TRADIZIONE D’OGGI

CARATTERI DI ATTUALITA’ IN ALCUNI FILOSOFI DELLA TRADIZIONE

                                Samantha Giribone          versione stampabile

Per tornare finalmente a coltivare questa rubrica come merita (trascurata per troppo tempo a causa di futili motivi tecnici), vi riporto qui sotto una mia “tesina” di qualche tempo fa. 

Perché sono stufa di sentir dire che la filosofia è un’inutile lettera morta. 

So che potrà sembrare pedante, ma non lo è.  

CARATTERI DI ATTUALITA’ IN ALCUNI FILOSOFI DELLA TRADIZIONE 

Nel panorama della filosofia contemporanea possiamo porre l’accento sul fenomeno della “rinascita dell’etica”, disciplina messa in crisi nel XIX secolo dal pensiero dei “maestri del sospetto”, i quali interpretavano gli ideali morali alla stregua di “sovrastrutture dei bisogni economici” (Marx) o di “menzogne per il perpetuarsi della vita” (Schopenhauer).  

Negli ultimi decenni è sorta la necessità di affermare nuovamente con forza il principio per il quale l’etica non è riducibile ad una proiezione degli impulsi o degli interessi umani, è bensì fondamentale per la sopravvivenza stessa dell’umanità.  

Alla base di questa riscoperta dell’etica possiamo trovare molteplici fattori, tra cui: la crisi delle credenze morali comuni, lo sviluppo della scienza e della tecnica, il bisogno di garantire la coesistenza fra razze, culture e forme di vita differenti.  

L’insieme di questi motivi, spiega il proliferare di ricerche indirizzate alla soluzione di questioni morali specifiche: tale forma di etica è definita etica applicata. In questo scenario, particolare importanza viene ad assumere l’acceso dibattito circa i “nuovi soggetti” morali: si sta, infatti, sviluppando la tendenza a voler porre accanto all’Uomo, considerato tradizionalmente come l’unico detentore di soggettività morale, alterità in precedenza escluse, come gli individui umani futuri, gli animali, i vegetali ecc.  

Quest’estensione dell’idea di soggetto morale e il conseguente ampliamento della nozione di responsabilità costituiscono una delle caratteristiche più originali dell’etica contemporanea. Tuttavia, in questa visione futuristica ed innovatrice della disciplina etica, non è possibile sottrarsi al confronto con i pensatori della tradizione.  

LA BIOETICA 

Uno dei rami più sviluppati dell’etica applicata è senza dubbio la bioetica, vale a dire “lo studio sistematico della condotta umana nell’area delle scienze della vita e della cura della salute, in quanto tale condotta viene esaminata alla luce di valori e principi morali” (Enciclopedia of Bioethics).  

Questa materia di studio si occupa principalmente dell’indagine sui problemi morali e normativi in ambito biomedico, e le sue caratteristiche peculiari vertono essenzialmente attorno a tre punti: il pluralismo dei valori, l’interdisciplinarietà e l’esigenza di un grande rigore nella giustificazione delle diverse soluzioni.  

Il dibattito bioetico, essendo centrato essenzialmente sulle questioni legate all’inizio e alla fine della vita (aborto, eutanasia, clonazione, procreazione medicalmente assistita, ecc.) non può esimersi dall’interrogarsi sulla necessità di riconsiderare la definizione di “soggetto morale”.  Da questo punto di vista possiamo trovare interessanti spunti di riflessione confrontando vari tipi di morali tradizionali, che potrebbero rappresentare in parte i caratteri di contrapposizione fra le due principali tendenze della bioetica moderna: quella di matrice laica, fondata sul concetto di “qualità della vita”, e quella di matrice religiosa, basata sul principio di “inviolabilità e sacralità della vita”.  

L’etica kantiana è retta dal principio per il quale il soggetto deve essere contemporaneamente paziente ed agente morale. Tale visione, esclude pertanto la possibilità di realizzare un’etica che preveda l’inserimento di soggetti morali presentanti alterità rispetto all’Uomo, universalmente inteso. A seguito di questa premessa anche la formula dell’imperativo categorico “Opera in modo da trattare l’umanità, in te e negli altri, sempre nello stesso tempo come fine e non mai come mezzo” non può essere applicata a soggetti che non abbiano la capacità di essere agenti morali. Ciò esclude quindi a priori la possibilità di rendere oggetto di attenzione morale, entità come gli embrioni o gli stessi animali, che non possono in alcun modo fare esercizio attivo di essa. 

