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UOMINI E BESTIE

 

8: Prospezioni dell’immaginario

Le Amazzoni

 

Quarta parte

 

 

Le Amazzoni erano figlie di Ares e della ninfa Armonia (PHEREC. fr. 25 FHG IV MUELLER = schol. AP. RHOD. II 992), o di Amazò, cui devono il nome (STEPH. BYZ. ethn. s. v. Éfesos 288), o le mogli degli Sciti sopravvissute alla distruzione dei loro uomini in guerra (IUSTIN. II 4), oppure, profittando di un conflitto, avevano parte uccisi parte cacciati i mariti che le maltrattavano (EPH. fr. 70F60b FGrH JACOBY = schol. AP. RHOD. II 965).

Tutto quello che nel mondo “normale” fanno gli uomini, nel mondo rovesciato delle Amazzoni lo fanno le donne, che gestiscono la politica e le guerre e tengono schiavi i maschi mutilandoli per impedirgli di usare le armi. O altrimenti li uccidono o li cacciano, e allora ogni anno in primavera s’incontrano ai confini con una popolazione limitrofa per propagare la specie: i maschi nati da codesti convegni casuali sono eliminati o spediti ai padri, le femmine allevate nelle pratiche marziali.

 

Le Amazzoni, di cui si fa piú ampio cenno nei nostri Commentarii al Periegeta [Commentarium in Dionysii periegetae orbis descriptionem, GGM II 653 MUELLER], si chiamano cosí o perché si mutilano d’una mammella (quindi “senza mammelle” varrebbe qui “con una mammella sola”) per non esser impacciate quando tirano d’arco, se è vero che il Poeta dice:

 

il nervo s’accostava alla mammella, all’arco il dardo ferreo(1);

 

oppure perché abitualmente non si cibano di pane [si veda la scheda del 15 aprile u.s.] bensí di carne, tra cui forse, a quanto si racconta, anche quella di tartaruga, di lucertola e di serpente. Che a volte l’alfa iniziale indichi anche singolarità risulta dalla parola haploûn: “semplice”, che stà per mónon pélon: “ciò che è solo”, ossia unico, come fosse ápelon, ovverossia hén pélon: “ciò che è uno”, “non doppio”(2). Secondo il mito sono figlie di Ares e della naiade Armonia. Si diceva pure che montate su cavalli che spiravano fiamma avessero invaso molte terre, tra cui la Frigia, con un esercito comandato da Melanippe e da alcune altre di loro. Ulteriori Amazzoni famose che si ricordano sono: Ippolita, la quale in séguito divenne moglie di Teseo, Antiope, Anea, Andromaca, Glauce, Pentesilea. Che a tutte sin da bambine fosse cauterizzata la mammella destra, onde il loro nome, lo dichiara anche l’opera del Geografo [STRAB. XI 5, 1; verrà tradotto per intero in una prossima parte], presso il quale si legge pure questo:

 

Chi mai crederebbe che un esercito, o uno stato, o una nazione di sole donne possa sussistere senza uomini, e non solo sussistere, ma pure prender l’iniziativa di far spedizioni in terra straniera ed avere il sopravvento? [...] Sarebbe come se uno dicesse che gli uomini del passato erano donne e le donne uomini.

 

Si tramanda anche la storia che un’Amazzone si sarebbe congiunta con Alessandro in Ircania per averne dei figli [cfr. scheda del 22 aprile]. Da loro deriva poi chiaramente il proverbio “Anche uno zoppo scopa benissimo” [PLUT. Paroimíai haîs Alexandreîs echrỗnto I 15; CAF III fr. adesp. 36 KOCH]: infatti, a quanto si dice, le Amazzoni mutilavano i maschi di una gamba o del braccio destro; quando gli Sciti le invitarono ad aver commercio con loro sostenendo d’essere sani, secondo riferisce Pausania [PAUS. ATT., Attikỗn onomátōn synagōg alpha 149 ERBSE], Antianira, un’Amazzone insolente e sfrenata, rispose: “Anche uno zoppo scopa benissimo”, intendendo che per le loro esigenze bastavano i monchi. Che il termine chōlós non indicasse soltanto chi era zoppo da un piede, ma pure chi era storpio ad un braccio, è evidente da queste antiche narrazioni.

(EUSTATH. in Il. I 634). 

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(1) HOM. Il. IV 23, che in realtà cosí recita: il figlio di Licaone neurn mèn mazỗi pélasen, tóxōi dè sídēron (con hysteron-proteron), per colpire Menelao.

 

(2) Non vedo motivo di espungere questa frase.

