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La bolla e i suoi profeti
di Nonna Abelarda

1-Il porto degli zombie

 

Pausa estiva terminata. Da cosa comincio? Non è che manchino gli argomenti, ce ne sarebbero forse anche troppi, perché di sonnolento torpore agostano, quest’anno, non se n’è vista traccia.

Sarà per il clima rimasto sul freschetto, che non ispira gli ozi e causa malumori, sarà perché certi progetti non dormono mai, ma il balletto di cifre, accuse, propagande, dichiarazioni stentoree e decisioni proditorie (non nel senso di Prodi, per quanto…) è continuato imperterrito come in alta stagione.

Comincerò allora da dove avevo smesso, da quella nefasta torre con annessi in zona portuale, il simbolo di ciò che ci è già accaduto e tristo presagio di cosa potrebbe ancora accaderci e probabilmente accadrà.

Non avevo visto dal vivo l’opera terminata, non mi ero ancora fatta un’idea completa dell’entità del fulmineo sconvolgimento. (Quanta velocità nei lavori, infatti. Specie se paragonata ad altre colpevoli lentezze.) Perciò l’altra sera, gironzolando in darsena per una passeggiatina e una sosta al bar, lo shock è stato totale: superato l’angolo del primo gruppo di case, appena dietro l’incolpevole lavatoio, si stagliava il monstrum, in tutta la sua imponente minaccia.

Non discuto l’estetica in sé. In altri contesti potrebbe essere apprezzabile. Mi spingerò ad affermare che il terminal crociere mi piace persino, forse perché più defilato e inserito in un ambito, come dire, operativo. Aggiungerò, obtorto collo, che riesco ad accettare persino la torre, visto che si perde in altezza e facendo un piccolo sforzo e non alzando la testa si può anche evitare di guardarla da vicino. Ma tutto il resto, il quartierino con piazza viale sotterranei  lampioni e fioriere, è il vero aspetto  lancinante.


Oddio, per un appassionato di fantascienza, o piuttosto di fanta horror, c’è di che sfregarsi le mani e trarre mille ispirazioni. Ma dubito che i molti pacifici cittadini in vena di passeggio appartengano a questa categoria.

A voler essere lirici, quelle costruzioni in vetro acciaio accanto alle palazzine ottocentesche, proprio dietro al lavatoio e all’unico albero (risparmiati per rispetto o per ulteriore  sfregio?), creano un contrasto visivo, una ferita emozionale, una profonda impressione di estraneità, come un trapianto di tessuti alieni, come la porta luminosa improvvisamente aperta su un’altra dimensione spazio-temporale, una morte chirurgica e asettica, un’epidemia fredda e luccicante che spegne e inghiotte la semplicità e la ricchezza dei ricordi profondamente impressi, il calore della vita, della memoria. Il mondo dei Borg di Star Trek, i cyborg senz’anima e individualità che fagocitano gli umani.

A voler essere semplici, un autentico pugno in un occhio. Impressione confermata da molte persone con cui ho parlato, anche di età, gusti, idee e opinioni molto diverse fra loro.

La luce, già. Quel profluvio di inutile luce sfavillante, spregio al risparmio energetico, a illuminare il nulla di infiniti spazi vuoti, vetrine, finestre, scale, portoni dai citofoni ancora senza nome. La quintessenza della freddezza, dell’incomunicabilità, del disagio e dell’inquietudine esistenziale. L’intellettuale e autore televisivo Mimmo Lombezzi, già ideatore della significativa manifestazione “funerale del porto”, con una battuta si chiedeva chi può aver voglia di passeggiare lì in mezzo, affermando che se una coppia in crisi ci fosse finita per caso, di sicuro in un batter d’occhio sarebbero arrivati alla rottura definitiva. 

Tutta quella luminosità, specchio di un presunto benessere che trionfa, di una modernità accattivante quanto illusoria, che ha dimenticato i sentimenti e la vita sociale, che ha in se stessa la sua propria condanna, per chi mastica di horror si adatta come scenario dei peggiori incubi, tanto quanto i soliti cimiteri abbandonati.

Ecco, nel vuoto e nella desolazione vedrei benissimo aggirarsi, nascondersi nell’ombra di quei vegetali che sembrano di plastica, esseri oscuri e misteriosi, creature richiamate dagli stessi mali profondi della società che nascondiamo dietro le facciate scintillanti, prima pochi, isolati, e infine legioni, che avanzano sulla piazza con i loro passi barcollanti e implacabili…

Una bella “notte dei morti viventi”, stile Romero. Alla savonese. Ambiente perfetto. Ma siccome mi sono trattenuta troppo su voli pindarici, facilmente irrisi da chi crede che l’economia sia l’unico e vero dio, e che nient’altro conti su questa terra,  torniamo su considerazioni pratiche.

