Affari immobiliari la Diocesi "fa cassa"costruendo box  IL SECOLOXIX
il caso
Operazioni in città e a Varazze per recuperare risorseI soldi servono anche per pagare gli stipendi ai preti
BOX sotto la collina verde della Villetta, tra gli alberi secolari del Seminario vescovile, box interrati accanto alla chiesa delle Fornaci. E ancora box a Varazze, di fronte alla chiesa dell'Assunta e nell'area della polisportiva di San Nazario. Fioriscono le operazioni immobiliari su terreni di proprietà della Diocesi. Alcune gestite dall'Isc (l'Istituto per il sostentamento del clero), altre direttamente dai parroci, pastori di anime per vocazione e da qualche tempo immobiliaristi per necessità.
Nella provincia del "nuovo boom edilizio", accanto ai business dei costruttori di professione c'è spazio anche per gli affari della Diocesi che non disdegna neppure di associarsi ad imprenditori privati pur di centrare gli obiettivi. È successo nel caso dei parcheggi del Seminario, accadrà ancora.
«Facciamo un po' di imprenditoria alla luce del sole per autofinanziarci», spiegano all'Isc, l'ente ecclesiastico a cui è demandato il compito di reperire risorse per pagare gli stipendi ai preti, finanziare le attività caritatevoli della Diocesi, ristrutturare e valorizzare il patrimonio. E l'Istituto come si arrangia? Sblocca denaro attraverso la gestione di terreni e caseggiati di proprietà.
«Una volta li vendevamo semplicemente ai privati (talvolta per quattro lire, ndr) che facevano la loro speculazione; oggi l'operazione la facciamo noi, in prima persona, ricavandone il giusto», dicono gli "agenti immobiliari" della Chiesa.
Gli stessi sacerdoti sono stati opportunamente sensibilizzati a reperire risorse per la parrocchia, direttamente dal patrimonio immobiliare. Perché sono tempi duri, per tutti.
Alle Fornaci, ad esempio, un prete molto dinamico come don Alessandro Capaldi sembra intenzionato a ricavare qualche decina di box interrati (valore di mercato 50 mila euro ciscuno) nell'area adiacente alla chiesa di Nostra Signora della Neve. E per un residente che già pregusta l'opportunità di comprare o affittare il box sotto casa, ce ne sono cento che protestano. In piccolo, quello che è accaduto alla Villetta dove, al contrario della Fornaci, c'è però in ballo una bella fetta di verde a rendere ancora più delicata l'operazione. D'accordo, si tratta di terreni di proprietà della Chiesa, ma di cui ha sempre goduto la comunità, intendendoli come una sorta di bene pubblico. Difficile spiegare, ora, che così non è. E cosa succederà a San Nazario se, come sembra, andrà avanti l'idea di realizzare un'autorimessa (sedici box) sul retro della chiesa? I parrocchiani sono già in allarme: temono il sacrificio dei due campetti di calcio e volley e della pista di pattinaggio. Insomma, rischia di aprirsi un altro fronte doloroso per la Diocesi. Inutile, la gente non riesce ad abituarsi alla nuova immagine del prete diviso tra preghiere e contratti immobiliari.
Eppure, indietro non si torna, come spiega (vedi articolo a lato), don Piero Giacosa, economo della Diocesi, che con don Pierto Tartarotti, laureato in economia e commercio, presidente dell'Istituto diocesano per il sostentamento del clero, ha la responsabilità dei conti della Chiesa savonese.
A Varazze, in attesa che prenda forma l'operazione di San Nazario, la Diocesi ha già ottenuto il via libera dal consiglio comunale per la realizzazione di una ventina di box interrati in un'area centralissima, sotto il cosiddetto "Orto del parroco" (di Sant'Ambrogio) e a margine dell'Aurelia bis. In cambio dell'autorizzazione a costruire, la Chiesa donerà al Comune una sala polifunzionale, nella stessa zona. A Celle, sempre la Diocesi sta costruendo una caserma che poi affitterà ai carabinieri. E come accade ai costruttori privati, anche i preti hanno i loro professionisti di fiducia. A Savona sono soprattutto due: gli architetti Enrico Persico e Rodolfo Fallucca.
Bruno Lugaro
 
«con i ricavi finanziamo tutti i servizi»
l'economo
 
«CON I SOLDI di queste operazioni immobiliari non accumuliamo ricchezze, come qualcuno vuol far credere, ma semplicemente le risorse necessarie per far funzionare la chiesa», dice don Piero Giacosa. «Stiamo affrontando lavori importanti, come la ristrutturazione del palazzo vescovile, l'apertura del museo diocesano, e nel contempo portiamo avanti servizi essenziali di sostegno alle fase deboli della popolazione - spiega l'economo della Diocesi -. Non saremmo più in grado di garantire tutto questo, e neppure gli stipendi ai sacerdoti, se non recuperassimo denaro dalla vendita di parte dei nostri beni. La gente deve capire che è una necessità la nostra». Una volta la chiesa raccoglieva le eredità dei fedeli. «Oggi le eredità sono ormai ridotte a poca cosa e l '8 per mille non è sufficiente a sostenere le nostre attività, a finanziare la difesa del patrimonio immobiliare - sostiene don Giacosa -. Gli stessi governi, anziché aiutarci, da anni versano i contributi con ritardi mostruosi. Ed io che faccio restaurare il campanile o la facciata della chiesa non posso aspettare quattro o cinque anni per pagare l'impresa che ha fatto i lavori. Abbiamo bisogno di liquidità se vogliamo andare avanti. La Diocesi di Savona, poi, si sta ancora leccando le ferite del "buco" Caritas. Abbiamo commesso errori e li stiamo pagando tutti»