pierfranco pellizzetti
Nella confusione di questi nostri anni travagliati, a volte
l'intuizione folgorante di un artista dello spettacolo aiuta
a cogliere il punto nodale più e meglio di tante analisi
sociologiche. Ad esempio, l'oracolare Franco Battiato, che
l'altra settimana lasciava cadere sulle pagine dell'Espresso
un "mai detto" che fa davvero riflettere: «Non penso ai
giovani: i giovani ormai sono fottuti, dobbiamo pensare a
salvare i bambini».
Detto in altro modo: qui continuiamo a perderci intere
generazioni. Una sorta di genocidio politico e sociale che,
nei fatti, rende impraticabile il rituale "largo ai
giovani", ripetuto tutte le volte in cui si vorrebbe
indicare una via di fuga dall'evidente inadeguatezza della
nostra classe dirigente. Quando commentiamo il fatto - tra
il drammatico e il grottesco - che, messi insieme, il primo
ministro e il boss dell'opposizione assommano la bellezza di
140 anni. Per poi constatare che sui i rami della nostra
società non sono in maturazione i frutti del ricambio.
Qualcosa indubbiamente si è rotto nei processi di formazione
e selezione. Sicché a Battiato fa eco un ventiduenne, il vj
di Mtv Carlo Pastore, parlando dei propri coetanei con
disincantata brutalità: «Una generazione conservatrice,
immobilista, incapace di agire e affrontare il proprio
tempo, spesso impegnata a costruire su Internet un mondo
migliore di quello vero, abituata alle trasgressioni,
consumatrice quotidiana di alcol e droghe, fondata su una
manciata di libertà acquisite nel passato». E se lo dice
lui...
Il problema è capire come mai i nostri giovani siano
diventati quel gruppo sociale in parcheggio permanente,
destinato a transitare senza soluzione di continuità da una
inconcludente stagione verde all'impotente grigiore della
vecchiaia, senza conoscere l'età dell'impegno e della
responsabilità.
Il fatto è che il passaggio dalle potenzialità all'uso
consapevole delle proprie risorse va appreso. Insomma,
bisogna imparare a essere giovani. A partire dal pensarsi
tali.
Fate una prova: rivolgetevi a ragazzini volonterosi (quelli
che rifiutano di identificarsi nell'apatia come inconscia
difesa: il rifiuto che nasce dal timore di uscire dalla
bambagia per misurarsi con il mondo "di fuori")
coinvolgendoli in qualche discussione impegnativa, magari
che riguarda il loro stesso futuro. La prima reazione sarà
conformista. Un tempo avrebbero ripetuto i luoghi comuni
ascoltati a casa, oggi le verità inculcate dall'universo
mediatico. Sempre riflessi condizionati. Perché pensare
autonomamente fuori dagli schemi è il risultato di un lungo
esercizio. A partire dalla scoperta di poterlo fare.
Appunto, giovani si diventa, non si è.
Ma quanto li aiutiamo a raggiungere questo stato mentale?
Quando già alle riunioni scolastiche dei genitori l'unica
ansia che la fa da padrona è quella di giustificare i propri
figli per assolvere se stessi. Quegli stessi che - magari -
si premurano di trasmettergli via sms la soluzione del
compito in classe; fregando in primo luogo proprio i
ragazzi, cui accreditano il principio che la furbizia è
meglio della fatica.
Nel lontano 1963 aveva capito tutto un altro uomo di
spettacolo - Dino Risi - che in un episodio del suo film "I
mostri" mette in scena il padre Ugo Tognazzi mentre insegna
al proprio bambino come non fare la coda e fregarsene del
prossimo: lo storia termina anni dopo con la notizia
giornalistica del parricidio consumato da quel figlio così
ben istruito. Ora lo conferma il giovanissimo Pastore: «Se
un ragazzo incendia una scuola, il genitore si preoccupa,
prima di sculacciare il figlio, di accusare il sistema
scolastico». Lo stesso vale per chi la allaga, come al
Leonardo da Vinci si Genova?
Quarantenni in cerca di scuse e inadeguati al ruolo o
trentenni lampadati, madri e padri affetti da sindrome di
Peter Pan, potranno tutti prendersela coi sessantenni che -
nei fatti - si guardano bene dal favorire il ricambio perché
imbullonati alle loro poltrone. Ma nella corsa a rimpallarsi
le responsabilità resta inevaso il problema di Battiato:
perdendo l'ennesima generazione stiamo dissipando un bene
prezioso per l'intera società. Sempre a rischio, fin
dall'inizio. Lo diceva ancora un grande dello spettacolo,
Jacques Brel (forse il più importante cantautore di lingua
francese): «Non rimpiango affatto il tempo dell'infanzia
perché credo lo si possa sopportare solo una volta».
Pierfranco Pellizzetti è opinionista di micromega
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