Nel XX secolo l’evoluzione degli abiti ha segnato le tappe della progressiva emancipazione della donna e ne ha accompagnato la lotta per la conquista  dei diritti fondamentali.
PARLIAMO DI MODA

MARGHERITA PIRA

La moda, femminile e maschile, è un indicatore di costume più importante di quanto si possa credere.

Io stessa ho considerato sempre di infima categoria i settimanali che offrono paginate di abiti delle ultime sfilate  di Parigi e di Roma. Eppure, a pensarci bene, non si tratta di un elemento puramente frivolo.

A parte che quella dell’abbigliamento è una delle voci più importanti della nostra economia e che alla ricerca del capo elegante indulgono anche i nostri personaggi politici, la moda degli abiti ha segnato i cambiamenti delle strutture sociali e del variare di quello che normalmente definiamo lo spirito di un’epoca.

Dalla classica semplicità del peplo e della tunica, si passa alla linea asciutta del medioevo, all’eleganza ricca e raffinata del rinascimento, al severo e pretenzioso gusto seicentesco, allo sfarzo della corte di Maria Antonietta, all’individualismo già protestatorio dei romantici,e… ed eccoci al XX secolo, quello in cui si è svolta la giovinezza di tutti noi che, ora, siamo adulti.

Nel XX secolo l’evoluzione degli abiti ha segnato le tappe della progressiva emancipazione della donna e ne ha accompagnato la lotta per la conquista  dei diritti fondamentali.

Se il 1900 inizia con gli scioperi e le mobilitazioni di massa nel mondo del lavoro, per le donne inizia con l’abbandono degli abiti che negano, coprono, imprigionano il corpo.

Ancora ampi cappelli all’inizio secolo e la  tradizionale forma ad “S”  che evidenzia  particolarmente il seno , ma già nella seconda decade il sarto parigino Paul Poiret modifica la figura femminile abolendo il corsetto. Poiret rende alla donna la sua forma naturale e nei suoi modelli quel corpo, per tanto tempo nascosto, si percepisce in modo chiaro, cosa che scandalizza i moralisti, ma entusiasma le dame della buona società parigina che si permettono di passeggiare senza problemi nei propri abiti che svelano la gamba anche al di sopra della caviglia. Il cappello resta però come distintivo delle classi abbienti. Un proverbio popolare dice “Cappello in testa, culo in carrozza” In una manifestazione di protesta donne del popolo strappano il cappellino delle dame.

I pantaloni fanno la loro apparizione, ma sono  sul tipo di quelli orientali, cioè larghi e stretti alla caviglia.

Appare anche l’abito di stile maschile che permane ancora adesso perché già consono alla figura di una donna pronta per il mondo del lavoro

Poi la guerra. Le preoccupazioni sono ben altre; nel dopoguerra però si torna, fra l’altro, a interessasi di abbigliamento.

A Parigi è il ciclone “Venare nera”, Josephin Baker ad entusiasmare col suo corpo perfetto svelato completamente al pubblico.

Le donne cominciano la loro lotta per essere cittadine a pieno titolo esigendo il diritto al voto.

In alcune nazioni l’ottengono. In Italia dovranno aspettare ancora.

I folli anni venti.  Il tango è ormai stato accettato nella sua sensualità e il jazz trionfa.

La donna, almeno a livello di spettacolo e nella società benestante, è accettata nella sua apparenza libera.

Il cinema, ormai creatore di miti, impone Marlene Dietrich. È del 1932  “L' angelo azzurro” in cui l’attrice declina la sua femminilità in un abbigliamento di foggia maschile con tanto di tuba.

E il charleston? A me l’abbigliamento delle donne in quel caso ha sempre fatto pensare a un paralume.

Poi la guerra. Gli anni terribili in cui le donne prendono coscienza del loro valore di persona autonoma  e portatrice di diritti.

Finalmente non esistono ( almeno sulla carta ) cittadine di serie B. Anche in Italia le donne votano a cominciare dal referendum del 1946.

L’abbigliamento non può non essere consono al nuovo ruolo e 
vi sono abiti che evidenziano proprio questo nuovo ruolo. La donna non deve più vestire per piacere ad un uomo, ma può permettersi capi anche di foggia maschile, come i pantaloni che sono inizialmente considerati scandalosi e sono portati un po’ come sfida. Attualmente resistono perché sono molto più comodi, specialmente in inverno, delle gonne.

Qui il discorso si fa stimolante e vuole uno spazio tutto per sé.

Alla prossima puntata!.

Margherita Pira