Quis custodiet custodes?
ALLA MERCE' DI INCENDIARI E MAFIOSI

Marco G. Pellifroni

Premetto che io mi definisco, con la ragione e col cuore, “vegetalista”, nel senso più lato di “vegetariano”, in quanto nutro una forma di rispetto naturalistico per la flora che sconfina in un’idolatria quasi pagana.

 

Un’idolatria razionale, però, in quanto sono consapevole che la vita di ogni animale si regge esclusivamente sulla flora; ed ogni attentato alla tranquilla esistenza della vita vegetale è un attentato non solo a quest’ultima, ma ad ogni altra forma di vita, ossia a tutta la fauna, uomo compreso.

Forse sarebbe bene sottolineare, per chi non ci avesse mai pensato, in un mondo dove la catena trofica è confinata ad argomento per soli specialisti, che la flora può prosperare sulla Terra a prescindere dall’esistenza della fauna, e per tale motivo viene detta autotrofa, contrariamente alla fauna, che dalla flora dipende interamente per la sua sopravvivenza e in quanto tale si definisce eterotrofa.

Agli effetti della vita sulla Terra, pertanto, la vita di un bosco, così come quella di un campo coltivato, rappresenta la possibilità di vita per un certo numero di animali (e non ripeterò più la precisazione “uomo compreso”), grazie a tutta una serie di equilibri bio-fisici per i quali non esistono sostituti artificiali. Questo è tanto più valido oggi che ciascun essere umano ha una “impronta ecologica” enormemente maggiore di quella dell’uomo di solo qualche decennio fa. L’uomo odierno, con tutta la sua corte di accessori, in buona parte frutti di mode e capricci, ha un impatto sulla bio-sfera che non è neppure lontanamente paragonabile a quello dei suoi predecessori. Mentre il raggio dell’impatto individuale si allarga, tanto maggiore dovrebbe essere quello della vegetazione, al fine di compensare o attutire la produzione di entropia della dissipatrice esistenza umana con il maggior ordine creato dalle piante a spese dell’energia solare.

Tutt’al contrario, più cresce la popolazione e più si restringe l’area forestale, per cui il valore di ogni ettaro di bosco (in diminuzione) rispetto ad ogni animale non selvatico (in crescita) cresce continuamente, mentre diminuisce in pari misura il valore di ogni singolo uomo, in quanto puro consumatore di risorse, esauribili o rinnovabili, come i vegetali, ai quali però non viene concesso il tempo di riprodursi: esplosione demografica e riduzione delle risorse trasformano l’essere umano in un infestante, al pari di certe alghe marine.

Premesso quanto sopra, l’inaudita catena di incendi di cui i boschi sono stati vittime questa estate, in Italia, Grecia e Croazia, dà un quadro quanto mai allarmante del genere di umanità che si sta sviluppando; un’umanità che sarebbe stata impensabile in tempi di consapevolezza collettiva del valore insostituibile delle foreste. Ma non mi riferisco solo ai vili piromani, che si scagliano in prima persona contro esseri viventi incapaci di difendersi e tanto meno di fuggire all’avanzare del crimine ardente. Mi riferisco anche all’inettitudine degli organi pubblici che non investono in opere di prevenzione, segnalazione (ad es. satellitare) e di repressione, quest’ultima in proporzione alla gravità della colpa.

Non è ammissibile che le uniche colpe che “scaldano” i governanti siano quelle di ordine economico diretto, contro le quali agiscono in maniera persino troppo belligerante, mentre sono colpevolmente blandi contro i crimini incendiari, che, come sopra mi sono sforzato di dimostrare, sono crimini contro l’umanità, anzi contro ogni forma vivente, anche se il lato economico è meno direttamente evidente. Vorrei vedere lo stesso rigore, la stessa propaganda usata ad ogni giro di vite del codice stradale o della “lotta all’evasione”, applicato almeno in pari grado alla prevenzione e alle pene relative agli incendi boschivi. Non più soltanto ogni estate, bensì ad ogni levar di vento, squadre di incendiari si preparano all’attacco contro alberi inermi, certi al 99% di farla franca. Se poi alcuni meno accorti cadono nella rete, entrano ed escono dalla caserma dei CC quasi avessero commesso una scappatella; con la certezza di reiterazione impunita del reato. Costoro vanno invece trattati come terroristi, dediti a vere e proprie azioni di guerra. Si applichino allora le norme antiterrorismo e li si sbatta in carcere a regime duro per anni, come i peggiori mafiosi, così da togliere loro ogni velleità di tornare a delinquere. E si usi ogni mezzo per risalire ai mandanti e ai disegni eversivi che tramano per precipitare il Paese in uno stato di polizia. La tragedia del 9/11 ci ha aperto bene gli occhi sugli scopi reconditi delle azioni terroristiche: il varo di leggi liberticide in ogni campo e il bavaglio su ogni voce dissidente.

Analogo trattamento sia riservato ai costruttori di ecomostri, che speculano sulle aree devastate dal fuoco, o ai concussori delle pubbliche amministrazioni per ottenere permessi edilizi facili. Anche costoro sottraggono terreno alla collettività per trarne utili illeciti. Certo, la loro aggressione all’ambiente sembra meno violenta, ma il risultato è un furto permanente di superficie, che, pubblica o privata che sia, appartiene ecologicamente a tutti.

E mentre l’Italia va in fiamme, mi sia permesso concludere commentando la contestata uscita di Bossi sui fucili, evocati come simbolo di volontà di rovesciamento di un intero sistema politico che, come sopra detto, usa le maniere forti coi cittadini e lascia in libertà i facinorosi, e anzi sembra incoraggiarne l'immigrazione. Dov’è lo scandalo? Quando mai i regimi sono caduti in base ad enunciazioni di filosofia? E la nostra dirigenza politica, corrotta e imbelle, che si definisce democratica in quanto sadicamente ci informa dei propri privilegi, contando sulla nostra ignavia, si spera forse di togliersela di torno con articoli di stampa, denunce in TV, o scadenze elettorali? Denunce quotidiane ed elezioni annuali non hanno fatto che accrescere in noi la rabbia e il senso di impotenza. Eppure il Capo dello Stato ha tacitato Bossi con inconsueta lestezza, invitandolo al rispetto della Costituzione, dimenticando forse di esserne il supremo custode e di averla tradita il 16 dicembre scorso, quando legalizzò l’illegalità, ossia la proprietà privata di Bankitalia, violando ignominiosamente il dettato costituzionale. Come già accadde al suo predecessore, che tanto si prodigò per la firma del Trattato di Maarstricht, con ciò consegnandoci, orbati di ogni residua sovranità monetaria, agli arbitrii di una cricca di banchieri privati sovranazionali, in violazione delle norme costituzionali, che garantiscono l’indipendenza della nazione dal dominio straniero. Certo, loro di fucili non hanno bisogno: gli basta la penna.

Quis custodiet custodes? 

Marco Giacinto Pellifroni                     2 settembre 2007