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Sulle macerie di Piaggio & Ghigliazza

di Marco Giacinto Pellifroni

 

La puntata di Report e il pezzo di Gloria Bardi su Trucioli di domenica scorsa mi hanno spinto a tornare su un argomento così cruciale per i finalesi come il destino urbanistico delle future aree dismesse di Piaggio e Ghigliazza.

Sembra ormai appurato che i c.d. “immobiliaristi” tendano solo a far lavorare i propri macchinari di scavi e costruzioni a prescindere dall’utilità dei prodotti finali. Report ha mostrato che Milano si sta costellando di parcheggi sotterranei anche se quelli attuali stentano ad essere venduti o comunque utilizzati. Idem per le schiere di palazzoni che chiunque entri in città vede in continua edificazione ai bordi di una periferia in ininterrotta espansione. Tutto questo mentre negli USA crescono i quartieri fantasma che non riescono ad attirare un solo cliente, avendo l’offerta di gran lunga superato la domanda; il che si traduce nella cancellazione pressoché totale delle domande di licenze edilizie e persino nella sospensione di edifici in via di ultimazione.

Da noi invece i costruttori ostentano una fede incrollabile in un mercato immobiliare infinito, con un credito al consumo illimitato e gli italiani disposti a indebitarsi fino all’ultimo giorno di vita (con mutui cinquantennali!) pur di comprarsi la casa. Se questi ultimi si sono pienamente calati nella febbre debitoria che contraddistingue questo inizio millennio, i cementificatori sono fermi alla febbre edilizia degli anni ’60 e ‘70, quando la Lega Ecologica Finarese combatteva la sua solitaria battaglia contro i primi assalti al suo territorio.

In questi 40 anni non è che l’Italia abbia vissuto un boom demografico, anzi. Saremo aumentati, diciamo, di un 10% o forse meno. Sarebbe interessante avere le cifre dei metri quadrati in più che si sono da allora aggiunti al patrimonio edilizio esistente. Non credo di essere un temerario se azzardo crescite percentuali a 3 cifre, per le grandi città, e suoi multipli in molti paesi a vocazione turistica, a causa delle seconde case. Insomma, nel giro di un paio di generazioni, sembra che le case preesistenti i vecchi se le siano portate nella tomba, ovvero che non sia mai morto nessuno, costringendo figli e nipoti a costruirne di nuove.

Detto questo, come premessa alla follia di due nuovi maxi-insediamenti sulle macerie di Piaggio e Ghigliazza, vorrei soffermarmi disgiuntamente sull’uno e sull’altro caso, lasciando Ghigliazza ad un futuro intervento, per ragioni di spazio.

Caso Piaggio.

Il Comune di Finale appare soggetto ad un ricatto, se non ad una patente estorsione: o ci concedi l’edificabilità o ce ne andiamo in quel di Napoli, lasciando disoccupati trecento tuoi residenti. Un’edificabilità che, nei conti della Piaggio, permetterebbe un ritorno di 100 milioni di euro (o forse più?), ossia quanto serve per costruire a Villanova d’Albenga un nuovo stabilimento più consono alle esigenze aziendali. In caso di diniego, la Piaggio si trasferirebbe in Campania, dove, a quanto essa stessa riferisce, l’accoglierebbero a braccia aperte. Braccia aperte significa che i suddetti 100 milioni rappresenterebbero il compenso per la creazione di centinaia di posti di lavoro. E soltanto un ente pubblico potrebbe avere interesse a un simile “bonus”: quindi, soldi pubblici.

Qualcuno s’è preso la briga di verificare che questo non sia un mero bluff? Qualcuno ha appurato quale sarebbe la fonte di questo sostanzioso sussidio, ammesso che corrisponda a realtà? Infatti, se fosse solo un bluff per scroccare al Comune di Finale l’edificabilità, e quindi i 100 milioni, che altro non sono che il prezzo posto a carico dei cittadini finalesi, presenti e futuri, sarebbe facile sbugiardare la Piaggio e negarle l’agognata concessione. Se invece l’asserzione corrispondesse a verità, ci sarebbe da chiedersi perché un ente pubblico, Regione o Stato che sia, decida di finanziare in toto un progetto esclusivamente privato, secondo la solita e ben collaudata formula di socializzare le passività e privatizzare i profitti. Secondo, e non meno importante, non si vede perché un ente pubblico privilegi lavoratori italiani di un’area (Napoli) a scapito di lavoratori italiani di un’altra area (Finale), in un’impari concorrenza tra un insediamento gratuito e un altro a carico dell’impresa. Simili logiche, se possono valere nel privato, non sono assolutamente ammissibili quando si tratta di denaro pubblico. Non si buttano sul lastrico centinaia di lavoratori liguri per impiegare altrettanti lavoratori campani. O la legge non è uguale per tutti? Non può riconoscersi dignità pubblica a un ineguale baratto che vede da una parte l’erogazione di un finanziamento pubblico a fondo perduto, e dall’altro la costrizione a far pagare alla collettività il medesimo conto in metri quadri di superficie comunale, sinora utilizzati per produrre in loco lavoro e quindi salari/stipendi, e in prospettiva destinati ad accogliere alloggi ad esclusivo vantaggio della speculazione edilizia, in quanto prevalentemente seconde case di non residenti.

A tutto quanto sopra va aggiunta un’altrettanto fondamentale considerazione: ma dove sta scritto che un’azienda privata si faccia sovvenzionare, in forma diretta o indiretta, i propri progetti di delocalizzazione con fondi pubblici? Gli enti pubblici che sopravvivranno all’attuale tsunami privatizzatore limiteranno dunque la propria funzione a finanziare coi nostri soldi, col nostro territorio, colla nostra salute, il business privato? Magari sotto il ricatto dei managers di delocalizzare gli stabilimenti in zone franche, nel Meridione o all’Est, per poi buttarsi in giochi di borsa, derivati e collaterali, in barba ai piccoli azionisti e risparmiatori, anziché di produrre beni materiali made in Italy? Per quanto ancora dovremo assistere allo spettacolo di enti pubblici che, anziché svolgere funzioni di programmazione del territorio, si limitano ad inseguire i piani di “sviluppo” di privati che, in quanto tali, non fanno che i propri interessi, a prescindere da quelli della cittadinanza?

In conclusione: se io fossi il sindaco di Finale, avvierei un’indagine mirata ad appurare la veridicità dei finanziamenti a fondo perduto di cui la Piaggio godrebbe in un eventuale trasloco in Campania. Qualora la notizia fosse fondata, mi avvarrei della consulenza di uno studio legale all’altezza dell’incarico, per verificare se esistano gli estremi di un ricorso ai massimi livelli della magistratura: Consiglio di Stato, Consulta, o l’organo più adatto a sentenziare in casi di questo genere, al fine di rendere Napoli e Villanova due opzioni finanziariamente a pari merito. A quel punto si avrebbero: a Finale centinaia di lavoratori già esperti e reali, che verrebbero privati del sostentamento; e a Napoli altrettante centinaia di lavoratori tirocinanti e virtuali, non identificabili se non statisticamente. In ambedue i casi cadrebbe il ricatto sull’edificabilità delle aree dismesse, poiché i fondi  per il trasferimento, qualora concessi, proverrebbero comunque da fonte pubblica; o, in caso di affermazione mendace sulla gratuità dei fondi in Campania, non esisterebbero proprio, e la Piaggio dovrebbe provvedere alle spese di trasferimento e costruzione di un nuovo stabilimento, ovunque fosse locato, esclusivamente in proprio, come sarebbe più giusto e normale.

 Marco Giacinto Pellifroni                     25 novembre 2007