Presidente! ...Lo sa che anche Pino Pinelli merita giustizia? Che anche lui ha lasciato una vedova che, certamente, meriterebbe il Suo bacio commosso?
“Quella sera a Milano era caldo,
                                                 di
Sergio Giuliani     versione stampabile

ma che caldo, che caldo faceva!

Tu Lograno apri un po’ la finestra

e ad un tratto Pinelli volò.”

         E’ sfottente, amara, la canzonaccia! Era metà dicembre 1969 e non era certo caldo a Milano! E poi il ferroviere Pino Pinelli,l’anarchico del circolo “Il Ponte della Ghisolfa”, non era certo Leonardo da Vinci che provasse o facesse provare un trabiccolo di ali!

 Era “caldo” perché, per l’attentato disastroso e vile alla banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana si cercò, da subito, la pista anarchica, rovinando la vita ad un uomo come tanti, Pietro Valpreda che ne morirà ancora giovane (ma era anarchico e ballerino…) e chissà quali preziosi indizi da Csi perdendo.

            Smaniava la “maggioranza silenziosa” dell’avvocato Adamo Degli Occhi che viveva e dormiva avvolto nel tricolore e persino la sconcertata (e chi non lo era?) “L’Unità” cercava, con Montanelli urlante da tv, il “mostro”, favorendo una colpevole rapidità e superficialità di indagine. Dice il vero chi afferma che in Italia le “stragi” non sono mai state risolte perché,nei primi minuti, si sono dissipati a bella posta o per insipienza gli indizi.

          Nell’ufficio del commissario Luigi Calabresi,lui e la sua squadra (Mucilli, Lograno, maestri in dimenticanza, quando chiamati a deporre) stavano torchiando Pinelli, e si doveva far presto: una confessione, una ammissione anche parziale avrebbe praticamente concluso l’inchiesta, accontentato i benpensanti i quali non riescono, per cortezza, per resistenza di pregiudizio e per fiducia a fonti inquinate, a ragionare di per sé ma hanno bisogno, e la chiedono urlando, altro che “silenziosi” della “verità” confezionata per chiudere la bocca agli odiati “sinistri” che,questa volta, l’avrebbero fatta grossa a difendere gli anarchici delinquenti. In seguito, anche se l’inchiesta avesse scricchiolato (e si dissolse addirittura, sotto i colpi di un comitato al quale aderirono attivamente molti di noi), ormai la calunnia, tanto grave, avrebbe sortito il suo politico effetto.

         Per non so che caso,capitò in Questura,proprio presso l’ufficio di Calabresi, la giornalista Camilla Cederna (colei che, con un suo instant book causò la fine politica del presidente della repubblica Giovanni Leone), si rese conto del trambusto e ne scrisse, giustamente insospettita.

         Come ci insospettirono le dichiarazioni dei poliziotti, secondo cui Pinelli avrebbe detto: avete scoperto tutto; l’anarchia è finita e sarebbe saltato fuor di finestra. Il terribile, irrazionale iter dell’inchiesta sulle bombe di Piazza Fontana ha rivelato assai poco, ma quel poco è ben altro che anarchici.

          E poi,una persona che si lancia nel vuoto si dà una certa spinta e non ricade a sacco contro tutti i cornicioni dei piani sottostanti, come accadde a Pino Pinelli. Ma a questa banale osservazione si rimediò con la formula “malore attivo” (!!!!! Ma che vuol dire?) per cui Pinelli cadde per pura perdita di equilibrio e senza più coscienza. Ma come! Un solerte commissario di scuola americana, così premuroso della verità e così stringente nel volerla, consente che l’indiziato si sbilanci addossato  ad una finestra aperta-per-ricambio-d’aria?

           Giuseppe (Pino) Pinelli era un lavoratore e, a quanto subito risultò, ottimo marito di Licia e ottimo padre di due bambine. Aveva ideali anarchici che, se genuini, sono pacifisti e non intrigati nella politica-partitica, non attenti, certo, all’occasione storica quanto ad una palingenesi rigeneratrice della società che va rifondata su basi tutte ideali e paritarie. Non è un reato avere ideali che sono fedi,ma a Pinelli fu e doveva essere fatta pagare. Eccome!

        L’inchiesta sulla morte di un cittadino proprio in questura, il luogo che dovrebbe per definizione proteggerci, si concluse…in nulla. “Malore attivo!”

         Licia lavorò a battere a macchina tesi per mantenersi e mantenere le due bambine, in un riserbo contegnoso, in un silenzio che mi fece sentire colpevole in quanto membro di una società che questo consentiva, per inerzia e per viltà. Nacque qualche comitato di generosi, ma a crescer due figlie nella ruota dei giorni ci sarà voluto ben altro.

        Ora si intitolano vie e targhe al commissario Calabresi ed è giusto risarcire una morte così dissennata, criminale e selvaggia come quella che gli toccò. Le famiglie delle vittime chiedono al commosso Presidente Napoletano di aprire gli archivi dei servizi segreti perché lì ci sarebbero le prove di legami br-palestinesi, br-tunisini e chissà che altro br-est comunista. Ma come fanno ad essere così sicuri che tutti i misfatti vigliacchi che furono commessi vengono da oltrecortina? Sarà; certo, ma perché non pensare anche ad altre interferenze. E sì che Fini ha ben fatto tanta, tanta fatica a comprare i doppiopetto a tutti i suoi!

         Presidente! Lei è augustamente libero di ricordare chi decide che lo meriti, di fare in modo che, su quegli anni terribili, si costruisca la necessaria trama della pacificazione. Ma mi piacerebbe sapere, nel mentre si india il ricordo del Commissario, perché non vede, come l’ombra di Banquo vicina a Macbeth, anche l’immagine discreta di un ferroviere che morì o prese le mosse per morire, nell’ufficio del Commissario e che (l’inchiesta lo ha dimostrato) era del tutto estraneo ai fatti per cui veniva trattenuto? Lo sa che anche Pino Pinelli merita giustizia? Che anche lui ha lasciato una vedova che, certamente, meriterebbe il Suo bacio commosso?

Sergio Giuliani

 

Si dedica questo scritto a Licia Rognini Pinelli ed alle sue figlie