Vince l'immobilismo se si confonde la pianificazione con la speculazione edilizia
IL SECOLOXIX
pierfranco pellizzetti
Venendo da Albisola, sulla penultima galleria prima di Savona spicca uno striscione con la scritta "non ti sopPORTO". Spia palese di quell'insofferenza strisciante che il 19 giugno scorso ha trovato il proprio portavoce in Beppe Grillo, col suo show nella savonese Piazza del Popolo. Un episodio che consente considerazioni più generali.
Partito svillaneggiando una signora in prima fila (il Prefetto di Savona che non poteva replicare per ragioni d'ufficio), cosa ha detto il noto comico nel suo comizio serale, oltre ad alcune generiche e condivisibili notazioni sull'imbecillità di trasformare - come dice l'economista Giorgio Ruffolo - il Pil in Lip, lordura industriale prodotta? In sostanza ha spiegato che il sentiero di sviluppo imboccato dalla città in questi ultimi anni fa schifo. Appunto, "non lo sop-porto"; visto che il cambiamento parte dal waterfront. E la folla estasiata assecondava l'aizzatore inveendo contro gli infami untori dello sviluppismo.
Alle orecchie dell'osservatore foresto un messaggio davvero sconfortante nella sua chiusura minacciosa: l'apoteosi, rivestita di retoriche ambientali, dell'inconfessabile ostilità verso ogni forma di cambiamento che minaccia prima di tutto pigrizie mentali, costringendo a misurarsi con progetti e idee; che turba con le sue adrenaline il comodo torpore del declino. Dunque, il rifugio nel noto, comodamente mugugnabile, per evitare la fatica di esercitarsi nell'invenzione di futuro.
Non per niente i testimonial locali esibiti da Grillo si rivelavano subito una buffa combriccola di rancorosi frustrati; a partire dall'inventore, alla papero Archimede Pitagorico dei fumetti, che risolverebbe il problema energetico con gli aquiloni.
Nessuno che entrasse nel merito del progetto offrendo alternative. Alternative a una ipotesi di fuoriuscita dalla trentennale "tristezza savonese", in grado di garantire due risultati concreti: A) prospettive per le nuove generazioni; B) adeguate accumulazioni di ricchezza sociale, senza le quali non si possono finanziare né la qualità della vita e neppure il sistema dei diritti democratici.
Il nuovo modello di sviluppo legato alla logistica potrebbe assicurarlo; la rimozione di tali problemi da parte dei contestatori (quelli che "non sopportano") induce al sospetto sulla vera essenza delle loro "anime belle".
Ma dato che confrontarsi sulle dinamiche della trasformazione risulta problematico per i cultori antiquari del passato, questi finiscono per buttarla sull'estetico. E se ne sentono delle belle: la trasformazione stravolgerebbe tradizionali orizzontalità del paesaggio urbano. Ma quando mai? L'urbanizzazione ligure, da Noli al Bracco è verticale sin dalla notte dei tempi. Scriveva della Genova medievale Giovanni Rebora: «Si costruirono palazzi altissimi, non già per la scarsezza di territorio, che allora non esisteva, ma per un modello culturale mediterraneo che non aveva nulla da spartire con il modo di costruire con il resto dell'Europa continentale, ma aveva invece i suoi referenti culturali nell'Oriente arabo (Siria, Persia, Yemen)».
Si critica la torre progettata da Fuksas perché - secondo Grillo - sembrerebbe «un belino attorcigliato». Allo stesso modo potremmo stroncare la piramide del Louvre come «capezzolo puntuto». Sono ragionamenti o battute? L'architettura ha da sempre un'alta valenza simbolica. Nel caso savonese, la volontà di entrare nel XXI secolo.
Si può utilmente discutere se il progetto risponde o meno alle esigenze di dare forma a un concetto. Purché non sia un alibi per rifiutare il concetto stesso di costruzione del futuro da parte di una comunità.
Certo, in Liguria dilaga la cementificazione speculativa. Confondere affarismo con progettazione di territorio significa scegliere l'immobilismo. Idem per Genova.
Qui la nuova giunta si è meritata riconoscenza civica per aver bloccato alcune vergogne ricevute in eredità; dall'Acquasola a Conigliano. Ma quali saranno le reazioni quando si porrà il sacrosanto problema della destinazione d'uso dello spazio urbano? Visto che, facendo di ogni erba un fascio, si potrebbe non cogliere la differenza - ad esempio - tra la benemerita riappropriazione pubblica di Palazzo Ducale e lo scempio di Fiumara. Insomma, lo sviluppo civico ha bisogno di un dibattito più serio e distinzioni rigorose.
Pierfranco Pellizzetti (pellizzetti@ fastwebnet.it) è opinionista di Micromega.