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ROCK A SAVONA SUL PRIAMAR
di Massimo Bianco

Finalmente a Savona una stagione di concerti di musica pop rock di spessore internazionale, come in passato nella nostra dimenticata città non era mai accaduto. Per questo significativo risultato bisogna ringraziare la “E-N-E-R-G-I-E MULTIMEDIALI S.r.l.”, che nell’ambito della stagione estiva 2007 del complesso monumentale del Priamar è riuscita ad attirare artisti di fama e statura assoluti.

Si partirà venerdì 6 luglio nientemeno che con Patti Smith (classe 1946), la poetessa del rock. Poetessa non solo in senso metaforico, per via della validità dei testi inglesi delle sue canzoni, ma anche alla lettera, avendo lei pubblicato numerosi volumi di poesia, alcuni dei quali tradotti in italiano. Patti Smith inoltre dipinge: si tratta insomma di un’artista tout court. La Smith, riconosciuta madrina del punk, esplose fin dall’esordio con il mitico “Horses” (1975), capolavoro assoluto della storia del rock, prodotto dal prestigioso John Cale (chi mastica rock sa bene chi sia Cale, re della viola elettrica), un’indovinata miscela di rock e poesia a tratti quasi recitativa, con la voce suggestiva della Smith e con non poche citazioni musicali. Continuò quindi la sua carriera negli anni successivi con gli altrettanto fondamentali “Radio Ethiopia” (1976) e “Easter” (1978) finché, dopo “Wave” del ’79, non decise di ritirarsi dalle scene per dedicarsi esclusivamente alla famiglia.

Dopo ben 17 anni di silenzio, a parte un’unica estemporanea quanto poco riuscita apparizione negli anni ’80, Patti Smith, in seguito alla scomparsa del fratello e poi del marito musicista Fred “Sonic” Smith, essendo tutti i suoi figli divenuti ormai grandicelli, stabilì di rientrare in scena e lo fece alla grande, prima partecipando

alla colonna sonora del film “Dead man walking” e poi con “Gone Again” (1996), su cui suonano musicisti del calibro di John Cale, Tom Verlaine e Jeff BuckleySi tratta di un album malinconico e dolente e, soprattutto, di grande spessore, che segna l’inizio di una vera e propria seconda giovinezza per l’artista, autrice negli anni successivi di album di buona fattura, fino al relativamente recente “Trampin’” (2004), suonato con accompagnatori di antica data, Lanny Kaye e Jay Dee Daugherty e i più recenti Oliver Ray e Tony Shannon. La sua ultima pubblicazione discografica è il rifacimento del 2005 del suo mitico Horses, alla cui successiva tournee hanno partecipato in qualità di strumentisti anche il grande Tom Verlaine, ex chitarra, voce e composizione dei New Yorkesi Television e Flea, bassista dei Red Hot Chili Peppers. Con un’artista tanto in forma quello del 6 luglio promette di essere un concerto da non perdere, sempre che i biglietti siano ancora reperibili. Almeno a parere del sottoscritto che, infatti, vi assisterà.

Seguirà in data 19 luglio la performance di John Mayall & the Bluesbreakers, grande vecchio (classe 1933) del rock blues bianco anglosassone e “padrino del blues inglese” come è unanimemente considerato. Dalla sua band sono passati molti grandi del rock blues britannico, da John Mc Vie a Eric Clapton, quest’ultimo nel fondamentale capolavoro intitolato “Bluesbreakers” del 1966 e più grande successo di Mayall, da Peter Green, in seguito nei Fleetwood Mac come Mc Vie, a Mick Taylor, destinato a un luminoso futuro con i Rolling Stones. Giunto al professionismo quando era ormai prossimo alla trentina, nel corso degli anni ’60, i suoi più prolifici, Mayall si dedicò alla diffusione del blues più ortodosso, per poi ampliare il suo spettro sonoro nei decenni successivi, peraltro con risultati inferiori alle attese. Negli ultimi anni sembra però essere tornato ad apprezzabili livelli e, considerata anche la sua enorme esperienza, si dovrebbe dunque poter confidare in una sua performance di standard elevato.

Domenica 22 luglio suona invece Dee Dee Bridgewater, superstar del jazz riguardo alla quale mi scuso con i lettori se mi astengo dal fare qualsiasi commento. Ciò accade non perché non se lo meriti ma perché, ignorando del tutto la sua opera siccome non amo granché il genere musicale da lei praticato (de gustibus non disputandum est), non mi va di scrivere solo per sentito dire su artisti da me di fatto mai ascoltati neppure per caso.