Se l’esempio dev’essere il matitino di via Servettaz, ancor oggi la stragrande maggioranza di vetrine accumula polvere e scritte, a parte uno studio medico e una sede istituzionale: nessun negozio ha avuto il coraggio di installarsi lì, e gli stessi box sono stati venduti, ammesso che siano stati venduti tutti, con molta fatica.

Ma il porto è diverso, è centrale, sta diventando il nuovo cuore di Savona, e poi ci sono i crocieristi…

Già. Ma anche i prezzi immagino siano più centrali e quindi ancor meno abbordabili.  Tant’è vero che un recente articolo su stampa locale, di intento e taglio chiaramente propagandistico, pur esaltando l’opera e le sue funzioni era costretto ad ammetterlo.

Ora, gli interessi in gioco devono essere grandi, certo, e le pressioni pure, ma a saper leggere fra le righe, quanto più forzatamente si esalta, tanto più si fanno capire le magagne. E quanto più i problemi cercano di venire a galla, e si fa di tutto per riaffondarli, e le persone cominciano ad acquisire consapevolezze, a dispetto degli sforzi propagandistici, tanto più la pressione si fa scoperta, e il nervosismo trapela.

L’articolista, che immagino tamburellare sulla scrivania e fumare mentre scrive, temendo di scontentare i suoi indiretti committenti, tutto teso a esaltare il complesso, ci informa già dal titolo che nuove prospettive e nuovi scenari si prospettano per Savona, che non solo c’è fermento intorno alla torre e gli annessi (ma dove?), ma che il centro stesso, il cuore pulsante si sta spostando in quella direzione, coinvolgendo di riflesso anche i quartieri limitrofi e la zona di via Pia. Il tutto come affermazione apodittica, senza grosse spiegazioni.

Bene, ma ciò non stava già avvenendo piano piano, e in modo più naturale e interessante, direi, con la rinascita del porto vecchio e della darsena, e in misura minore, come effetto del terminal crociere?  Vogliamo farlo passare per un beneficio della torre?

A fronte di tutto l’entusiasmo, le affermazioni concrete sono pochine, non si elenca una nuova ed affollata galleria commerciale, si citano solo due o tre negozi, una gioielleria, specialità locali, forse, ma non è sicuro, uno di abbigliamento… E qualche “progetto misterioso”, per le zone più in vista, che è come dire che è ancora tutto in alto mare, è il caso di dirlo.

Voglio azzardare: una concessionaria di auto? L’ennesima banca?

E subito dopo, come indiretta smentita, appunto, all’entusiasmo, si ammette che chi ha comprato i muri in costruzione può aprire un’attività, ma per gli altri, gli affitti richiesti dai soliti speculatori che si sono accaparrati i negozi (ma non si era detto che non era una speculazione, quella galleria commerciale, ma un beneficio alla città?) sono proibitivi.

Insomma, questi sono i dati: la città non pullula di entusiasti della realizzazione, il tentativo di farlo passare come un regalo di modernità ai savonesi è fallito, (siamo provinciali è un po’ sempliciotti ma non stupidi!), gli speculatori si sono accaparrati una bella fetta, lo scempio edilizio ha di fatto rovinato qualsiasi progetto di armonia estetica del porto, di un recupero che era iniziato così bene. 

Sarei la prima a voler essere smentita. Ma se sento ancora qualcuno dire “e allora preferivate il degrado…” gli tiro addosso qualcosa. Giuro.

Il guaio è, appunto, che questo è solo l’inizio, e questa dissennata politica speculativa ammantata di falsa modernità e di ancor più discutibile progresso e benessere economico è destinata a proseguire imperterrita, fino a devastazione completa.

A meno che… a meno che le tante voci isolate, singoli, gruppi vecchi e nuovi, persino cosiddetti “vip”,  non si organizzino e trovino una loro forza.

(A proposito, mi raccomando: non perdetevi il giorno del V-day di Beppe Grillo, sabato 8 settembre,  in corso Italia zona piazza Sisto IV. Una buona occasione di democrazia diretta).

A meno che non intervengano fattori esterni, a cambiare le carte in tavola. A meno che non sia la situazione economica internazionale, a far saltare i giochi e scoprire gli altarini.

In fondo cedimenti e, come dicevo, piccoli ma significativi sintomi di nervosismo sono dappertutto. Anche da parte di chi si riteneva intangibile e corazzato da tutti i lati.

E così la prossima volta spiego cosa intendo per “la bolla” del titolo. 

Nonna Abelarda