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UOMINI E BESTIE

8: Prospezioni dell’immaginario

 

I Giganti

Quarta parte

 

Gigantum catalogus 1

 

Nella scheda prec. abbiamo incontrato, presso il testo pindarico (Nem. IV 27), i nomi di due Giganti.

ALCIONEO, eliminato da Ercole o sepolto sotto il Vesuvio.

PORFIRIONE, il re dei Giganti, ucciso dal fulmine di Zeus e dalle frecce di Ercole perché aveva tentato di violentare Era o di svellere Delo.

Altri nomi, da fonti posteriori.

CLIZIO, eliminato da Ecate colle sue torce o da Efesto con proiettili di metallo ardente (PSAP. I 37 = tradotto nella seconda parte).

EFIALTE E IL FRATELLO OTO, figli di Ifimedia e di Posidone, altrimenti del marito legittimo d’Ifimedia, Aloeo, onde son detti gli Aloidi, volevano accatastare il Pelio sull’Ossa e sull’Olimpo per assalire il Cielo, ma furono saettati da Apollo: si tratta dunque di una sorta di Gigantomachia secondaria, in origine indipendente da quella piú nota (HOM. Od. XI 305 e il testo di Manilio che segue tradotto).

 

E dopo ha il suo sacrario il cosmo, là dove vittoriosa assolto
il sacro rito splende l’Ara, dal tempo che Terra furibonda
contro il Cielo partorí i Giganti. Allora pur gli dèi invocarono
dèi piú potenti, dubitò Giove stesso
temendo non potere quel che pur poteva quando sorgere vide
la terra, ché parvegli sossopra tutta la Natura,
e monti sopra altri monti accatastati crescere
e le stelle andar fuggendo le ormai prossime vette
e contro sé portare l’armi i figli dal volto deforme
e il misto corpo nati dalla squarciata Madre Terra.
Né ancora agli dèi era noto chi potesse recar loro morte né se
forze vi fossero delle loro piú gagliarde. Allora pose in cielo Giove
gli astri dell’Ara, che ancor oggi piú d’ogn’altro segno fulge luminosa

(MAN. I 420-432)

 

“Dopo” la costellazione del Centauro viene l’Ara:

 

 

 L’Ara, ascensione retta 17h39’, declinazione -53°58’, visibile fra 22° di LS e 43° di LN da novembre a gennaio, è individuata da sei stelle fondamentali (beta, alfa, zeta, delta, epsilon, mu), di cui la piú luminosa (beta, a NE) presenta una M di 2,85. Identificata quale una tavola liturgica già dai Babilonesi, in epoca moderna divenne per i Cristiani anche l’altare del sacrificio di Noè scampato al diluvio o su cui Abramo doveva uccidere Isacco.

 

che fu collocata da Zeus nel firmamento, quando i Giganti diedero la scalata al Cielo, perché tutti gli dei compissero su di essa “il sacro rito”, ossia giurassero il loro impegno di battaglia, come verrà chiarito oltre (V 341 sqq.; secondo schol. AR. phaen. 436 si tratterebbe invece dell’altare delle nozze di Peleo e di Teti); è detta “vittoriosa” con prolessi narratologica e, al pari di tutte le are, individua colla sua presenza uno spazio cultuale, un “sacrario”. L’assalto è descritto da Ovidio (infra) e da Virgilio (geor. I 280 sqq.), i quali fanno entrambi il nome dei tre monti tessalici poggiati l’uno sull’altro dai Giganti: il Pelio, l’Ossa e l’Olimpo:

 

 

 L’Olimpo, l’Ossa e il Pelio accatastati dai Giganti per scalare il Cielo

 

Lievemente diversa la versione di Omero, Od. XI 305 sqq.); Virgilio però attribuisce il tentativo ad Oto e ad Efialte, appunto. La Terra è “furibonda” contro i Celesti a causa del trattamento da loro riservato ai Titani suoi figli (come già chiarito nella seconda scheda). Ovviamente, per quel che riguarda la nascita dei Giganti l’estratto presenta una variante mitica, per altro pure ovidiana, della narrazione esiodea (scheda seconda). Il “misto corpo” allude alla favola tarda delle gambe di serpente e il “volto deforme” alla loro natura mostruosa, codificata nell’iconologia pergamena, come si vedrà a suo tempo. Ora un’osservazione testuale: il v. 430 è corrotto, i codd. potiores (G, L, N) recano necdum hostiferum sibi quemquam numina norant, metricamente e grammaticalmente inaccettabile: seguo il testo congetturale dell’ed. teubneriana di Gold (1985). Poiché la stella piú luminosa dell’Ara non supera la terza magnitudine apparente, come spiega la didascalia della figura qui sopra, non si capisce bene perché Manilio scriva (v. 432) ch’essa “ancor oggi piú d’ogn’altro segno fulge luminosa” se si resta alla lettera del testo, ma tutto diventa súbito chiaro se ci si sposta sul piano della simbologia propagandistica: si tratta dell’Ara Maxima Herculis Invicti nel Foro Boario, presso l’attuale chiesa di S. Maria in Cosmedin, segnacolo del predominio di Roma. Ed ecco i due testi ovidiani.

 

E perché neppure l’alto cielo piú sicuro fosse della Terra,
i Giganti si racconta che aggredissero il reame dei Superni
e monti accumulassero levandoli sino alle stelle eccelse,
ma allora il padre onnipotente squarciò vibrato un fulmine
l’Olimpo e scosse dall’Ossa su cui gravava il Pelio.
Quando travolti dalla maceria della loro impresa giacquero morti al suolo i corpi orrendi,
la Terra intrisa del fiume che sgorgava dalle vene dei figli
si dice che grondasse e offrisse calore e vita al sangue,
e per serbare almeno un ricordo della sua progenie
gli desse forma d’uomini. Ma pure quella stirpe
fu spregiatrice dei Celesti e bramosa di spietata
strage e violenta, né ciò meravigli ché vennero dal sangue.

met. I 151-62

 

Terra generò figli oltraggiosi, mostri immani,
i Giganti, che ardissero attaccare la dimora di Giove.
Mille braccia diede loro e serpi per gambe
e disse: “Portate assalto ai grandi dei”.
E già s’accingevano ad accumular montagne sino alle piú alte stelle
ed a sfidare in guerra il grande Giove,
ma dalla rocca del cielo egli drizzò i suoi fulmini
e rovesciò su chi l’aveva congegnato il mucchio immane.

fast. V 34-41

 

Ovidio dice “Neppure” (met. I 151) dato che prima (128 sqq.) aveva descritto le condizioni di barbarie in cui versavano tutti i paesi della terra durante l’Età del ferro. È un’antropogonia, forse di tradizione orfica, certo un’estensione recente, che potrebbe esser stata suggerita dall’Alessandra di Licofrone (1356 sqq.), in cui sono i Liguri che nascono dal sangue dei Giganti, se cosí va inteso

 

 

Il dettaglio delle mille braccia (fast. V 35) è altrove ignoto: in HES. theog. 150 sono gli Ecatonchiri o Centimani ad avere non mille bensí, come dice il loro nome, cento braccia.

 

MISERRIMUS