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Per una fase costituente dell’unità a sinistra

 di Sergio Acquilino

Lo scioglimento dei DS e l’imminente nascita del Partito Democratico hanno sicuramente il pregio, tra tanti limiti, di aver costretto la sinistra a parlarsi.

A dire il vero l’esigenza di unità a sinistra era un obiettivo da perseguire indipendentemente dalla costituzione del Partito Democratico, anche perché, nella realtà, i DS da tempo non erano più in grado di dare voce al mondo del lavoro.

Da alcuni anni infatti le poche battaglie per la difesa dei diritti dei lavoratori sono state condotte al di fuori dei DS, se si eccettua il coinvolgimento della sinistra di quel partito, come ad esempio nel caso del referendum per l’estensione della tutela contro i licenziamenti illegittimi o per la lotta alla precarietà.

Il maggior partito della sinistra non era quindi più in grado di promuovere a livello nazionale una politica dichiaratamente a favore dei lavoratori e, a livello locale, appariva sempre più schiacciato sulla gestione amministrativa dell’esistente, con pericolosi scivolamenti verso una urbanizzazione incontrollata.

La costituzione del Partito Democratico non darà certo nuova rappresentanza al mondo del lavoro e non credo neppure che, a livello locale, possa capovolgere il sostegno alla rendita edilizia per cui appare oggi evidente a tutti che, a sinistra, occorre fare qualcosa.

Il problema vero è però che cosa fare, perché la frantumazione degli ultimi anni ha scavato fossati profondi tra le varie appartenenze, ciascuna delle quali, per troppo lungo tempo, ha creduto di essere l’unica nel giusto.

Ciò ha comportato due gravi conseguenze.

La prima è che il consenso elettorale ai partiti di sinistra (Rifondazione, Comunisti Italiani e Verdi) è rimasto pressoché inalterato negli anni, segno evidente che essi non sono riusciti a convincere i lavoratori ed i cittadini, neppure in un periodo in cui altri stemperavano il loro appoggio al mondo del lavoro.

Si osservi, per inciso, che uno degli ultimi sondaggi pubblicato alcuni giorni fa assegnava a Rifondazione il 5% dei voti ed ai Comunisti italiani il 2,5%.

La seconda, più grave ancora, è che la sinistra ha perduto in gran parte il suo peso politico e si trova sempre più spesso costretta nell’angolo, a dover scegliere tra il sostenere politiche nazionali o locali poco convincenti o, peggio, agevolare la formazione di governi e amministrazioni di destra.

L’unica via di uscita è, quindi, quella di “fare massa critica”, come giustamente ha rilevato Bertinotti alcune settimane fa.

Ma fare massa critica significa costruire una nuova soggettività politica e, sotto questo profilo, molta strada rimane da percorrere.

Infatti se da un lato è positivo che l’indisponibilità di Mussi, di Angius e della sinistra DS a partecipare alla costruzione del Partito Democratico non si traduca nella costruzione di un ennesimo partito, dall’altra vedo ancora troppe resistenze nell’ambito degli apparati dei partiti esistenti (Rifondazione, Comunisti Italiani e Verdi) che ostacolano questo percorso unitario.

C’è invece la necessità e l’urgenza di mettere in discussione le attuali appartenenze, con l’obiettivo di superarle per dare vita ad una nuova formazione politica.

E da questo percorso non bisogna a priori escludere nessuno, poiché le diverse esperienze politiche del ‘900, siano esse socialiste, comuniste o ambientaliste hanno tutte pari dignità a partecipare al progetto della nuova sinistra.

E le differenze, che pure ci sono e sono profonde (ad esempio sulla collocazione europea), non devono essere di per sé ostacolo a questa aggregazione.

Naturalmente questa nuova unità deve fondarsi su valori comuni forti, su una rinnovata lotta contro le ingiustizie, per la tutela del lavoro, per l’uguaglianza sostanziale e per la costruzione di un diverso, libero e democratico ordine sociale.

E deve anche estendersi la consapevolezza che occorre andare oltre l’esistente e coinvolgere nuovi soggetti, nuove forze, nuovi movimenti, perché se da un lato è bene non dimenticare né sminuire la tradizione del movimento operaio del secolo scorso, dall’altro un nuovo socialismo deve essere pensato con lo sguardo rivolto al futuro.

Quando scrivo che occorre costruire una nuova soggettività politica io penso ad un vero e proprio partito, ma un partito diverso da quelli a cui siamo abituati negli ultimi tempi e diverso anche da quelli, sebbene forti e autorevoli, che la sinistra ha avuto negli anni del dopoguerra.

Un partito nuovo dove gli iscritti abbiano un vero peso politico, dove la democrazia interna sia effettiva e vincolante, in modo da poter adempiere in pieno alla funzione di determinare la politica nazionale a cui la nostra Costituzione richiama le forze politiche.

La partecipazione, anche attraverso esempi di democrazia diretta, deve diventare lo strumento con cui si costruiscono le decisioni politiche ed il voto segreto deve rappresentare il metodo con cui si scelgono gli organismi dirigenti, le nomine negli enti e le candidature ad ogni livello, perché tanta e tale è la diffidenza nei confronti della forma partito che soltanto con la democrazia e la partecipazione essa potrà venire superata.

Non mi nascondo che altri si limitano a proporre una federazione tra le forze esistenti, ma non vedo come questi patti federativi, che pure rappresenterebbero un passo in avanti, possano ambire a coinvolgere associazioni, movimenti ed i tanti elettori delusi dalla deriva moderata dei DS.

E’ per questo che penso sia necessario, anche a livello locale, costruire già dalle prossime settimane dei luoghi di confronto e discussione tra i partiti della sinistra, i movimenti ed i singoli cittadini, si chiamino essi cantieri o case della sinistra, come alcuni hanno proposto (anche se questi termini edilizi sono forse più adatti ad altre esperienze), si chiamino comunque come si vuole, l’importante è che si facciano.

L’importante è anche che nascano presto, che nessuno pretenda di strumentalizzarli o di farne oggetto di mire politiche e che lavorino da subito ad una fase costituente della nuova formazione politica da avviare nel prossimo autunno, fortemente partecipata dal basso, dove tutti possano portare le loro esperienze passate, ma – soprattutto – dove tutti cerchino di costruire un comune futuro. 

Sergio Acquilino