 

Sono equipaggiate di lancia, arco, bipenne e scudo semilunato e di solito vanno in battaglia a cavallo. Di ciò avremo modo di fornire in una prossima scheda alcune testimonianze iconografiche.

Omero sa che Priamo in gioventú partecipò a fianco dei Frigi alla guerra colle Amazzoni, come racconta lui stesso ad Elena (Il. III 181 sqq.):

 

Cosí parlava [Elena], lo [Agamennone] ammirò il vecchio [Priamo] e disse:

“O Atride beato, figlio della Fortuna, benedetto dal dio,

in vero a te ora molti figli d’Achei son soggetti.

Io un tempo raggiunsi la Frigia ferace di vigne,

ove scorsi innumeri militi frigi dai fulminanti corsieri,

schiere d’Otreo e di Migdone pari ad un dio,

che allora s’acquartieravano ai greti del Sangario [Sakarya]:

infatti io pure, essendo ausiliario, fra essi fui noverato

nel giorno che vennero pari ad un uomo le Amazzoni;

ma neppur essi eran tanti quanti gli Achei dagli occhi splendenti”.

 

Sa pure che la terza “fatica” di Bellerofonte fu la lotta contro le Amazónas antianeíras (Il. VI 186). I miti riferiscono infatti che dal luogo d’origine mossero vaste spedizioni di conquista, Diodoro in particolare elenca l’itinerario delle Amazzoni africane al comando di Mirina (la cui tomba si trovava nella piana di Troia: HOM. Il. II 811-15): ad ovest contro gli Atlanti e il popolo guerriero delle Gorgoni sino all’Oceano, ad est in Libia, in Egitto, in Arabia, in Siria, in Cilicia, in Frigia, sino a Lesbo e a Samotracia, dove furono sconfitte da Mopso trace e Sipilo scita (III 54: il brano è stato tradotto e commentato nella scheda precedente). Raggiunsero anche la Grecia e l’Asia Minore (Orosio, hist. adv. pag. I 21, 2, non si capisce se di sua iniziativa o attingendo a qualcuno, identifica le loro scorrerie anatoliche con quelle storiche dei Cimmeri nel VII sec.: Tunc etiam Amazonum gentis et Cimmeriorum in Asiam repentinus incursus plurimam diu late uastationem stragemque edidit). In Asia Minore fondarono un gran numero di città, fra cui Cuma eolica (STEPH. BYZ. ethn. s. v. Kýmē 392), Mitilene di Lesbo (DIOD. SIC. III 55, 7), Smirne (PLIN. SEN. V 118) ed Efeso, ove istituirono il celebre santuario e il culto di Artemide.

 

A te [Artemide] pure le Amazzoni bramose di guerra
un tempo in Efeso lambita dal mare eressero un idolo
sotto un tronco di quercia, per te poi compí il rito Ippo.
Esse invece, Opi signora [Artemide efesina], intorno danzarono il ballo guerriero,
dapprima in armi cogli scudi, poi dopo in cerchio
compiendo un ampio coro; le accompagnavano con voce sottile
i flauti acuti di canna affinché cadenzassero a tempo,
perché allora non si perforavano ossa di cerbiatto,
invenzione d’Atena [PSAP. I 42] che ai cervi porta sventura: l’eco ne corse
per Sardi sino al paese dei Berecinzi [la Lidia e la Frigia]. Ed esse coi piedi
compatte battevano il suolo, strepitavano i turcassi.
Ma poi per te intorno a quell’idolo un vasto edificio
fu innalzato, di cui nulla l’Aurora vedrà piú divino
e opulento [l’Artemision] e facilmente vincerebbe Delfi.
(CALL. in Dian. 237-50)

 

 

Pianta dell’Artemision di Efeso coll’ara esterna cui è cenno nel testo di Tacito tradotto oltre. Fabbricato secondo la tradizione da Creso in forma monumentale presso la collina di Ayasoluk intorno al 560a su piú antichi edifici di culto, bruciato nel 356, a quanto racconta la leggenda, da un pazzo, tal Erostrato, che voleva cosí guadagnarsi una dubbia immortalità, fu ricostruito nel modo che avrebbero potuto poi vederlo Tacito e Plinio, il quale scrive (XXXVI 96): universo templo longitudo est CCCCXXV pedum, latitudo CCXXV, columnae CXXVII a singulis regibus factae LX pedum altitudine, ex <i>is XXXVI caelatae, una a Scopa. operi praefuit Chersiphron architectus (“il tempio nella sua totalità è lungo 126 metri e largo 67 [l’analisi archeologica indica la cifra di 60, la lunghezza per ora non si poté definire], si regge su 127 colonne fatte costruire ognuna da un re diverso ed alte quasi diciotto metri, delle quali trentasette scolpite [probabilmente nel tamburo di base], una ad opera di Scopa. L’architetto fu Chersifrone”). Di nuovo arso, ricostruito, abbattuto da un terremoto, rifatto una terza volta e finalmente saccheggiato dai Goti nel 263 e dai Cristiani che lo usarono per secoli come cava di pietra, oggi piú nulla ne resta; i trovamenti degli scavi, condotti prima dagl’Inglesi poi sino ad oggi dagli Austriaci, si ammirano al Museo archeologico d’Istanbul e al British (BAMMER-MUSS, Das Artemision von Ephesos, 1996).

