FOGLI MOBILI

La rubrica di Gloria Bardi

Dal momento che alcuni eventi, il fatidico “asilo” e l’inchiesta della BBC sui preti pedofili, ne richiamano prepotentemente il tema, porgo ai lettori di Trucioli alcuni passaggi di una ricerca da me condotta qualche anno fa all’interno di uno studio dal titolo “Le mani del potere sui bambini”.  

Pedofilia o pedofobia?

 

Nella foto i protagonisti dello scandalo pornografia nel seminario austriaco: mons Kurt Krenn, vescovo di Saint Poelten e mons Capellari

Il termine “Pedofilia” è stato introdotto in psichiatria dallo svizzero Au-guste Forel nel 1905 e si è in seguito diffusa nel linguaggio comune, pur se  considerata da molti un termine sbagliato, chiamando in causa impropria-mente l’amore, sul calco del termine “filantropia”. Scientificamente rientra nelle così dette “parafilie”, ovvero forme anomale di attrazione ses-suale; c’è però chi preferisce catalogarlo nelle sociopatie o, almeno, collegare le due cose.

Va immediatamente smentito qualsiasi legame preferenziale con l’omosessualità, dal momento che il maggior numero di abusanti è costituito da uomini e il maggior numero di vittime è costituito da bambine, anche se talora gli impedimenti a elaborare l’omosessualità, possono condurre a confusione sulla propria identità sessuale, e la confusione può essere generatrice di qualunque perversione. Quindi, non l’omosessualità ma piuttosto l’omofobia risulterebbe imputata di sessualità non serenamente elaborate.

Attualmente, il numero degli utenti o scambisti di materiale pedoporno-grafico, dimostra che il fenomeno tende a spostarsi dal crimine estremo al crimine così detto “comune”, comprendendo un’utenza, potremmo dire “non specializzata” ma “normale”, spinta da curiosità, ricerca di diversivi, gusto della trasgressione, assuefazione alla pornografia ecc.

Un generalizzato abbassamento della “soglia” del lecito.

Si incomincia a parlare del “pedofilo che è in noi” e della necessità di cercarlo, stanarlo e risolvere, al meglio analiticamente, il carico di devianza che esso presuppone. A questo proposito la psicologia distingue tra "pe-dofilo preferenziale”, ovvero colui la cui sessualità è a senso unico, mo-nomaniacale, attratto solo dall’infanzia, sempre recidivo e “pedofilo situazionale”, ovvero quello che ha in genere una sessualità normale ma occa-sionalmente non disdegna la “cucina dell’orco”.

E’ questa la tipologia che fa registrare l’incremento odierno.

Ed è chiaro che nei confronti di questa tipologia non ha senso prospettare come contromisura la castrazione chimica, prevista da alcuni paesi, tra cui la Germania.

Il tipo umano è ben diverso dall’esagitato che abbiamo in mente.

Si muove con cautela, “sotto traccia”, è in genere “evoluto”, usa Internet e viaggia. Magari la prima volta è andata così: “Partono per un congresso, un viaggio d’affari, una meritata vacanza dopo un periodo particolarmente pesante. Ed ecco che, dinanzi alle profferte della ragazzina di quattordici anni in minigonna in pelle e reggiseno nero e tacchi a spillo in acciaio, de-cidono che tutto sommato è il caso di provare… E in un istante, sei dall’altra parte della barricata” (C. Camarca. “I santi innocenti” Baldini e Castoldi).

All’origine dell’orco sta ancora una volta un uomo mediocre.

Oppure è stato a casa propria, nel proprio studio, per caso, navigando in Internet.

L’orco c’era già, sonnecchiava: è solo stato risvegliato.  

Del resto, di tanto in tanto circolano sia nelle pubblicità che nella costruzione dei cosiddetti sex-symbol chiare icone pedofile (vd. Ilona Staller).  Gustavo Sergio, procuratore presso il tribunale per i minorenni di Venezia, ha richiamato con forza il contenuto pedofilo di taluni spot pubblicitari. E non è certo l’unico ad averlo fatto.

Se simili prototipi hanno successo è perché accarezzano inclinazioni più diffuse di quanto si sia disposti a riconoscere.

In quale istinto “normale” si annida dunque la pedofilia?

E per quale motivo i nostri tempi paiono esserne particolarmente segnati?