Al contrario, l’etica hegeliana si fonda sul principio di Stato Etico, incarnazione del sommo bene, superiore ai singoli individui. In questa ottica, anche la famiglia diventa espressione di esso, assumendo il carattere di eticità che la rende estranea e superiore ai rapporti fra individui, facendola portatrice di un grado maggiore di spiritualità. Viene quindi meno il rapporto, simmetrico ed orizzontale, tra agente e paziente morale, che diventano gli strumenti per l’attuazione della ragion di Stato, finalizzata ad equilibrio e stabilità, che porta in sé il carattere della sacralità. I rapporti individuali, con ciò che è ad essi connesso (matrimonio, procreazione, educazione ecc.), sono perciò subordinati a tale meccanismo.  

Questa visione etica della famiglia, sarà pesantemente criticata da uno dei principali “maestri del sospetto”, Schopenhauer, il quale vedrà in essa una delle tante “menzogne” utilizzate dalla vita per perpetuare sé stessa.  

Questo meccanismo, chiamato eterogenesi dei fini, consiste nell’astuzia della vita, che inganna l’uomo nascondendogli il reale scopo della sua azione. In Schopenhauer l’attività morale, divenuta etica della pietà, si fonda sul sentimento di “compassione”, tramite il quale l’uomo scopre l’universalità del dolore ( tutti gli esseri sono, infatti, inseriti nel “gioco” della vita, che mira solo a perpetuare istintivamente sé stessa) ed impegna il suo amore (agape) per tentare di alleviarlo, passivamente con la giustizia ed attivamente con la carità. Il soggetto-oggetto di morale viene quindi ad essere composto dall’Universo intero, in ogni suo essere.

 In questo contesto possiamo inserire anche l’ateismo etico di Feuerbach, il quale ritiene che perchè esista realmente una vita morale sia necessaria l’assenza della religione. Essa rende, infatti, l’uomo alieno a sé stesso, inducendolo a proiettare in Dio le proprie caratteristiche, e costringendolo a dedicargli tutto il proprio amore.  

Questo però impedisce all’uomo di impegnarsi nell’amare i propri simili, e quindi la stessa esistenza di un possibile atteggiamento morale. Per amare gli uomini diviene necessario farsi carico delle loro condizioni materiali, ricordando che per Feuerbach l’umanità non rappresenta un ente astratto ed unidimensionale, ma una realtà concreta. 

Tracciando un parallelismo col dibattito contemporaneo si può quindi notare come la visione hegeliana sia in qualche modo collegata con quella che oggi difende la “sacralità della vita”, mentre le altre tre etiche siano di stampo più laico e filantropico, avvicinandosi ai movimenti che difendono la “qualità della vita”. 

L’ANIMALISMO 

Altro problema fondamentale che possiamo trattare in chiave Bioetica, è sicuramente l’animalismo. In un mondo in cui il progresso delle tecniche sta conducendo ad una sempre più massiccia meccanizzazione della vita dell’uomo, nasce il rischio che l’animale sia visto come un essere “superfluo”. In realtà l’uomo non può pensare di vivere senza l’animale, col quale la sua vita è, in modo diretto o indiretto, continuamente intrecciata.

 L’uomo non può, infatti, ritenersi un essere sussuntivo, poiché l’animale presenta una propria specificità, che conduce all’esigenza di aprire un dibattito etico-giuridico. Il punto chiave, su cui risulta necessario interrogarsi, è il concetto di sofferenza. Secondo le teorie utilitariste dell’800, il principio della morale risiede nella ricerca del benessere psicofisico, e quindi chiunque abbia una risposta nervosa al dolore fisico ha pari diritti. Sulla scia del pensiero aristotelico, che vede nell’anima il denominatore comune tra tutti gli esseri viventi, in quanto essa è per definizione “l’atto primo ed essenziale di corpo naturale capace di vivere”, alcuni rami della filosofia moderna tendono a riconoscere all’animale lo statuto di essere senziente.  