 

Ne parla anche Tacito (ann. III 61).

 

Per prima si presentò a parlare(3) la delegazione degli Efesini, i quali sostennero che Apollo e Diana non erano nati, come comunemente si credeva, a Delo, bensí nella loro regione, nella Selva Ortigia presso il fiume Cencreo, dove Latona sul punto di partorire s’appoggiò ad un ulivo ancora esistente e diede alla luce i due dei. Poi il bosco per divino volere fu dichiarato inviolabile e Apollo in persona vi riparò, dopo aver ucciso i Ciclopi, per evitare l’ira di Zeus. In sèguito Bacco, che aveva sconfitto in guerra le Amazzoni, risparmiò quante di loro s’erano rifugiate supplici sull’altare. Ercole, quando s’impadroní della Lidia, accrebbe i privilegi religiosi del santuario, che non subirono alcuna riduzione durante il predominio persiano e neppure sotto i Macedoni, infine subentrammo noi Romani che li confermammo. 

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(3) Siamo nel 22p (III 52). In molte città greche dell’Asia minore s’era arbitrariamente esteso a templi privi dei titoli necessari lo ius asyli (da alfa privativo e súlē: “bottino”, era il privilegio dell’ inviolabilità di alcuni luoghi sacri), onde vi trovava ricetto il peggior canagliume con grave intralcio della giustizia. Si comanda perciò a tutte quelle che vantavano tale diritto di mandare a Roma un’ambasceria colla documentazione necessaria e Tiberio, che stava in quel momento appropriandosi del potere effettivo, per offrire un contentino ai senatori, osserva in maniera del tutto inverosimile Tacito (III 60), affida loro l’incarico di esaminare e di decidere questa sinecura. Prima a parlare la delegazione di Efeso, ove sorgeva il celebre tempio dell’Artemision, una delle “Sette meraviglie” dell’antichità. L’inaccessibilità del santuario efesino è fatta risalire ad un’interpretazione campanilistica del luogo di nascita di Apollo e Diana (che il mito collocava nell’isola di Delo anticamente detta Ortigia) evidentemente fondata sulla casuale omonimia di un bosco sacro locale, ciò che è del tutto comprensibile perché in greco órtyx significa “quaglia”: di questo parla diffusamente Strabone (XIV 1, 20); il Cencreo è un fiumiciattolo della zona non piú identificabile. Poi nel bosco sacro trovò rifugio Apollo dopo aver ucciso per vendetta i Ciclopi, i quali avevano fabbricato il fulmine con cui Zeus aveva abbattuto il figlio di lui Asclepio, nel timore che la sua maestria medica rendesse immortali gli uomini (PSERAT. cat. I 29; PSAP. III 122). La storia della guerra tra Bacco e le Amazzoni era stata escogitata da Dionigi Scitobrachione (fr. 32F8 FGrH JACOBI, da DIOD. SIC. III 66, 4) e ripresa poi da Plutarco (aet. Rom. Gr. 303D). Ercole infine governò la Lidia quand’era amante (o schiavo secondo PSAP. II 131-32, razionalizzato nel solito modo assurdo in PALAEPH. incred. 44) della regina Onfale (HELLAN. fr. 4F112 FGrH JACOBI). Di qui in poi, senza mostrare alcuna percezione dell’incommensurabilità dei due piani, il testo passa dal mito alla storia, che non ha piú bisogno di chiarimenti.

 

 Il luogo attuale dell'Artemision a 18 km da Kusadasi, all’entrata di Selcuk.

 

Tracce passaggio delle Amazzoni rimanevano nei molti monumenti sepolcrali dell’Attica, per tutti l’Amazzonio che sorgeva presso l’Areopago (DIOD. SIC. IV 28, 2), e di altre regioni della Grecia continentale.

 

MISERRIMUS