Lo scrittore Claudio Camarca sottolinea il collegamento tra la pedofilia e la società occidentale contemporanea “in perenne combattimento”: “la pe-dofilia è l’esatta riproduzione di una società incentrata sui poteri. Asso-lutamente verticistica e assolutamente consumistica. Di fatto il pedofilo consuma il bambino. Lo afferma per farne un uso personale… Lui è il più forte, il più grande… E’ onnipotente.” (C. Camarca – M. R. Parsi, SOS pedofilia, p. 22-3) 

Maria Rita Parsi, psicoterapeuta, va oltre nel delineare il contesto socio-culturale del fenomeno: “la nostra società è manipolatoria. Controlla i cor-pi e l’agire del cervello. Impone regole che sempre procedono contro i fragili e gli indifesi. Non a caso i bambini e gli anziani. Ma anche le ondate di disperati in arrivo… Ed è orribilmente ovvio che il pedofilo si trovi pie-namente a suo agio in un mondo del genere. Non potrebbe sperare di me-glio nemmeno se lo avesse fabbricato con le sue mani.” (Ivi, p.31)

La pedofilia sarebbe lo sbocco dell’istinto predatorio insito nel maschio,  la tendenza al dominio sugli inermi, siano essi gli altri popoli, le donne, gli animali. Non è un caso che da quando le donne si sono sottratte, con la progressiva emancipazione, a tale sopraffazione, siano andate aumentando la pornografia, la prostituzione, soprattutto di transessuali, e la pedofilia.

Parsi-Camarca mettono in guardia dall’abbassamento della soglia percet-tiva di quel fenomeno che è la “dissacrazione” o “rimozione” o “banalizza-zione” o, ancora, “volgarizzazione” dell’infanzia: così la pedofilia entra, irriconosciuta, nei riti e nell'immaginario comune, attraverso la pubblicità di cui si è parlato prima, attraverso l'adultismo dei comportamenti di ballerinette e bravi bravissimi vari, attraverso sfilate di moda infantili, uso di adolescenti all’interno di trasmissioni televisive.

“Alla base di uno sterminio c’è un linguaggio”, avverte Maria Rita Parsi e, insieme, rifiuta e combatte l’uso del termine “pedofilia”, che non può entrare così com’è nel dire comune, ma va sostituito da “pedofobia”, paura e odio del bambino, desiderio di eliminazione. Secondo Camarca esiste un rapporto organico tra pedofobia e assassinio, eliminazione appunto. 

Ecco dunque la portata pedofila (pedofoba) di tanta pubblicità giornali-stica e televisiva, che utilizza spesso il corpo dei bambini per vendere e quindi “mercifica il concetto di infanzia”, lo banalizza, lo rende “cosa”, “disponibile all’uso migliore che l’adulto ha in serbo per lui” (p.79)

Claudio Camarca, che per ragioni professionali si è calato nel mondo dei pedofili, segnala la  propensione di alcuni di loro a ritenere che possa sus-sistere una pedofilia e persino una pedopornografia che non fa vittime, ma anzi arreca benessere e piacere alla presunta vittima.

Si incomincia anche, rafforzata dai collegamenti consentiti da Internet, a far strada una sorta di “normalizzazione culturale” della pedofilia, che cerca conforto nella pederastia dell’antichità classica e che ha i suoi “cult”.

E’ un richiamo che Maria Rita Parsi smentisce dal punto di vista storico: “In quei tempi lontani, la vita media…raggiungeva a fatica i trentasette anni… Verso i quattordici-sedici anni si era già mariti e padri quando non guerrieri… Non a caso, in quello stesso periodo…intrattenere rapporti sessuali con un bambino era passibile di pena di morte” , e dal punto di vista relazionale:  “ la pedofilia è prima di ogni altra cosa una relazione tra chi ha e chi non ha. Tra il soggetto che è e colui che non è. E’ un vincolo completamente sbilanciato” .

Non esiste una pedofobia buona e senza conseguenze.

Infatti, a parte la questione giuridica del consenso espresso da minori,  Parsi segnala i sicuri danni che un’esperienza sessuale precoce arreca alla formazione della personalità.

A questo proposito dovremmo chiederci se per caso non si debba parlare di abuso sessuale di minori anche quando si espongano, attivamente o per negligenza, i bambini a visioni di immagini o a utilizzo di materiale pornografico. 

Ci sono persino pedofili che scaricano sul bambino la responsabilità dell’evento, in quanto seduttivo e adescatore. Si tratta ovviamente della naturale “seduttività” infantile, qui malfidamente equivocata, a cui forse oggi deve aggiungersi quella forzatura degli atteggiamenti che viene da modelli televisivi mal digeriti. Dalla naturale voglia di imitazione degli a-dulti.  

TELEVISIONE pedofila? 

