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Il locale è noto ai savonesi d’età: “La taverna del Drago” e “Le corde rosse” hanno, per tanti anni, fatto la gioia dei nottambuli. Ora, grazie all’intraprendenza della signora Carmen Cona, è nata una galleria d’arte dove sono esposte opere “tascabili” del Maestro montefeltrino di nascita, ma milanese di formazione e, per merito del suo lavoro, cittadino del mondo intero. |
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I
“segni” su bronzo di fusione, l’inconfondibile
“alfabeto” ridotti a misura di ambienti chiusi
conservano lo stesso impatto emotivo e visivo delle
grandi macchine leonardesche del Priamàr. Consentono
però all’osservatore una più minuta osservazione, non
distratta ora dai volumi d’aria e dal cielo infinito;
anzi, una ricognizione precisa come gli spigoli puntuti
che assaltano, dirompono, riordinano, nuova scrittura
cuneiforme, con la casualità dell’”esserci” vincolato a
spazio-tempo di cose di uomini, l’iperuranio delle forme
pure della geometria, la sede delle più valenti
astrazioni della mente che voglia proceder fuori dei
limiti del mondo che le è dato. E “libri” sono le sculture, dove una storia devasta, smangia il digià scritto nei quattro “Frammenti”, dilaga e scompone un menabò per affermare il proprio, solo apparente, caos. Chi, fra gli astrofisici moderni, direbbe che c’è più ordine, cosmos nell’universo un nanosecondo prima del big bang rispetto a dopo? Di altro ordine si tratta ,nato necessariamente dal lacerarsi del precedente, addirittura del “primo” ordine e che, spesso, soltanto l’artista riconosce e ricostruisce. Così ha agito Eschilo nel mondo greco terremotato dalle guerre contro la Persia ;così Picasso “ricompone” una nuova Spagna disastrata a Guernica; così Celan ritrova un linguaggio appena ed a fatica captato fra le ceneri dei lager. Ma lo scultore è, per definizione,”fabbro” ed è suo l’agire concreto, modellare il metallo reso lavico nella fusione, legato al “progetto”, ad una forma ideale che si modifica nel farsi concreta. Le “forme pure a priori” dei solidi geometrici (si veda, in mostra, il perfetto uso del magico, intrigante tetraedro) sono intaccate dalla “storia”, che è diluvio minuto e sconvolto di spezzature in cui i vuoti, le ombre sono dure e concrete come il racconto a fluire e su di esse, nell’equilibrio studiatissimo e sentito tra piani puri ed intacco, vanno a posarsi a forza, per “fuoco” ed a risolversi. Splendide fascie di armate di terracotta dissomiglianti, private d’umano aspetto tolto loro nel tragico e ridotte a puntuti scalpelli, a maree in cui appena si notano forme riconosciute, ma travolte, decompartimentate aderiscono a vergini superfici come ad acquietarsi. Ma, forse, appena un poco prima di essere travolte, istante che solo il miracolo della scultura ferma. E’ un grande silenzio, il tema della scultura di Arnaldo Pomodoro, dopo i chiassi di armi e di trombe di guerra. A me torna alla mente un episodio di “Sogni” di Akira Kurosawa. Un soldato sopravvissuto sente passi marziali provenire dal fondo di una galleria. Lentissimamente il rumore-incubo si matassa ed escono soldati in ordine di marcia; si capisce riapparsi dalla morte perché portino un messaggio, un imperativo a ricordare. Così mi capita di sentire queste sculture, pannelli e forme come esplose e tutte fasciate di vita rovinata. Vorrei che i savonesi visitassero questa eccezionale mostra, toccassero il vivo bronzo e se ne arricchissero. La scultura ci racconta, ci affronta, anche duramente, ma ci offre e ci segna il percorso della nostra dignità montalianamente “tardi di mente, piagati/dal pungente giaciglio..” ma anche capaci di dire “..il mio sogno di te non è finito.” Sergio Giuliani
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