Essendo l’animale essere senziente, è conseguentemente capace di sofferenza, e va quindi tutelato giuridicamente, poiché possiede il suddetto diritto al benessere. Questa visione si scontra tuttavia con la concezione giuridica, che definisce soggetto di diritto solo chi possiede la capacità di riconoscere i diritti altrui e di farsi portatore di doveri. Questo carattere simmetrico, nega di fatto il diritto all’attenzione e al rispetto, che va invece necessariamente riconosciuto a tutti gli esseri viventi. 

Altre correnti animaliste si avvicinano invece al giusnaturalismo, riconoscendo anche agli animali quei diritti naturali e costitutivi che, nel XVI secolo, filosofi come Locke e Hobbes avevano riconosciuto come fondamentali per gli uomini. Essi legano il concetto di anima all’unione di logos e pathos, e quindi a quell’ attività emozionale che tutti gli esseri viventi possiedono.  

In generale le nuove etiche animaliste, convergono tutte nel disfacimento delle teorie antropocentriche, rinunciando all’umanizzazione forzata dell’animale, al quale deve essere necessariamente riconosciuta l’alterità rispetto all’uomo.  

Si profila quindi la necessità della formazione di una comunità dei viventi, nella quale l’uomo, essendo l’essere dotato di maggior coscienza, deve farsi responsabile dell’universo nella sua interezza, sul sentiero dell’etica della pietà schopenhaueriana che vedeva al principio della morale stessa quel sentimento di “compatia” nel dolore che lega inevitabilmente le sorti di tutti gli esseri dell’universo. 

IL PROBLEMA DEL MALE NEL DOPOGUERRA 

Dalla seconda metà del XX secolo in avanti, è divenuto necessario per gli “eticisti” interrogarsi attentamente sui fatti gravissimi della Seconda Guerra Mondiale. L’incredibile ondata d’odio, di razzismo e di morte che ha condotto ad avvenimenti tragici, come la Shoa e le due Bombe Atomiche, porta con sé la necessità di una riconsiderazione totale della morale, della metafisica e della filosofia della storia.  

Essa, infatti, non ha precedenti e provoca la messa in discussione di tutte le teorie storicistiche ed ottimistiche.  

Sistemi come quello hegeliano, che vedono nella storia un divenire progressivo verso il bene, di cui il male è solo l’antitesi necessaria e strutturalmente funzionale, non possono dare risposte sufficienti di fronte a drammi di tale entità, che hanno come spiegazione immediata soltanto il dominio della follia e del caos sul mondo.  

Questa inevitabile riconsiderazione della storia, porta ad una riscoperta dei pessimismi filosofici, in quali non possono essere più considerati come fenomeni a sé stanti e racchiusi in determinati limiti cronologici e geografici. In questa ottica possiamo trovare l’elemento di attualità di un autore come Schopenhauer, il quale ,demistificando le “favole sul reale”, rivela l’innegabile “crudeltà” del vivere.  

Questo pensiero, critico nei confronti di ogni forma d’ottimismo, può essere letto non in chiave di “fuga dalla realtà” ma in chiave umanitaria, in quanto può spingere gli uomini a riconoscere l’innegabile presenza del dolore nel mondo e a combattere per contrastarlo, pur rimanendo consci dell’impossibilità della sua totale estirpazione. 

Il fenomeno della Shoah, ha inoltre, sollevato il problema del rapporto fra Uomo-Dio, affrontato dal filosofo ebreo Jonas nel saggio “ Il Concetto di Dio dopo Auschwitz”. Egli, analizzando il problema della contemporanea e contradditoria esistenza di Dio e del Male (esemplificato da Auschwitz), ritiene che non si possa più sostenere la simultanea bontà, onnipotenza e comprensibilità di Dio. Infatti, come già aveva sostenuto Epicuro, per giustificare l’esistenza di Dio e del Male bisogna necessariamente rinunciare a una delle tre caratteristiche del divino.  

Jonas, a differenza del filosofo greco non arriverà a sostenere l’estraneità del divino rispetto al mondo, ma preferirà rinunciare al concetto di un Dio Onnipotente.  

Il Dio di Jonas è quindi un Dio che per lasciare il libero arbitrio agli uomini, ha rinunciato alla sua potenza, soffrendo col suo popolo per il genocidio che non poté impedire. 

SAMANTHA GIRIBONE