmanti non mancano. È del giugno scorso la notizia del sequestro di una società calabrese da parte della Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Reggio Calabria che sta indagando sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nei lavori per la costruzione della Salerno-Reggio. Ma ecco la sorpresa: proprio quella società (già sequestrata per la stessa ragione nel 1998), nonostante interrogazioni in consiglio comunale, lettere ai sindaci, ha continuato a vincere appalti pubblici nella nostra regione. Gli ultimi casi sono quelli dei "pennelli" (moli frangiflutti) a Cogoleto e Celle. «Abbiamo utilizzato "tout-venant" (materiale roccioso, grande fino a 25 centimetri , estratto dalle cave, ndr) come previsto dai capitolati d'appalto», assicurano i responsabili del cantiere. Ma consiglieri comunali e cittadini sostengono che si possa trattare di terra, sabbia o chissà cos'altro. «I moli - sostiene Francesco Biamonti, consigliere comunale di Cogoleto - rischiano di disfarsi». Ma non solo: materiali diversi significano variazioni di costo di decine di migliaia di euro uscite dalle casse dei Comuni. La Dia sta valutando gli appalti liguri per capire se tutto è andato come scritto sulle carte.