Ritorna l’8 settembre…
 
                                     di Sergio Giuliani       versione stampabile

8 settembre, armistizio ...a ricordare ogni anno, a chi non è distratto ed ha buona memoria o buone letture, quale assurda e sanguinosa tragedia accompagni il dissolversi del legame democratico e la cieca ed arrogante fiducia nel totalitarismo.

In una delle prime pagine del mio primo libro di scuola, mi si invitava a non pensare, a dormire tranquillo: tanto c’era “lui” sempre insonne ed occupato a risolvere problemi per tutti. Si diceva anche che nello studio di Palazzo Venezia non si spegnesse mai la luce proprio perché “lui” lavorava.

                  Dopolavoro, treni popolari, canzonette o baldanzose o di innamorati cretini e balbuzienti (Ba ba baciami piccina con la bo bo bocca piccolina..). Pace sociale assoluta e guerra sentita (almeno fino ad El Alamein) come qualcosa di lontano e che si sarebbe risolta presto con l’immancabile vittoria (“..l’ha detto lui”!) rendevano la vita frizzante e piena di films dei “telefoni bianchi”. Cantavamo, con Alida Valli,”Ma l’amore no!” e non avevamo ancora imparato “Lilì Marlen” col suo passo chiodato, cadenzato e disperato e “Vento”, metafora di quanto stava per “ portarci via” e che sembrò, poi, prevedere il futuro (“..e senza alcun rimpianto/voglio scordarmi un  tradimento.”)

                       I giovani partivano per l’Africa, ma era per portarci Faccetta Nera o per prendere in giro quel geneticamente inferiore di Bilbolbul. Ma il signor Bonaventura guadagnava ogni settimana “un milione”, anche se il bollettino sommessamente diceva, in coda, dopo aver gracchiato di Tripoli riacquistata, a cadenza giornaliera o quasi: “Un nostro sommergibile non è tornato alla base.”

                       ’8 settembre si seppe dell’armistizio ed il popolo italiano, reso “gente” da un solo giornale autorizzato, da un solo partito, dalla censura sui libri e sulla posta e da una propaganda audiovisiva sorprendente per efficacia e, perché no?, per qualità (tutti quei registi ce li siamo ritrovati, appena reimbiancati, nel cinema postresistenziale) ammutolì, non capì, non seppe che fare. Non aveva idee, né poteva averle: aveva solo bisogni: fame (sulle spiagge si bolliva l’acqua di mare per farne sale,merce di scambio col prossimo Piemonte) freddo (si tagliarono i rami dei platani di corso Ricci per riscaldamento), disagi (i sinistrati vivevano praticamente in strada, salvo recarsi due volte al dì alla mensa di Piazza Mentana).

                      Crollarono tutte le “patrie”. Quella di Mussolini, sconfitto duramente in una guerra che aveva voluto pur conoscendo l’impreparazione del nostro apparato militare (non c’era carburante che per pochi mesi: aerei al suolo e flotta agli ormeggi!), quella del re che scappò in zona liberata dagli alleati (e c’è ancora qualche revisionista che dice che era indispensabile agire così per salvare la…monarchia!), quella prefascista-liberale, vecchia e miope, ora più che allora quando aveva aperto le porte ai fascisti.Tutte sconfitte e tutti sconfitti ,a guardare il cielo, a chiedere qualche lume a radio Londra, ad aver subito paura perché fummo occupati dai tedeschi. Ricordo una divisione che sfila per ore ed ore dalla Francia, ricordo il mio vicino di casa che cambia l’uniforme di carabiniere col grigioverde saloino, ricordo il giovane Alvarado che dice ad Alberto (poi partigiano) “Mi arruolo con l’esercito di Salò”

                      Tutte le patrie, meno due. A Cefalonia, a Lero ed altrove l’esercito italiano, lasciato all’oscuro di ogni evento e senza disposizioni se non inutilmente generiche (i “capi” romani erano tutti fuggiti!) seppe reagire alla tracotanza ed al “tradimento” (questo sì, e verso la nostra nazione!) dei tedeschi che li trucidarono in massa. Ma di questo si è saputo molto, molto dopo, a repubblica quasi matura. Quei giovani, massacrati a decine di migliaia, si sono sentiti dare del traditore ed hanno invece riaperto la strada sanguinosa per la nostra recuperata dignità. L’altra patria la conosciamo meglio: è quella della rete, scarna ma attiva, degli antifascisti scampati alle persecuzioni e dei giovani e degli operai (ma non soltanto: le quattro giornate di Napoli sono, al meglio, una rivolta popolare) che capirono di colpo, al fronte o per informazioni clandestine, quale colossale imbroglio  (vero,”convertito” Montanelli  & c.?) era stato fatto loro e quante colpevoli illusioni diffuse a piene mani.

                      Fu così, con tanto sangue e con un duro prender coscienza, che l’Italia si riscosse e non finì colonizzata dai vincitori. Tanto sangue e di pochi uomini veri!

                      Teniamo, quindi, d’acconto degli strumenti democratici, invece di vociare in piazza ad ogni proclama sconsiderato ed aggressivo. Lavoriamo alla politica pensando non ai vantaggi della nostra fazione o gruppo di interessi, non al nostro giardino, ma a riempire i granai.

                      I problemi sono seri e si fanno sempre più seri. Lavoriamo per risolverli con impostazioni logiche e non di parte, sperando che la logica informata faccia da attrattore per tutte le persone riflessive.

                     Siamo caduti più di sessant’anni fa nel pozzo senza fondo del caos in odio alla politica. Troppo pochi per non avere ancora e bene davanti agli occhi la terribile lezione.  

       Sergio Giuliani

 P.S. Dedico queste noterelle al Ministro Fioroni, con riconoscenza per aver reintrodotto lo studio della storia del Novecento nelle terze classi della scuola media.   SG