“Mala tempora currunt” Che non sia colpa di quel guastafeste-eretico-da-rogo di Voltaire?
Domininausodìn


                                                 di
Sergio Giuliani     versione stampabile

Voltaire

Era freddissima la chiesa di San Lorenzo, la “chiesa di sotto” per distinguerla dalla parrocchiale. Buia, e le poche candele accennavano appena i bellissimi paramenti murari romanici.

 Era vespro e le donne con lo scialle nero arrivavano per la funzione. Qualcuna portava con sé lo scaldino con la brace ben attizzata, raggiungeva una panca e lo sistemava sotto la lunga sottana. La mia nonna stava in piedi e mi teneva in braccio (ero piccolissimo; è un ricordo netto, ma davvero lontano) coprendomi con la falda dello scialle. Cantavano, le donne,delle litanie bellissime, ma tristi, che mi facevano gìà allora voglia di piangere. Del cristianesimo ho subito capito il dolore: soffrì il bambinello nato “al freddo e al gelo”, soffrì Cristo in croce, soffrivamo noi in quel gran freddo e, poi, più grandi, per il duro legno, tutto raschiato, dove ci si inginocchiava. Ma la sofferenza, si sa…..

Ho avuto due nonne cattolicissime: una non l’ho conosciuta, ma mio padre non ricordava di essere stato messo a letto senza prima aver recitato la “Salve Regina” (sì; proprio quella dell’ “advocata nostra”!) ed ho conosciuto una sua amica, Pia, che ricordava che ogni mattina, con tutto il daffare che c’era allora con tanti figli, lei e la mia nonna non avevano mai mancato la prima messa. Avevano generato tutte e due figli sovversivi (che pagarono duramente per i loro ideali; due con la morte) che capivano per gli ideali di giustizia, ma non per l’allontanamento (anzi; il mai avvicinamento!) dalla chiesa.

La mamma di mio padre lo rimproverava chiamandolo “borgognone!” (di sicuro non conosceva la vicenda di Giovanna d’Arco!) e gli insegnava un poco di “Tantum ergo” di cui egli ricorderà soltanto “documentum” (!) e “genitori genitoque”, che mi ricanterà per incutermi rispetto alla sua persona.

E le donne rispondevano al borbottare del parroco che intonava “Dominus vobiscum”, “Sursum corda” (!) e “Osanna Dominus deus sabaoth” (!), tutti misteri che ho chiarito da grandicello, con lo studio del latino e che rivelato con aria saputa alla nonna. Allora, a lei in braccio, voleva insegnarmi i responsori, come rispondeva in chiesa la parola che ho messo in titolo; molto dopo le ho spiegato che si diceva “Domine, non sum dignus”!

 

E venne il Concilio Vaticano II, venne la liturgia in italiano; vennero anche chitarre e canzoncine in chiesa “Dio del cielo se mi vorrai amare/scendi dalle stelle vienimi a salvare..” e in chiesa ora tutto si comprendeva. E parve giusto ridurre lo spazio dei misteri agli “arcana” veri e propri. Parve giusto e senza pericoli tradurre la parola di Dio nella lingua corrente, sì che tutti potessero capirla, far leggere l’epistola a un laico,rendere più essenziale il rito.

Oggi, invece, c’è un “motu proprio” (!) [va a finire che Papa Ratzinger diventerà l’unico difensore del latino, oggi travolto dal pressappochismo dell’esprimerci corrente: e il latino è una bella e complessa costruzione, altro che…parlare alla Totti. E di questo, forse, sarà ringraziato!] per cui, sia pur per gradi, si recupera la messa in latino.

Me lo sentivo: non tanto per il gusto raffinato di pochi esteti come D’Annunzio ed il critico Gianfranco Contini che andavano in San Pietro tutte le volte che c’era cerimonia per godere del colpo d’occhio della sfilata dei paramenti cardinalizi: di fede, manco a parlarne! E allora perché?

L’eretico è “ad portas” e “in interiore homine” (abituiamoci subito a parlare latino!). Altre religioni contendono il primato al cattolicesimo ed anche nelle file di quest’ultimo serpeggiano disinteresse e “vitello d’oro”. Non è più possibile far scorrere libera riflessione; il gregge si svierebbe e si allontanerebbe dal pastore. Rimettiamoci il burqua, quindi: Dio non si acquisisce col pensiero lineare e nella lice ritmata delle chiese di Brunelleschi: Dio è nel buio, torna nel buio di certi affreschi medievali, nella tenebra delle basiliche barocche, come costruite su un baratro; Dio torna ad essere nell’obbedienza acritica, nel “credo quia absurdum” di Tertulliano, nel chinar la testa davanti al santissimo e, quel che è peggio, nel non cercar di capire, nel non alzare gli occhi al cielo dell’astrofisica e di Margherita Hack, ma nell’esser seguaci, sic et simpliciter (ancora latino: preparate le porte…)

Del resto, lo smontaggio della mente del cittadino è da tanto, da tanti e comunemente praticato: non gli viene spiegata neppure la politica, che pur è sua. Gli si dice di fidarsi, di non discutere, di non credere che…al’inglese (quello basic!), all’informatica e all’impresa (magari all’industria, che pur inizia anch’essa con la “i”!)

Diceva il Giusti “..e il popolo ignorante tutto vede/eppur ci crede!”. Ma un secolo dopo don Milani dirà che “l’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni”. Purtroppo, con buona pace del complesso dell’ordinamento e del costume sociali, pare contemporanea la prima affermazione!

“Mala tempora currunt” Che non sia colpa di quel guastafeste-eretico-da-rogo di Voltaire?

Sergio Giuliani