PER SALVARE la cooperativa e il posto di lavoro, stipularono
un mutuo di 1 milione e 600 mila euro, per quindici anni,
con l'agenzia di Altare della Carisa. Un mutuo garantito da
ipoteca sui capannoni industriali e da una fideiussione
"solidale omnibus", una specie di corda al collo perché
consente alla banca di rivalersi dell'intero importo del
prestito anche su uno solo dei beneficiari. Ora il cappio si
è stretto. E dieci ex soci della cooperativa Nuova Ferrero,
oggi in liquidazione, non solo non hanno più un lavoro, ma
ad alcuni di essi è già stata pignorata e messa in vendita
la casa, ad altri sono stati trattenuti il quinto di un già
misero stipendio o parte del Tfr. L'avvocato genovese
Stefano Marletta che tutela gli interessi degli ex soci,
allarga le braccia: «E' un dramma sociale circondato da un
muro di indifferenza. Dieci famiglie ridotte sul lastrico
non scuotono la coscienza di nessuno».
Ieri le famiglie hanno manifestato in piazza Mameli, con la
speranza che ciò serva ad accelerare i tempi delle indagini
su una vicenda che la procura della Repubblica ha sul tavolo
da tre anni.
Sullo sfondo c'è poi una battaglia legale interna tra gli ex
soci e Giorgio Rebella, ex presidente della Nuova Ferrero,
al quale i primi hanno chiesto 2 milioni di euro di
risarcimento danni. Lo ritengono responsabile del fallimento
e di rapporti poco chiari con la Carisa.
Ma Rebella, ha a sua volta fatto causa proprio alla Carisa
per usura e anatocismo (il calcolo degli interessi maturati
su una somma dovuta). «E una prima soddisfazione me la sono
tolta - dice - perché il giudice ha affidato a un consulente
tecnico il compito di ricalcolare gli interessi. La mia è
una battaglia contro le banche che hanno approfittato delle
difficoltà della cooperativa per fare i propri interessi. I
miei ex colleghi hanno invece privilegiato una battaglia
contro il sottoscritto. A mio avviso, sbagliando. Avessimo
fatto fronte comune, anziché accapigliarci fra noi, forse
oggi la situazione sarebbe meno drammatica. In questa
vicenda - prosegue Rebella - ho perso tutti i miei risparmi
(circa 95 mila euro) contro i 150 mila degli altri dieci
soci messi insieme. Ed ora mi devo anche difendere dalla
richiesta di 2 milioni di euro di danni».
Rebella ricostruisce così il tracollo della Nuova Ferrero.
«Il buco divenne una voragine quando ci rendemmo conto che
alcuni crediti importanti erano stati azzerati con scuse
pretestuose. Ricordo, in particolare, quello con il
consorzio svizzero Bodio che ci doveva una somma ben
superiore al milione di euro. Sbagliammo, inoltre, nel 2002,
ad acquisire più commesse di quelle che eravamo
effettivamente in grado di gestire. Molti lavori si
bloccarono e i clienti, naturalmente, non pagarono». E così
si arrivò a chiedere aiuto alla Carisa. «Sì, ma lo decise il
cda, non il sottoscritto come mi sembra si voglia far
credere. Accanto a me sedevano soci come Giuseppe Grosso,
Luigi Giusto, Antonio Sulanas, Gabriele Giusto, Giovanni
Patrone (vicepresidente), l'avvocato Zucchini,
rappresentante della Ligur Capital, finanziaria regionale. E
c'era un collegio sindacale di cui facevano parte i soci
Gianna Belforti, Giovanni Giusto e il ragionier Innocenti,
rappresentante della finanziaria pubblica che aiuta le coop
in crisi. Di errori ne abbiamo commessi, ma tutti insieme».
Bruno Lugaro
«bilanci taroccatie false fatture» |
la
storia |
La storia comincia nel novembre del 2003
quando Giorgio Rebella annuncia un buco
di bilancio di 300 mila euro e aggiunge
che c'è un solo modo per evitare il
tracollo: chiedere aiuto alle banche,
nel caso specifico alla Carisa. Ma
Rebella pecca d'ottimismo, perché di lì
a pochi mesi si capisce che il mutuo non
è sufficiente a tirare la coop fuori
dalle secche. E saltano fuori anche
documenti contabili dai contenuti ben
più pesanti rispetto al buco di 300 mila
euro. «Scoprimmo bilanci taroccati -
raccontano oggi gli ex soci - false
fatture date a sconto a vari istituti
bancari, al fine di mascherare la
situazione. Capimmo, allora, che le
carte che avevamo firmato non servivano
a salvare la coop ma piuttosto alla
Carisa per recuperare la propria
esposizione».
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