E arriviamo così a Rickie Lee Jones, classe 1956, anche lei statunitense, protagonista dello spettacolo del 29 luglio. La Jones è una cantautrice statunitense di vaglia e dalla vena raffinata, che a partire dall’omonimo e splendido album di debutto del 1979, vero e proprio poema di romanticismo urbano con canzoni che sono piccoli e movimentati cortometraggi in musica, si è costruita una carriera di tutto rispetto. Una cantautrice che nel corso degli anni si è indifferentemente rifatta al folk acustico, al rock, al soul e al jazz, non di rado ispirata anche dalla musica del tutto particolare di Tom Waits, artista per lunghi anni suo compagno di vita circa il quale, se non si è pratici della materia, ci si può fare almeno un’idea di come suoni la sua discografia pensando a Paolo Conte.

L’ultimo album di inediti della Jones, che lo scrivente peraltro non conosce e su cui dunque non si esprime, risale al 2003 e s’intitola “The evening of my best day”, lavoro salutato con toni assai positivi dalla critica e che contiene tra l’altro un duro attacco al presidente George W. Bush.

La stagione “leggera” del Priamar si concluderà venerdì 3 agosto con il bravissimo menestrello e violinista italiano Angelo Branduardi, di cui mi auguro non occorra spiegare in maniera approfondita chi sia essendo egli giunto a un enorme fama internazionale fin dal 1976 con l’ancora oggi conosciutissima “Alla fiera dell’est”. Branduardi presenta il suo spettacolo dal titolo “Lauda di San Francesco.” Performance che sta portando con successo in tournee e che presumibilmente si dovrebbe rifare almeno in parte al suo “L’infinitamente piccolo” (2000) raffinato e fascinoso ma impegnativo disco suonato con l’apporto di artisti del calibro di Franco Battiato e dei portoghesi Madredeus, in cui ha musicato il francescano “Cantico delle creature”.

Un ultimo commento, parzialmente estraneo al contesto. Purtroppo non mi è stato possibile segnalare su “Trucioli” lo spettacolo tenuto, sempre al Priamar, da Gianmaria Testa l’8 giugno in occasione del “Festival del mare”, perché sono venuto a sapere del concerto solo all’ultimo momento. Me ne dispiace perché al modicissimo prezzo di 5 euro un così grande artista avrebbe meritato il tutto esaurito. Gianmaria Testa è davvero un grande e purtroppo misconosciuto cantautore intimista, in assoluto uno dei migliori artisti che ci ha dato la canzone italiana. Disgraziatamente l’Italia è sovente cieca alla musica di qualità e Testa ne è la riprova. Lui, infatti, per riuscire a pubblicare la propria proposta musicale, ha dovuto a suo tempo legarsi a un’etichetta discografica francese, non avendo trovato sbocchi a casa propria: un’indecenza, che dimostra l’ottusità e la cecità del sistema discografico (così come peraltro di quello editoriale) nostrano. In compenso almeno in Francia non è un Carneade, come è provato ad esempio dalle frequenti sue citazioni sui romanzi del marsigliese Jean Claude Izzo.

Il suo primo disco, “Montgolfieres”, datato 1995, è semplicemente magnifico, composto com’è di musica tanto poco invasiva quanto ricca e raffinata, unita peraltro a testi molto evocativi. A chiunque avrà voglia di ascoltarlo basterà la melodia da sogno del primo pezzo, “Città lunga” per innamorarsi perdutamente dell’artista. La sua carriera è poi proseguita tra alti e bassi fino a oggi e la sua ultima fatica, “Da questa parte del mare” (2006), è decisamente un vertice positivo, con ballate allegre e vivaci come “Tela di ragno” o “Al mercato di porta palazzo” e canzoni più meditative e egualmente splendide come “Seminatori di grano”, “Una barca scura” o “Miniera”.  

Il suo spettacolo dell’8 giugno, lui voce e chitarra e due accompagnatori al contrabbasso il primo e al clarinetto, saxofono più altri strumenti il secondo, è stato ampiamente all’altezza. Veramente nel suo caso si può dire che gli assenti avevano torto.

Ascoltate Gianmaria Testa, sia dal vivo, se capiterà dalle vostre parti, sia attraverso i suoi dischi, ne vale la pena.

Massimo Bianco