La tivù volgare è anche una tivù potenzialmente pedofila (o pedofoba)? Che crea cioè i presupposti culturali della pedofilia (o pedofobia?) in quanto veicola in maniera del tutto privilegiata, rispetto agli altri media, una cultura dell’abuso, attraverso la riduzione del corpo del bambino a strumento seduttivo, di compravendita?

Attraverso l’abbassamento dell’età delle ragazze utilizzate come corni-cette vagamente erotiche nei vari programmi?

Attraverso la promozione dell’adultismo, in forme di spettacolarizzazione dove i bambini imitano le vesti, i linguaggi, le mosse degli adulti?

E, in ultimo, la televisione è essa stessa attivamente pedofila, nel senso che “fa atto di pedofilia”, nel momento in cui, esponendo i bambini a impatti precoci con la sessualità in forma di volgarità, quando non di vera e propria pornografia, produce in loro lo stesso effetto che potrebbe pro-durre un rapporto sessuale precoce?

Personalmente, conducendo laboratori teatrali nella scuola elementare, ho avuto modo di saggiare le conseguenze di questo “ingollazzamento” siste-matico di perizomi glutei tette abbondantemente profusi dagli spettacoli della fascia oraria per famiglie, trovandomi di fronte a classi di piccoli letteralmente ossessionati dal sesso, coi quali non è possibile usare una parola che vagamente lo richiami senza scatenare i caroselli del doppio senso. Le maestre, del resto, sanno bene di che cosa sto parlando, anche se in genere non fanno emergere il problema, perché i genitori tendono a minimizzare e ad accusarle di “essere fuori dal mondo”.

Vi siete mai chiesti perché le bambine non vogliano mettersi la gonna?

Vi siete mai chiesti perché tante adolescenti rifiutino lo sviluppo del pro-prio corpo in termini de sessualità, rifiutino la propria carnalità tramite sindromi anoressico-bulimiche?

Non credo che ci sia solo il conformismo a modelli di magrezza ma anche il rifiuto verso il binomio carnalità-volgarità. E la tivù crede di fare il pro-prio dovere pedagogico inondando le case di bonazze in perizoma.

Marie Winn, in un articolo pubblicato anni fa, sul New York Times Maga-zine, dal titolo “Che cosa ne è dell’innocenza dell’infanzia?” sostiene che la nostra era è segnata dal restringimento dei confini tra infanzia ed età a-dulta, dal venir meno, negli atteggiamenti dei genitori e della società nel suo insieme, di ogni forma di “Protezione”, col conseguente declino nei gio-vani del rispetto per gli adulti, a iniziare dai genitori.

E sicuramente, l’aspetto da me segnalato fa parte di questa incauta e non protetta iniziazione.

E, vorrei aggiungere, la tivù italiana in particolare se è vero, come ha scritto tempo fa Tobias Jones sul Financial Times, che è la più volgare del mondo.

I nostri  “uomini di pancia” del sistema tivù farebbero bene a fare una bella e salutare autocritica, invece che, come avvenne a seguito del richiamo di Jones, inalberarsi e fare la difesa d’ufficio della “televisione più bella del mondo” (sic: Emilio Fede).

Si tratta di una tivù che veicola pedofilia ma che non parla correttamente di pedofilia, crea situazioni di rischio ma non fornisce chiavi interpretative o di difesa, dal momento che, salvo situazioni particolarmente eclatanti, l’argomento continua a essere tabù.

“Ho amici giornalisti  -scrive Camarca- in gran parte donne, costrette a litigare con il capo servizio e con il direttore pur di riuscire a scrivere un pezzo che racconti di bambini e predatori. Si sentono rispondere che se ne è già parlato, è roba vecchia, la gente è stanca”.

E’ quindi il caso di prendere di petto un altro luogo comune, agitato da tante brave persone, cioè che di pedofilia non si debba parlare perché:

1)    i bambini è meglio che non sappiano

2)   può creare emulazione

Chi si occupa di questo fenomeno ci insegna invece che il silenzio è il principale complice dell’abuso, non consente di elaborare difese operative e psicologiche. Il silenzio è il servo scemo dell’orco.

Certo non si tratta di brutalizzare i bambini con immagini traumatizzanti che documentino il fenomeno, ma di mediarne il possibile impatto comunicandogli strumenti di elaborazione. “Più furbi di Cappuccetto Rosso” è il titolo un progetto di “Movimento bambino”, associazione volta a sviluppare una comunicazione pedagogica corretta su un tema tanto spinoso.

La soluzione non sta nell’invisibilità, che da sé sola non rappresenta la soluzione ma, al contrario, la rimozione, che fungendo da premessa al disinteresse sociale, finisce per alimentare il fenomeno-tabù.   

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